di Silvano Danesi
segue da
Qual è ‘l geomètra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige,
tal era io a quella vista nova:
veder voleva come si convenne
l’imago al cerchio e come vi s’indova;
ma non eran da ciò le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne”.
Dante, Paradiso, XXXIII
“La verità non è venuta al mondo nuda,
ma è venuta in simboli ed immagini”.
Vangelo gnostico di Filippo
Il segreto non svelabile è mistero
Il grande non svelabile segreto della Massoneria (i Riti sono altro dalla Massoneria) è la theoría (contemplazione) del lógos e, essendo il lógos l’azione e il mostrarsi dell’archè, ossia del Fondamento, contestualmente e necessariamente, è la theoría dell’arché e della phýsis (l’archè che si mostra). Ma è un segreto, oppure un cammino iniziatico, che ha come obbiettivo la conoscenza, intesa come theoría e come epistéme e la ricerca come progressivo avvicinamento alla verità del Fondamento?
Che sia il lógos al centro della riflessione massonica è reso evidente dal fatto che ad ogni apertura dei lavori di Loggia sull’ara è posto il testo del Prologo del Vangelo di Giovanni, un testo greco che inizia mettendo in luce il rapporto tra il Principio (arché) e il lógos e il rapporto tra il lógos e la molteplice realtà manifesta che costituisce il punto centrale della riflessione filosofica, in quanto rapporto tra l’immutabile e il divenire, tra “la legge alla quale deve sottostare tutto ciò che sopraggiunge”[i] e gli accadimenti, ossia al molteplice che “si para davanti”, che si manifesta e che diviene, che “arriva da”. Il rapporto tra l’immutabile e il divenire è antica questione, mai definitivamente risolta e, conseguentemente, millenario oggetto di riflessione.
Lógos è vocabolo greco che riassume in sé molteplici significati e che, nello sforzo ermeneutico della complessità della sua realtà essenziale ed esistenziale, vede convergere tradizioni e culture che hanno connotato di sé quello che oggi chiamiamo riassuntivamente Occidente, il cui cuore è stata ed è l’Europa.
Alla luce di un’analisi attenta dei rituali formatisi nel ‘600 e codificati da Elias Ashmole, la Massoneria assume un valore universale in ragione del lógos inteso nell’accezione eraclitea.
Il Tutto, l’ólos, l’unità originaria dei primi filosofi greci è, insieme, il divino che genera l’universo e la materia dell’universo. Nella filosofia dei primi pensatori il Tutto è un Circolo: dall’unità alla divisione e alla molteplicità e dalla molteplicità all’unità.
In cammino ascoltando il Lógos
Riassumendo il contenuto di alcuni frammenti eraclitei, Miroslav Marcovich, scrive che “a livello logico il lógos è valido universalmente e opera in tutte le cose” (114 + 2 DK), che “a livello ontologico, il lógos è un sostrato al di sotto della pluralità sensoriale delle cose: è una unità sottostante a questo ordinamento del mondo”; che “a livello epistemologico, riconoscere il lógos, è condizione necessaria per una reale e corretta conoscenza dell’ordinamento del mondo” (30DK) e, infine, che “a livello etico di comportamento, il lógos, è una regola di corretta condotta di vita (…)“.[ii]
Il lógos eracliteo è perfettamente coerente con il Circolo.
Nei “due momenti più decisivi del pensiero greco – sostiene Emanuele Severino – il Circolo viene meno: in Parmenide si riduce a un Punto (perché Parmenide nega l’esistente del divenire e della molteplicità); in Platone e in Aristotele, che pure mostrano la strada per uscire dal Punto, il Circolo si spezza in due Semicerchi, perché l’unità divina originaria e la materia prima del mondo sono due assoluti reciprocamente indipendenti che, appunto per questo, non entrano in Circolo: da un lato una produzione dell’ordinamento razionale del mondo da parte di Dio (primo Semicerchio), dall’altro una tendenza della materia verso l’ordine e la forma, cioè verso Dio (secondo Semicerchio)”. [iii]
Il lógos eracliteo è unità di ciascuna coppia di opposti, unità sottostante all’ordinamento del mondo e anche proporzione e misura.
Il metodo per raggiungere il lógos
“Eraclito – ci ricorda Miroslav Marchovic – mostra il metodo per raggiungere il lógos: analizzando correttamente ciascuna cosa delle (due) parti che la costituiscono, ne risulterà una sorta di unità grazie al lógos universale”. [iv]
Scrive Eraclito: “Le cose di cui c’è vista e udito e percezione queste in verità io preferisco” (fr.55DK) e aggiunge: “Gli occhi sono testimoni più fedeli degli orecchi” (Fr 101 a DK).
Tuttavia Eraclito ci avverte che: “Cattivi testimoni sono occhi ed orecchi per gli uomini, se questi hanno anime che non ne comprendono il linguaggio” (fr.107 DK) e che: “L’apprendere molte cose non insegna l’intelligenza; altrimenti l’avrebbe insegnato a Esiodo e Pitagora; e anche a Senofane e Ecateo”.
