di Filippo Maria Leonardi
Secondo l’etimologia, la parola “animale” deriva da “anima” in quanto definisce propriamente un essere animato. Nella prospettiva tradizionale l’essere umano, come apice della creazione, riassume in sé tutte le facoltà dei gradi di esistenza inferiori, per cui l’anima umana risulta composta da tre diversi tipi di anime: l’anima vegetativa, tipica delle piante; l’anima sensibile, tipica degli animali; l’anima intellettiva, che è propria dell’uomo. San Tommaso d’Aquino le chiama rispettivamente: anima vegetabilis, anima sensibilis, anima rationalis. Questa tripartizione dell’anima è una sistemazione effettuata dalla Scolastica sulla base delle considerazioni espresse da Aristotele nel De anima: le piante hanno solamente la funzione nutritiva (θρεπτικόν) e generativa (γεννητικὸν); gli animali hanno anche gli appetiti (ὀρεκτικόν), la sensibilità (αἰσθητικόν) e la locomozione (κινητικὸν); l’uomo ha in aggiunta a tutte queste funzioni anche la facoltà intellettiva (διανοητικόν).
In virtù di questa corrispondenza simbolica, nel libro della Genesi le piante e gli animali rappresentano rispettivamente le funzioni dell’anima vegetativa e dell’anima sensibile, che è detta tale in quanto soggetta ai sensi. Ma nella Genesi vi sono due diversi racconti della creazione che, aldilà dell’apparente contraddizione, corrispondono a due punti di vista complementari: il primo si riferisce propriamente alla creazione del cosmo (macrocosmo), mentre il secondo si occupa in modo specifico della creazione dell’uomo (microcosmo).
In tale contesto gli stessi animali che nell’uomo rappresentano gli istinti o le sensazioni, quali moti dell’anima umana, dal punto di vista cosmologico rappresentano i cicli cosmici ovvero i moti dell’anima del mondo. Per rendersene conto basti considerare che tale concezione equivale chiaramente alla definizione dello zodiaco, in greco ζῳδιακός, cioè il grande circolo cosmico percorso dal sole durante l’anno, attraversando le dodici costellazioni poste sul piano dell’eclittica, associate alle dodici figure, per lo più di animali, che rappresentano le diverse fasi dell’anno solare: per esempio l’impetuosità dell’Ariete all’inizio di primavera, l’ardore del Leone nel pieno dell’estate, l’ambiguità del Capricorno nel punto di inversione del movimento del sole, ecc. In definitiva, ciò che nell’uomo sono gli istinti, i temperamenti o le tipologie caratteriali, rappresentati allegoricamente come animali, nel macrocosmo corrisponde alle tendenze naturali, alle stagioni, alle diverse fasi o forme dei cicli cosmici.
Pertanto, considerando il primo racconto della creazione, possiamo dimostrare che i diversi animali sono caratterizzati da specifici movimenti la cui forma rappresenta un particolare tipo di ciclo cosmico. Ma dal punto di vista fonosemantico, la cosa più interessante è che il nome di ogni animale è appropriato per descrivere fonosimbolicamente la forma specifica del suo movimento. Questa relazione è spesso evidenziata, nel testo biblico, accostando il nome dell’animale al verbo che descrive il suo movimento, sebbene la correlazione si perda nella traduzione. Così ad esempio nella versione «le acque brulichino di esseri viventi» è scomparso il termine ebraico sherets, che San Gerolamo traduce con reptile, accostato al verbo ishertsu che deriva dalla stessa radice esprimente un movimento sinuoso e strisciante, che Fabre d’Olivet definisce come “vermiforme”, cioè una serie di contrazioni e decontrazioni alternate finalizzate a muoversi in avanti.
La spiegazione fonosimbolica la si può trovare accennata in John Wallis, poiché anche in inglese il fonestema SHR- assume il significato di “contrazione” come nelle parole shrink, shrivel e soprattutto nel nome del gamberetto shrimp, un animale acquatico, dalla forma arrotolata, che si muove appunto con ripetute contrazioni. Ma è Fabre d’Olivet a dare la spiegazione geometricamente più rigorosa: la radice SH+R è «composta dai segni del movimento relativo e proprio, cioè circolare e rettilineo». Di conseguenza essa esprime l’idea di un movimento sinusoidale o elicoidale, cioè la risultante della composizione dei due moti circolare e rettilineo. Infatti in ebraico essa esprime l’idea dell’intreccio e dell’avvitamento. La parola shor indica appunto l’ombelico, anzi il “cordone ombelicale” per via della sua forma attorcigliata. Le varianti della stessa radice con l’aggiunta di una terza lettera, mantengono lo stesso significato. Così i verbi sarag o sarak significano “intrecciare”, “torcere”, “avvolgere”, da cui tutta una serie di sostantivi che indicano oggetti intrecciati come ad esempio: sherah un “braccialetto”, sherok un “laccio dei sandali”, sharsheroth delle “catene” o “ghirlande”, shoresh una “radice”, saroq un “tralcio di vite”, sarigim dei “tralci” o “rami”, serad un “intreccio” o “tessitura”, saraph un “serpente”. Quest’ultimo termine ricalca la radice indoeuropea SRP che indica il movimento sinuoso e strisciante dei rettili, da cui il nome stesso del “serpente”.
Il secondo tipo di animali nell’ordine della creazione biblica è definito come ‘oph i’opheph. La traduzione con l’espressione «uccelli volino sopra la terra» non rende conto della correlazione tra sostantivo e verbo, che sono volutamente accostati per mettere in evidenza la radice fonosimbolica ‘ayn+peh riferita al movimento specifico degli uccelli, cioè al battito delle ali. Secondo Fabre d’Olivet «il suo uso più frequente è come onomatopea, per dipingere i movimenti agevoli, agili, lievi e veloci». Infatti i fonemi P e F, che in ebraico sono allofoni della stessa lettera p, esprimono l’idea del soffio come nell’inglese puff. In tutti i termini che si riferiscono all’idea di soffiare o respirare, compare sempre la lettera p come nel suo stesso nome peh che indica la “bocca” cioè l’organo con il quale si soffia. Il verbo anaph significa “respirare”, ma anche “sbuffare”; la parola aph indica le “narici”, cioè gli orifizi mediante i quali normalmente si respira; nephesh significa “anima”, e così via. Se si antepone una gutturale alla lettera p, si ha l’impressione fonosimbolica di una compressione seguita da un movimento d’aria come nel termine ‘oph che indica appunto l’uccello in quanto volatile, che vola mediante il battito delle sue ali. Da notare che le ali degli uccelli si muovono sempre in coppia, cioè sincronicamente, in contrapposizione al movimento dei rettili o pesci che è tipicamente alternato.
Ricapitolando, nella Genesi sono indicati come casi opposti due tipi di animali: uno che si muove con fatica strisciando in orizzontale, con un movimento alternato e sfasato; l’altro che si muove agilmente in verticale, con un movimento sincronizzato. San Gerolamo sintetizza con i due termini reptile e volatile che simbolicamente rappresentano le due tendenze opposte: infera e celestiale, cioè materiale e spirituale. Questa opposizione ricorre anche nella tradizione alchemica per rappresentare il fisso e il volatile e se ne trova motivazione anche nell’evoluzione biologica, giacché gli uccelli discendono filogeneticamente dai rettili.
Nel versetto successivo sono creati i “grandi cetacei” ha-tanninim ha-geddolim. Questo nome tannin indica una “balena”, un “drago” o un “mostro marino”. Può indicare anche un “serpente” come ad esempio nell’episodio in cui Mosè trasforma la sua verga in un serpente davanti al faraone. La radice del nome si basa sul raddoppio della lettera N il cui nome nun pare che significasse “pesce”, come l’accadico nūnu. Tuttavia la forma a zig zag della lettera fenicia nun, da cui la nostra N, deriva probabilmente dalla stilizzazione di un serpente. Facciamo un po’ di chiarezza. Dal punto di vista fonosemantico la nasale labiale M costituisce il suono più semplice ed elementare, per cui rappresenta la “madre”, la “materia”, la “matrice” universale in cui tutto è in uno stato di indistinzione, da cui tutto nasce e in cui tutto ritorna mediante la “morte”. Questa condizione di sostanza senza forma, che può assumere tutte le forme, è simboleggiata naturalmente dalle “acque” mayim da cui appunto il nome della lettera mem. La nasale N, con la sua articolazione dentale o alveolare, rappresenta invece una determinazione ovvero una individuazione: se M è la madre, N è il figlio; se M è la morte, N è la nascita; se M è l’acqua, allora N rappresenta tutto ciò che “nuota” o “naviga”. Il raddoppio della N rappresenta dunque la ripetizione dell’atto riproduttivo, cioè secondo Fabre d’Olivet, «una nuova produzione che emana da una produzione più vecchia per formare una catena continua d’individui della stessa specie». In effetti, come verbo, nun significa “propagarsi”, “aumentare”.