“La percezione sensibile e l’esperienza – commenta Miroslav Marchovic – richiamano la condizione basilare per l’apprendimento del lógos onnipresente, ma questa non è la sola condizione: altre ne sono richieste, fra cui l’intelligenza, la facoltà di interpretare correttamente i dati dell’esperienza e l’intuizione. Senza tali condizioni l’uomo non può raggiungere il lógos, né ottenere la sapienza (nous), rimanendo ad uno stadio sterile”. [v]
La percezione sensibile e l’esperienza possono essere condivise. Anche l’interpretazione corretta dei dati dell’esperienza è condivisibile. Non è condivisibile l’intuizione e pertanto raggiungere il lógos è facoltà ristretta ad ogni singolo essere umano. Non ci può essere un’intuizione di gruppo, un’intuizione che appartiene ad un’istituzione, ad un’eteria iniziatica. L’intuizione è intima e personale; può essere testimoniabile e condivisibile, in seconda istanza, come narrazione.
Il grande non svelabile segreto della Massoneria non è, pertanto, svelabile, in quanto non c’è.
Il segreto appartiene ai singoli e al loro procedere nel percorso della conoscenza.
Segreto è participio passato di secernere, che è un metter da parte e indica cosa separata, riposta, arcana, misteriosa.
Il termine più appropriato per sostituire il consumato e ormai ambiguo termine segreto è: mistero.
Mistero, dal greco μυστήριον (mysterion), poi in latino mysterium, indica qualcosa di racchiuso. Da questa radice deriva μύστης (mystes) iniziato.
L’iniziato è colui che custodisce un mysterium, un qualcosa racchiuso in sé che ha appreso con il duro, continuo e fiducioso lavoro di ricerca del lógos. L’iniziazione gli apre la via, la frequentazione dell’eteria iniziatica lo aiuta a compiere il percorso di ricerca, ma il mysterium è suo.
Chi afferma esserci un segreto della Massoneria racconta banalità funzionali a “épater le bourgeois”.
La Massoneria è una via di ricerca del mysterium, ma la Massoneria non possiede un mysterium.
“La Dèa della Giustizia – afferma Eraclito – dichiarerà colpevoli i fabbricanti di menzogne e i (loro) testimoni”. Fr. 28 b DK.
Vivere secondo quanto prescrive la phýsis
Platone nel Teeteto del lógos distingue tre accezioni: manifestazione del pensiero attraverso i suoni articolati di una lingua; il render conto di una cosa enumerandone gli elementi; l’enunciazione di differenza o segno distintivo che individua qualcosa. Il campo del lógos filosofico, così delimitato, è quello del discorso e in particolare di quello definitorio, a cui è associato quello dichiarativo.
Il duplice significato di lógos come ratio e oratio è affermato in ambito stoico con la distinzione tra lógos endiáthetos (interiore) o oratio concepta, il pensiero e lógos prophorikós o proferito, ossia l’oratio prolata, il discorso.
In Filone, il lógos è il supremo mediatore tra dio e il mondo creato, in quanto idea delle idee.
Da Platone a Filone le valenze eraclitee del lógos si restringono fino a perdere la qualità originaria di sostrato al di sotto della pluralità delle cose, dalla quale discendono gli aspetti logico, epistemologico ed etico e fino a perdere il significato di quella “parola greca che, sin dall’inizio del pensiero filosofico – scrive Severino – nomina quel lasciar parlare le cose senza imporre loro un senso estraneo, ma lasciando che esse, manifestandosi, si impongano”. [vi]
Il Tutto è, fino a Platone e Aristotele, unitario; essi lo concepiscono come spezzato in due dimensioni tra loro indipendenti ed eterne: dio e la materia originaria. Lo stoicismo ricompone l’unità e il Circolo e la phýsis torna ad essere quella dei primi pensatori: sostanza eterna dalla quale provengono e alla quale tornano le cose del mondo.
Lo stoicismo, scrive Emanuele Severino, “mostra che il pensiero divino, proprio perché pensa sé stesso, pensa insieme l’universo e, pensandolo, gli conferisce esistenza, vita e ordine.
«Pensiero», «anima», «ragione» divini che lo stoicismo esprime tutti con l’antico termine di Eraclito: lógos. La presenza di questa antica parola di Eraclito indica la coscienza, che lo stoicismo possiede, di ricondurre alle proprie origini la grande fioritura del pensiero greco. Il Tutto è la phýsis, intesa non come semplice parte della realtà, ma come il processo in cui il lógos produce ogni cosa del mondo e ogni cosa del mondo ritorna al lógos. Per questo motivo, come nell’epicureismo, la «fisica» non è, per lo stoicismo, la scienza di una parte del Tutto, ma è la scienza, l’epistéme del Tutto”. [vii]
“Quando, all’inizio del Vangelo di Giovanni, si dice che il lógos è Dio ed è ciò per cui esiste ogni cosa – scrive ancora Severino – ci si mantiene nella dimensione in cui si muove la concezione stoica del rapporto tra mondo e Dio”. [viii]
Anche per gli stoici l’essere umano, nel quale è presente il lógos, raggiunge la virtù suprema, e quindi la felicità, dando ascolto al lógos, ossia a ciò che la phýsis prescrive.
Vivere secondo natura (phýsis) significa vivere rettamente secondo il lógos, la “luce degli uomini”. Vivere secondo virtù, essendo le molte virtù articolazioni di quell’unica virtù che è scienza, contemplazione della verità della phýsis; è vivere secondo le regole del lógos.
Il lógos degli Occidentali
Greci, Celti, popoli norreni hanno attinto alla comune radice indo-europea.
Ritroviamo il lógos nel vedico Visvakarman, il fattore di ogni cosa, il creatore universale.
Dall’incontro tra la cultura giudaica e il pensiero greco si è strutturata la concezione cristiana dell’uomo, del mondo e del divino. Dall’incontro tra la cultura egizia e quella greca è sorto l’ellenismo, che ha fortemente influito sulla cultura europea e, conseguentemente, occidentale.
Il lógos è stato declinato nel druidismo con il vocabolo Duw, nel cristianesimo è stato incarnato in un uomo dio e in Egitto lo ritroviamo in un’azione manifestativa e creatrice che assume nomi diversi secondo le varie teologie succedutesi nei secoli.
La radice concettuale del lógos la troviamo nell’indoeuropeo. Il fonema Na è il simbolo delle Acque indifferenziate. “Da esso – scrive Franco Rendich – nacque il concetto di negazione, Na, e di conseguenza quello di Nulla (…) a causa dell’impossibilità di riconoscere al loro interno alcun ente (non ente, niente) o alcun uno (non-uno, nessuno). [ix] […]. “Soltanto con un secondo tempo, con l’apparizione della luce nelle acque [ka], il pensiero indoeuropeo avrebbe riconosciuto al loro interno il primo Essere, Eka, l’Uno: «luce [Ka] che sorge [e] dalle Acque»”.[x]
Il Nulla, Na…, rappresenta le Acque viste nel loro aspetto imperscrutabile, mentre l’Uno, Eka, rappresenta le stesse Acque viste nel momento del sorgere della Luce al loro interno. Luce «creatrice», in quanto rende visibile e riconoscibile l’intero universo.
Da Ka deriva Eka (e+ka è il sorgere della luce), che dà origine a Da, luce creata.
Abbiamo, pertanto, una luce creatrice Ka, che sorge dalle Acque cosmiche Na, il Nulla, come Eka, moto di Ka e origina Da, luce creata.
Kam, derivante da Ka, infinito, e da M, limite, simbolo della realtà relativa e finita, è amore.
“La consonante M – spiega Franco Rendich – è all’origine di mātŗ «madre», il fattore femminile della creazione che conduce la divina immobilità di Eka ad incarnarsi nella terrena transitorietà di dvi, il «due». In altre parole Kāma, «amore», rivela l’unione tra l’Infinito [Ka] e il Finito [M], nell’attimo in cui nasce il loro comune desiderio di creare la vita nell’Universo”.[xi]
Il processo, in sintesi, è: il Nulla [Na – Tenebra – zero], contiene l’altra parte di sé, l’Uno [Ka, luce creatrice], il quale dinamizzato nella luce creata [Da] si realizza, per impulso d’amore [Kāma], nel molteplice materiale, caratterizzato dal limite [M].
Il lógos, come Duw (Demiurgo) è presente nelle Triadi bardiche sin dalla prima triade: Tri un cyntefig y sydd, ag nis gellir amgen nag un o honynt, un Duw, un gwirionedd, ag un pwngc rhyddyd, sef y bydd Ile bo cydbwys pob gwrth.
(Tre unità originarie e essenti e nessuna di loro può essere cambiata: un Demiurgo, una verità, e un punto di libertà, ossia un punto di equilibrio di tutti gli opposti).
E’ interessante notare la relazione della libertà, intesa come punto di equilibrio tra tutti gli opposti, con l’eraclitea syllapsis.
La quarantaseiesima Triade ci dà l’esatta polivalenza del Demiurgo: “Tre necessità del Demiurgo: essere se stesso infinito; mortale (finito) vicino al mortale (finito) e in accordo con tutte le condizioni esistenziali nel ciclo di Gwynfyd” [l’Altromondo]. Una polivalenza che accosta il Demiurgo druidico al lógos eracliteo.
Il Demiurgo, in quanto essenza, in quanto sé stesso, è infinito, ma è anche finito vicino al finito, ossia quando è nella determinazione del molteplice. In questa accezione il Demiurgo è ex-sistente.
Siamo in presenza dell’archetipo del dio sacrificato, lacerato, smembrato: Dioniso, Osiride, Cristo.
Il Duw, essendo nel molteplice ex-sistente, è una manifestazione dell’origine sconosciuta e senza nome, ossia del principio principiante, l’Oiw, che “risiede” nel Cerchio vuoto, Ceugant.
Ex-sistere deriva da ex-, “fuori” e sistere, stare, essere stabile, essere in atto, riferito ad ogni realtà in quanto tale. Il Duw, pertanto, quando è vicino al finito, al mortale “sta fuori”. Lo stare fuori non è attribuibile al Fondamento, ma a qualcosa che dal Fondamento sta fuori: in questo caso la sua azione, il Demiurgo, il lógos.
Il Duw è originato ed è una manifestazione dell’origine sconosciuta e senza nome, l’Oiw, che è un’invocazione, più che un nome e che risiede nella vacuità e il concetto di vacuità lo troviamo perfettamente espresso nel vocabolo Ceugant, il cerchio vuoto.
Ritroviamo il lógos, sotto la denominazione di Jaun Goinkoa nella cultura basca, altra importante radice d’Europa, dai più misconosciuta. Jaun Goinkoa è dio universale e Signore della Luna, il quale ha creato Begia, la luce del corpo, Egia, la luce dello spirito ed Ekia, la luce del mondo.
In Egitto il ruolo demiurgico è assegnato a vari Neter, secondo le varie teologie: Tum Atum, che crea il cielo e la terra o Knum, il dio vasaio, che plasma gli esseri umani.