Ricapitolando, la lettera nun esprime l’idea della “propagazione ciclica” che è schematizzata del movimento a zig zag di un animale acquatico. La ciclicità può essere rappresentata anche da un cerchio, ovvero dalle spire di un serpente che si avvolge su se stesso. Nell’antico Egitto il Nun rappresentava l’oceano primordiale in cui «non c’è distinzione tra una forma e l’altra» ma «questa condizione primordiale a cui viene dato il nome di Nun è talvolta resa con la figura di un grande serpente, anche se l’immagine del serpente dalle molte spirali deve essere vista come una prima manifestazione di qualcosa che scaturisce dall’oceano delle potenzialità». Probabilmente è questa immagine del serpente avvolto su se stesso che ispirò, nell’Egitto del periodo ellenistico, la figura alchemica dell’οὐροβόρος.
Anche la “balena”, il cui nome tannin si fonda sulla lettera nun, è una rappresentazione tradizionale dei cicli cosmici, così come ha dimostrato René Guénon, ma i cetacei si muovono in un modo particolare in cui differiscono sia dai serpenti che dai pesci. Infatti, avendo la pinna caudale orizzontale, si muovono oscillando in verticale; inoltre essendo dei mammiferi devono riemergere periodicamente per respirare. Proprio per questo movimento caratteristico di immersione e riemersione, la balena deriva il suo nome dal greco φάλλαινα, legato da una radice che significa “manifestazione”, da cui pure il verbo “balenare” con il significato di “lampeggiare” o “apparire improvvisamente”. Perciò i grandi cetacei della Genesi rappresentano propriamente i grandi cicli cosmici caratterizzati dalle due fasi alternate di manifestazione e occultamento. Questi cicli sono detti appunto geddolim “grandi” in contrapposizione agli altri tipi di ciclo, rappresentati da altri animali, che invece devono considerarsi come dei sottocicli.
Dopo i cetacei la Genesi indica di nuovo i rettili acquatici e i volatili, ma aggiunge per entrambi una ulteriore precisazione sul mezzo di propulsione.
Riguardo ai rettili introduce il termine remesh ad indicare il movimento ripetuto ed alternato di appendici propulsive, come quello delle pinne o dei remi. Secondo Fabre d’Olivet «questa parola proviene dalla radice M+SH che esprime tutto ciò che si tocca, si raccoglie o si ritira in sé, a cui la R imprime una nuova forza motrice». Per somiglianza fonetica Fabre d’Olivet accosta a remesh la parola ramasser che in francese significa “raccogliere” ma in italiano potremmo ancor meglio accostarvi remare, ramazzare o rimestare cioè tutti verbi che indicano movimenti ripetuti di un’appendice che si immerge in un mezzo fluido o che tocca una superficie per strofinare o per ottenere una spinta dovuta all’attrito.
Riguardo ai volatili si menziona l’ala, il cui nome ebraico kanaph ne descrive con precisione la struttura e il movimento. Infatti la gutturale K seguita dalla nasale N esprime l’idea di una articolazione mobile, come peraltro nell’inglese knee, che significa “ginocchio”, mentre la PH finale si riferisce, come al solito, al movimento dell’aria. Perciò il nome ben si adatta ad indicare il movimento dell’ala che batte l’aria muovendosi su e giù come una leva fissata ad una cerniera.
Come ultima categoria di animali, la Genesi indica quelli che vivono sulla terra chiamati behemah wa-remesh. Il primo termine, secondo Fabre d’Olivet, indica «quella parte del regno animale i cui individui non volano come gli uccelli e non si trascinano o nuotano come i rettili terrestri o i pesci, poiché è evidente che lo scriba geroglifico suddivide il regno animale in tre grandi serie in base al movimento locomotivo che le distingue».