E’ evidente che siamo in presenza di un archetipo che non è solo ascrivibile all’orizzonte giudaico cristiano. Un archetipo che è in altro modo presente come “figlio della Vergine”, essendo la Virgo il racchiuso infinito Fondamento delle infinite potenzialità e possibilità: la Dèa Madre origine di ogni modalità esistenziale, la matrix o utero primigenio.
Il lógos, pertanto, è il “fuoco” centrale della cultura occidentale; è il punto di incontro di tradizioni e culture che costituiscono le profonde radici dell’Occidente ed è il grande e unico non svelabile “segreto” della Massoneria, perché, come sostiene Eraclito: “La reale costituzione di ciascuna cosa ha l’abitudine di nascondersi” (Fr 123 DK)[xii] e: “Il rapporto invisibile è più forte di quello visibile” (Fr. 54 DK)[xiii].
Anche Apollo, sul cui tempio a Delfi è scritto il famoso invito all’essere umano: “Conosci te stesso”, non svela e non nasconde, ma dà segno, come scrive Eraclito: “Il Signore di cui è l’oracolo in Delfi non svela e non nasconde, ma dà segno” (Fr. 93 DK)[xiv].
Ed Eraclito, per interpretare i segni, indica i molti approcci necessari, ma soprattutto, con quel suo: “Interrogai me stesso” (Fr. 101 DK)[xv], ci dice di usare l’insieme delle nostre facoltà conoscitive.
Eraclito scrive: “Quelli che rimangono incomprensivi (anche) dopo aver udito [insegnare il lógos] sono come sordi; ad essi si applica la testimonianza del detto: presenti sono assenti” (Fr. 34 DK)[xvi], perché, ci avverte ancora Eraclito: “Se hai udito [e compreso] non me ma il Lógos è saggio concordare che tutte le cose sono uno”. Eraclito Fr.50 DK. [xvii]
Il lógos sull’ara del Tempio
Nel testo greco del Prologo del Vangelo di Giovanni, che è posto sull’ara del Tempio massonico, in quanto contenente la chiave di comprensione del rapporto tra l’archè e la sua manifestazione, si legge:
En archē ēn ho lógos
kai ho lógos ēn pros ton theon
kai theos ēn ho lógos.
Nell’arché è il lógos
e il lógos è presso theón
e theòs è il lógos.
Il Prologo è centrale nella ritualità massonica in ogni fase della stessa e udire e comprendere il lógos, udire e comprendere i suoi insegnamenti con tutte le nostre facoltà e conformarsi al lógos è il grande non svelabile segreto della Massoneria. Non svelabile e pertanto indicibile, in quanto esperienza intima e individuale e solo testimoniabile, con parole che non rendono l’esperienza, ma danno agli altri il senso di un cammino, il conforto di una possibilità di conoscere, l’indicazione di come muovere le proprie facoltà, essendo la ricerca del lógos e dei suoi insegnamenti un “volgersi verso” e un “tendersi a”.
La Massoneria, pertanto, non ha maestri intesi come sofisti, i quali presumono di portare gli uomini da uno stato ritenuto inferiore ad uno stato ritenuto superiore, perché inevitabilmente una tale presunzione si trasforma in convenienza, in moralismo, in adesione a modalità di comportamento dettati dagli usi e costumi ritenuti più convenienti in un dato momento storico. La Massoneria non è un club di esteti e di moralizzatori omologanti.
La Massoneria non afferma di possedere la verità e nemmeno che la verità è quella di cui è custode ogni essere umano in base alla sua esperienza, ma ricerca la verità.
In questo orizzonte, la Massoneria non ha un segreto, non possiede segreti, ma si pone come locus (loggia), entro il quale può operare un’azione propedeutica, e-ducativa, maieutica, di testimonianza relativa al cammino individuale che ognuno deve compiere per volgersi verso il lógos. Un locus che è spazio di condivisione e di crescita comune ed è anche fanum, tempio, témenos (da tēmnō, taglio) e pertanto recinto, luogo separato, luogo sacro.
“Dicendo che la filosofia greca apre lo spazio dove giocano le forze dominanti della nostra civiltà – scrive Emanuele Severino – non intendiamo confondere lo spazio con il gioco che vi si conduce, ma rilevare che ogni gioco della nostra civiltà, e ormai ogni gioco della terra, vien fatto all’interno di tale spazio e resta determinato così come i nostri movimenti sono condizionati dallo spazio fisico in cui veniamo a trovarci”. [xviii]
Quanto afferma Severino per la filosofia vale anche per la Massoneria: uno spazio sacro nel quale si svolge il gioco della conoscenza, nella sua accezione più ampia e nobile. Un luogo non condizionato da segreti, che non contiene segreti e che è inducente la tensione conoscitiva dei segreti della vita e della sua origine; dell’origine e delle sue dinamiche manifestative; del senso e dell’orientamento.
La Massoneria non è uno scrigno di segreti, ma un locus dove si opera nel lavoro più sacro per l’uomo: la conoscenza senza limiti; un locus che non è appannaggio di mistici o di scienziati, che non è il prolungamento dell’Accademia platonica, della Stoà, di un aristotelico Liceo o di qualsiasi altra scuola di pensiero che possa considerarsi paradigmatica e tanto meno è appannaggio di un pensatore di riferimento, sia pure esso il sedicente custode della catena iniziatica tradizionale. La Massoneria è un luogo adogmatico di ricerca.
Il lógos come azione del Principio
Nel suo discorso tenuto nell’aula magna dell’Università Regensburg il 12 settembre 2006 (noto come discorso di Ratisbona) Benedetto XVI, dopo aver delineato l’incontro tra la tradizione ebraica e la forma mentis greca, afferma: “Il Nuovo Testamento, infatti, è stato scritto in lingua greca e porta in se stesso il contatto con lo spirito greco…”.
Di importanza fondamentale è l’affermazione che “il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come lógos e come lógos ha agito e agisce pieno d’amore in nostro favore”.
Ovviamente l’interpretazione cristiana non può essere che quella in base alla quale il lógos si è incarnato in un essere particolare, ossia in Gesù.
Qui non è luogo per discutere dell’interpretazione cristiana del lógos, ma di sottolineare due aspetti del discorso di Benedetto XVI, ossia che “il Dio veramente divino si è mostrato ed ha agito come lógos”.
Chi è il Dio veramente divino? Leggendo il Prologo di Giovanni parrebbe con tutta evidenza l’arché, ossia il Principio e così l’arché si mostra e agisce come lógos. Il lógos, pertanto ha un’importanza somma, in quanto è il mostrarsi e l’agire del Principio, ossia è l’energia informata e cosciente del Fondamento.
Lógos non è solo verbo o ragione; è anche l’azione che raccoglie in sé (leghein) il senso e il significato delle cose e pertanto è il Fondamento di informazione significante in azione: energia dotata di significato e di senso.
In quanto azione che raccoglie in sé il senso e il significato delle cose, il lógos orienta.
Lógos, spiega Martin Heidegger, “può anche significare qualcosa che diviene visibile mediante la sua relazione a qualcosa, mediante la sua «relazionalità»” e, conseguentemente, “assume il significato di relazione e rapporto”. [xix]
Che lógos abbia il significato e il valore di rapporto è convinzione anche di Paolo Zellini, il quale scrive: “L’infinito era assenza (stéresis), potenzialità pura, e qualsiasi cosa, per esistere e per durare doveva opporsi alla negatività del senza-limite. Era questo, nella matematica greca, il compito del lógos, del rapporto in cui si trovano i prodromi del numero moderno”.[xx] “L’enumerazione – aggiunge Zellini – era una prerogativa del lógos, che alludeva a un’operazione di scelta e di raccolta, di aggregazione ordinata di diverse entità in un unico insieme”. [xxi]
Un’ulteriore conferma di quanto sin qui affermato ci viene dalla funzione del termine lógos in quanto discorso che «lascia vedere». Lógos è azione “del trarre fuori l’ente di cui si discorre dal suo nascondimento e lasciarlo vedere come non nascosto”[xxii], dove legein (λέγειν) significa apophàinestai, manifestare, ossia fenomenizzare.
In questo fenomenizzare è il rapporto lógos-luce.
“L’espressione greca phàinomen, a cui risale il termine «fenomeno» – scrive Heidegger – deriva dal verbo phàinestai, che significa manifestarsi; phainomenon significa quindi ciò che si manifesta, il manifestarsi, il manifesto; phàinestai stesso è una forma media di phàino, illuminare, porre in chiaro; phàino deriva dalla radice phà come phòs, la luce, il chiaro, ossia ciò in cui qualcosa può manifestarsi, rendersi visibile in se stesso”. [xxiii]
Manifestare ha il suffisso – fest, che deriva dal greco theîno: colpisco, tocco.
Logós, in quanto relazione, può essere considerato una “rete relazionale”, ossia un insieme di potenze come i biblici Elohim.
Nella traduzione dei Settanta Elohim è tradotto con theós, secondo la modalità che singolarizza il plurale per farne un unico dio, ma theós deriva dai verbi theeîn, correre e theâsthai, vedere (théa è sguardo), da cui deriva il sostantivo theòs, malamente tradotto con dio e, meglio, con “colui che corre verso l’evidenza”.
Il Prologo chiave scientifica
Theòs, nel Vangelo di Giovanni, è lógos. Ed ecco che il Prologo acquista il suo insostituibile ruolo di chiave scientifica del mito, in quanto sintesi estrema del divenire al mondo, ossia della legge del farsi mondo del Principio.
ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος, καὶ ὁ λόγος ἦν πρὸς τὸν θεόν, καὶ θεὸς ἦν ὁ λόγος
En archê ên ho lógos, kai ho lógos ên pros ton theón, kai theòs ên ho lógos.
Nel Principio era il lógos,
il lógos era presso theón
e il lógos era theòs.
Theòs non dispone in greco antico del vocativo con il quale vengono indicati i nomi propri degli dèi.
Károly Kéreny osserva che theós possiede la funzione di predicato e che è greco dire di un evento: “E’ theòs”. Theòs è l’irrompere dell’evento divino theîon. Theòs è pertanto predicato di qualcosa ed è autenticamente greco dire di una situazione, persona, incontro: questo è theòs. Solo nella ontologia cristiana viene sostantivato.
Siamo in presenza, pertanto, di un’azione. Un’azione plurale che rischiara e rende evidente, manifesta, ossia trae l’ente dal suo nascondimento, così come nella fisica quantistica avviene per l’evento, che è interazione di forze, di potenze.
Il termine lógos assume, alla luce di quanto sin qui scritto, il significato di azione, di parola, di discorso, di azione illuminante e, soprattutto, di relazione e di rapporto.