Fabre d’Olivet considera la parola behemah formata dalla radice BA «che esprime un movimento progressivo e sostenuto» e dall’onomatopea HM «che imita tutto ciò che è elevato e rumoroso». Effettivamente l’ebraico bo (accadico bā’u) significa “venire”, “andare”, “passare”, mentre hum è identico all’inglese hum che significa appunto “mormorare”. Dal punto di vista strettamente fonosemantico, la B in quanto esplosiva sonora, esprime l’idea di qualcosa che si espande, rafforzata dall’aspirazione H che la segue. La M finale esprime invece l’idea di contrazione. Nel complesso la radice B+H+M indica qualcosa che si gonfia e poi si sgonfia, cioè cresce e poi decresce. L’accostamento con la parola remesh, già usata per i rettili, suggerisce che questo movimento di crescita e decrescita è associato alla propagazione mediante movimento alternato degli arti. Considerando le modalità specifiche di locomozione, sia i rettili che i mammiferi si spingono in avanti muovendo alternativamente le zampe, ma mentre i rettili si trascinano ondeggiando alternativamente a destra e sinistra, i mammiferi hanno il corpo sospeso sopra gli arti, che si alzano alternativamente, descrivendo delle traiettorie ad arco. Sulla base di questa osservazione, i rettili rappresentano i cicli cosmici di forma sinusoidale, mentre i mammiferi rappresentano dei cicli cosmici di forma epicicloidale. Nel primo caso il ciclo descrive un movimento armonico che va, senza soluzione di continuità, da un estremo all’altro. Nel secondo caso la ciclicità si sviluppa in una serie di archi di crescita e decrescita separati tra loro da un netto rimbalzo, cioè da una cesura ciclica rapida e violenta. Per questo motivo i mammiferi e in particolare gli erbivori, dal punto di vista tradizionale, rappresentano simbolicamente i cicli biologici o i cicli storici delle civiltà, che tipicamente hanno una fase di crescita, un culmine e una successiva fase di declino che termina con l’estinzione.
Possiamo citare come esempio la tradizione indù in cui la legge (dharma) è rappresentata come un toro che si appoggia su quattro zampe (catuṣpāt): in ognuno dei quattro sottocicli (yuga) di cui si compone un ciclo dell’umanità (manvantara), il toro perde una zampa. Durante il satya-yuga il toro si appoggia su quattro zampe, durante il treta-yuga si appoggia su tre zampe, durante il dvapara-yuga su due ed infine, nell’epoca del kali-yuga rimane in equilibrio precario su una sola zampa. La diminuzione degli appoggi, correlato al progressivo accorciamento delle durate degli yuga in proporzione ai numeri 4 – 3 – 2 – 1, esprime l’idea di un progressivo decadimento cosmico, biologico, intellettuale e morale. Nella mitologia greca troviamo la stessa concezione ciclica, ma il progressivo decadimento è associato al valore dei metalli, per cui le epoche sono denominate in successione come Età dell’Oro, dell’Argento, del Bronzo e del Ferro, cui però Esiodo aggiunge l’epoca degli Eroi tra la terza e la quarta.
Altro esempio ci viene dall’astronomia dell’antico Egitto, in cui la costellazione del Carro maggiore era chiamata meskhetiu (trasl. mshtyw) ed era rappresentata come la coscia di un toro o di una vacca. Trattandosi di una costellazione circumpolare, possiamo ipotizzare che il movimento ciclico di una gamba durante la deambulazione fosse correlato simbolicamente alla rotazione della volta celeste. Nella tomba di Senmut e nel tempio di Dendera, la costellazione del Carro Maggiore è rappresentata come un toro con una sola gamba, proprio come il dharma della tradizione indù. Notiamo che anche nel caso della tradizione egiziana si ritrova l’idea di instabilità e decadenza, poiché la gamba del toro è incatenata al pilastro del polo, oppure trattenuta dall’ippopotamo, che è una rappresentazione della costellazione polare del drago, mentre Horus la pungola con una lancia. Alcuni vi hanno intravisto una allusione alla precessione degli equinozi, con ciò intendendo un disallineamento dell’asse terrestre da quello celeste. A differenza degli uccelli che muovono le ali in modo sincrono, sia i rettili che i mammiferi si distinguono per il concetto di sfasamento: infatti i rettili si muovono in modo alternato, mentre gli arti dei mammiferi descrivono delle traiettorie epicicloidali, che derivano dalla rotazione intorno ad un asse mobile, cioè non fisso.
Questo sfasamento è la manifestazione di uno squilibrio cosmico che si sviluppa attraverso fasi cicliche, poiché l’azione determina sempre una reazione contraria ma sfasata, nello spazio o nel tempo, cosicché esse non si annullano a vicenda ma si propagano in una lunga catena di causa ed effetto finché il movimento non si estingue per attrito, cioè per dissipazione.
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