E’ opportuno ricordare che Anassimandro chiama l’archè ápeiron: illimitato, imperituro, indistruttibile, immortale, inesauribile, ciò che si muove interminabilmente, il senza morte e senza distruzione. L’archè è ápeiron e l’ápeiron di Anassimandro è, scrive Fink, “il theîon inteso come phýsis, la natura onnipresente, sempre assente, inesauribile, che racchiude in sé morte e vita, che genera ed annienta…”. [xxiv]
To theîon, ci ricorda Fink, è quel neutro che non è un’astrazione degli dèi personali, bensì ciò di cui gli dèi sono simbolo e riflesso. “Gli dèi – scrive Fink – sono potenze dell’Essere che, nel loro vigere, vengono percepite dal pensiero…”. [xxv]
Ecco tornare il concetto di Elohim: potenze. Un concetto che riguarda anche i Neter egizi.
L’ ápeiron di Anassimandro è l’abisso che fa uscire tutte le cose e che di nuovo le riprende in sé.
L’ápeiron compie interminabilmente l’ekkrinesthai, la disseparazione delle cose, spingendole nell’esserci.
Disseparazione. Ecco di nuovo il concetto espresso dalla seconda parola della Bibbia: il verbo barà, ossia dividere.
Ed è in questo dividere, che è anche un “decidere”, che l’illimitato entra nel limite e nel misurabile, ossia nel campo gravitazionale, nello spazio-tempo, così che possiamo dire, con le parole della Sapienza (11,20): “Tu hai disposto tutto con misura, calcolo e peso”.
La chiave che ci forniscono i due testi citati (Genesi e Vangelo di Giovanni) è il nesso tra informazione, formazione, forma, ossia: arché, lógos, morphé, dove l’archè è il Pincipio, il Fondamento: un Fondamento di infinita informazione (pensiero).
Morphé (μορφή) è forma sensibile, alla quale si accompagnano termini come σχήμα (skhēma, modo in cui una cosa si presenta) ed είδος (èidos, forma intelligibile).
Scrive Severino: “La nascita della scienza moderna viene comunemente interpretata come un distacco traumatico, una separazione violenta della scienza della filosofia. Ma il difetto di questa interpretazione è di non aver occhi che per i dolori del parto e per la morte della partoriente, facendo così perdere di vista che, innanzi tutto, ciò con cui si ha a che fare è un parto, dove la partoriente, anche se soffre e muore, consegna la propria essenza al nuovo essere per il quale essa muore, ma nel quale essa sopravvive”. [xxvi]
Il nuovo essere, ossia la scienza moderna, giunta alla sua maturità, dopo essersi separata dalla tutela materna, torna oggi alla madre, mostrando ora con evidenza che la sua essenza filosofica è un’eredità incancellabile e che riemerge imponendosi con forza. La scienza si riconosce e si mostra nell’epistéme, ossia torna a considerare il Fondamento immutabile.
Il lógos come phýsis, armonia e syllapsis
Il lógos in Eraclito è espresso anche con i termini phýsis, armonia e syllapsis.
Phýsis è natura e manifestazione dell’arché. Quando “i primi filosofi pronunciano la parola phýsis, essi – scrive Emanuele Severino – non la sentono come indicante quella parte del Tutto che è il mondo diveniente. …..Phýsis è costruita dalla radice indoeuropea bhu, che significa essere e la radice bhu è strettamente legata (anche se non esclusivamente, ma innanzitutto) alla radice bha, che significa «luce» e sulla quale è appunto costruita la parola saphés”[xxvii] , dove saphés significa chiaro, manifesto, evidente, vero.
“La vecchia parola phýsis – scrive ancora Emanuele Severino – significa «essere» e «luce» e cioè l’essere nel suo illuminarsi”[xxviii] e, pertanto, nel suo mostrarsi.
Phýsis è “il Tutto che si mostra”[xxix] come verità incontrovertibile.
Se archè è substantia, hypostasi ed è subjectum o hypokíemenon, ossia ciò che raccoglie tutto in sé come fondamento, physis è la manifestazione dell’arché, che sboccia da sé stessa con l’azione del lógos.
Il mostrarsi è anche verità. La concezione greca della verità è disvelamento (a-letheia) della natura (phýsis) dalla cui contemplazione (theoría) nascono le conoscenze relative al fare e all’agire. Il fare è poíesis e in questo senso il lógos è poeta dell’universo.
“Nei primi pensatori la phýsis è insieme archè [principio] e stoichéion [elemento]”. [xxx]
L’armonia è kosmos, l’invisibile armonia sottesa al chaos, derivante dalla radice indoeuropea cháos – cha o gha che interviene, come ben spiega Umberto Galimberti “in vari gruppi di parole greche: chásko, chaíno (dischiudersi, aprirsi, spalancarsi), sia latine: hiatus (intervallo, apertura)”[xxxi] e pertanto “non indica tanto il disordine, la mescolanza, quanto l’aprirsi, il dischiudersi che offre lo spettacolo della totalità. In questo senso cháos non è la situazione antecedente all’evocazione dell’ordine da parte di una volontà che, chiamando, separa, ma l’apertura originaria che ospita al suo interno ogni teogonia, ogni cosmologia, ogni generazione di dèi, di uomini e dei mondi. Non dunque una situazione superabile, ma l’apertura della totalità che include ogni situazione”. [xxxii]
Emanuele Severino ci ricorda che kósmos deriva dalla radice indoeuropea kens. “Essa – scrive il filosofo bresciano – si ritrova anche nel latino censeo che, nel suo significato pregnante significa «annunzio con autorità»: l’annunziare qualcosa che non può essere smentito, il dire qualcosa che si impone. Ci si avvicina al significato originario di kósmos se si traduce questa parola con «ciò che annunziandosi si impone con autorità». Anche l’annunziarsi è un modo di rendersi luminoso. Nel suo linguaggio più antico, la filosofia indica con la parola kósmos quello che essa indica con la parola phýsis: il Tutto, che nel suo apparire è la verità innegabile e indubitabile”. [xxxiii] Kosmos non è mondo, ma “invisibile armonia sottesa al chaós”[xxxiv] e arché che si annuncia.
“Dall’etimo più originario della parola cháos si opera una ripercussione sul termine corrispettivo che è dato dalla parola kósmos, la cui radice indoeuropea kens (da cui il latino: censeo) significa: «annuncio con autorità». Impiegare la parola kosmos, allora, non significa riferirsi al mondo che nasce solo in presenza di Dio, ma significa riferirsi a quella parola che, nell’apertura dischiusa di cháos, si annuncia con autorità senza poter essere smentita. Questa parola, per il pensiero greco, è il Logos cosmico…”. [xxxv]
Un Principio, Archè o Fondamento si dischiude, si annuncia con forza e agisce come lógos.
Ordo ab chao è pertanto il dischiudersi di un ordine implicito, che dà origine ad un ordine esplicito. Nulla a ché fare con il platonico disordine al quale è in contrapposizione l’ordine.
Il lógos come syllapsis: tensione e unità degli opposti
Nel frammento 10 DK Eraclito afferma che di ogni copia di opposti si può fare un’unità: “Rapporti: cose intere e cose non intere, qualcosa che viene messo assieme, e qualcosa che viene diviso, qualcosa che è intonato e qualcosa che è stonato; di ogni cosa può farsi un’unità e di tale unità sono fatte tutte le cose”. Frammento 50 DK: “Se hai udito non me ma il lógos è saggio concordare che tutte le cose sono uno”. Frammento 51 DK: “(Gli uomini) non comprendono in che modo ciò che diverge non di meno converge con se stesso; c’è un rapporto di tensione retrograda, come quello dell’arco e della lira”. Il concetto di tensione retrograda è espresso da “ παλιντονος [palintonos], “cioè – commenta Miroslav Marcovich – la tendenza delle due estremità di un arco teso ma inerte […] a convergere all’indietro rispetto alla linea retta. Grazie a questa duplice spinta all’indietro in opposte direzioni si può ottenere l’effettiva unità dell’attrezzo mediante la corda (νευρα) [neura]. La corda viene ad assumere in tal modo il ruolo di un principio più elevato, quello dell’unità o lógos (αρμονιη) [armonie], mentre non pare avere importanza la controtendenza, o tensione, che essa sviluppa”. [xxxvi]
Il lógos è tensione (το παλιντονον) [to palintonon], in quanto unità degli opposti.
Scrive Miroslav Marchovic che “molto spesso non si intende parlare di coincidenza logica o identità degli opposti, ma della loro unità metafisica. Secondo Eraclito, esiste un rapporto sottostante, un unico continuum fra due opposti estremi: i due opposti appartengono di necessità al medesimo intero”. [xxxvii]
Il punto di equilibrio tra gli opposti è la possibilità di de-cidere, di tagliare, di stabilire il senso delle cose eliminando in un colpo tutti i significati adiacenti: vale per la coscienza riguardo all’inconscio e per la fisica quantistica per il collasso dell’onda.
E’ come se fossimo ad una fase anteriore alla determinazione del molteplice.
Il mondo degli esistenti, ossia di esseri determinati, è originato quindi dal Demiurgo, dall’evidenza, o disvelamento e dalla libertà, ossia dall’aprirsi ed evidenziarsi della compresenza degli opposti nella divisione, che è la condizione del pólemos eracliteo (il collasso dell’onda).
“Il pólemos, come dice Eraclito, “dall’opposizione un accordo, e dai discordi bellissima armonia”. (Eraclito, DK, Fr. B8). Il pólemos, inoltre, scrive Eraclito, “gli uni svela come gli dèi, gli altri come uomini”. (EraclitoDK Fr. B53).
Nell’origine delle tre cose animate si evidenzia anche lo svelamento di due realtà: la realtà degli dèi, ossia di esseri non materiali e degli uomini, esseri materiali.
La scienza è theoría (contemplazione) della phýsis
Sempre Severino, alla cui chiarezza espositiva ci affidiamo, scrive che epistéme, comunemente tradotto con scienza, è “lo «stare» (stéme) che si impone «su» (epí) tutto ciò che pretende negare ciò che «sta»: lo «stare» che è proprio del sapere innegabile e indubitabile e che per sua innegabilità e indubitabilità si impone «su» ogni avversario che intenda negarlo o metterlo in dubbio. Il contenuto di ciò che la filosofia non tarda a chiamare epistéme è appunto ciò che i primi pensatori (ad esempio Pitagora ed Eraclito) chiamarono kósmos e phýsis”. [xxxviii]
La vera scienza è, dunque, theoría (contemplazione) della phýsis, ossia dell’archè, del Principio o Fondamento che si mostra.
Theoría deriva da théa, visione e da oráo, vedere, e l’insieme di due modi di vedere intensifica il concetto di visione, che in sanscrito è vidya, dalla radice vid (videre latino).
Plotino, nelle Ennaeadi (III,8,4), fa dire alla natura: “Meglio sarebbe non interrogare, ma comprendere e tacere, come faccio io che sono silenziosa e non usa a parlare. L’essere che nasce è visione (théama), ed io che sono nata da una simile visione ho una naturale tendenza alla contemplazione, ond’è che l’atto stesso del mio contemplare crea”.
Una descrizione perfetta del collasso dell’onda dovuto all’osservare, al vedere, al contemplare e pertanto all’essere vedenti e teoretici, in quanto ogni visione necessita di un vedente e in questo caso il vedente non può che essere il Principio stesso che, in quanto tale, si presenta come il Fondamento, ossia l’ólos, il Tutto che è cosciente, anzi coscienza infinita. “Sin dall’inizio – scrive Severino – la filosofia è l’interesse portato al Tutto che appare nella verità”. [xxxix]
Se la filosofia si rivolge al Tutto rimane da capire che cosa sia l’elemento unificatore delle cose, ossia, in altri termini, il problema della determinazione di cosa sia l’arché.
Anassimandro, ponendo come arché di tutte le cose l’ápeiron, ossia l’infinito, pone le basi di un ragionamento che oggi sfocia nel vuoto quantico che, come l’ápeiron, contiene in sé ogni opposizione essendo l’origine degli opposti, che sono in equilibrio quando sono simmetrici (un’eccitazione annichila il suo contrario) e avviano il divenire quando c’è asimmetria, ossia una prevaricazione di un’eccitazione che dà origine ad un’inflazione cosmica. Un processo continuo, quello che si svolge nel vuoto quantico, che evoca il pólemos eracliteo.
Anassimandro chiama il Tutto divino il “governo” dell’ápeiron e questo “governo” trova nelle espressioni odierne di alcuni fisici la sua giustificazione nella “coscienza del Tutto”.
Nel pensiero greco, la questione del governo dell’ápeiron, troverà collocazione nel concetto platonico di Demiurgo e in quello aristotelico di Mente motrice o di causa efficiente, “ma già in Eraclito – scrive Emanuele Severino – il lógos, la «ragione», non è solo la legge conformemente alla quale accadono le cose, ma anche la forza che le produce e distrugge. E già per Anassimandro l’archè non è soltanto la dimensione da cui tutte le cose provengono e in cui ritornano, ma è anche la forza che le «governa»”.[xl]
Anche l’ápeiron è un predicato di qualcosa e questo qualcosa oggi alcuni scienziati lo definiscono “informazione” e “coscienza”.
In questo nuovo orizzonte, la scienza torna ad essere epistéme e ad occuparsi del Tutto, “abitato”, come direbbe Severino, dalle cose, “non nel senso che si trovano in esso, ma nel senso, più forte, che l’origine da cui vengono e il termine ultimo a cui, andandosene, pervengono, stanno esse stesse nel Tutto”. [xli]
In questa formulazione del Tutto, l’arché, il Principio, si pone come “centro di irraggiamento”.
“Eraclito – scrive Severino – non afferma soltanto che «tutte le cose sono uno», ma anche che «da tutte le cose l’uno e dall’uno tutte le cose». Il Tutto include sia l’«uno» sia «tutte le cose» ma nell’«uno» stanno già e tornano a trovarsi raccolte «tutte le cose» che da esso provengono e ad esso ritornano”. [xlii]
segue
nella fotografia Eraclito
[i] Emanuele Severino, Legge e caso, Adelphi
[ii] Miroslav Marcovich, in Eraclito, testimonianze, imitazioni e frammenti, Bompiani
[iii] Emanuele Severino, La filosofia antica, Rizzoli
[iv] Miroslav Marcovich, in Eraclito, testimonianze, imitazioni e frammenti, Bompiani
[v]Miroslav Marcovich, in Eraclito, testimonianze, imitazioni e frammenti, Bompiani
[vi] Emanuele Severino, La filosofia antica, Rizzoli
[vii] Emanuele Severino, La filosofia antica, Rizzoli
[viii] Emanuele Severino, La filosofia antica, Rizzoli
[ix] Franco Rendich, L’origine delle lingue indoeuropee, Palombi.
[x] Franco Rendich, L’origine delle lingue indoeuropee, Palombi.
[xi] Franco Rendich, L’origine delle lingue indoeuropee, Palombi.
[xii] Traduzione di Miroslav Marcovich, in Eraclito, testimonianze, imitazioni e frammenti, Bompiani
[xiii] Traduzione di Miroslav Marcovich, in Eraclito, testimonianze, imitazioni e frammenti, Bompiani
[xiv] Traduzione di Miroslav Marcovich, in Eraclito, testimonianze, imitazioni e frammenti, Bompiani
[xv] Traduzione di Miroslav Marcovich, in Eraclito, testimonianze, imitazioni e frammenti, Bompiani
[xvi] Traduzione di Miroslav Marcovich, in Eraclito, testimonianze, imitazioni e frammenti, Bompiani
[xvii] Traduzione di Miroslav Marcovich, in Eraclito, testimonianze, imitazioni e frammenti, Bompiani
[xviii] Emanuele Severino, La filosofia antica, Rizzoli
[xix] Martin Heidegger, Essere e Tempo, Longanesi
[xx] Paolo Zellini, La matematica degli dèi e gli algoritmi degli uomini, Adelphi
[xxi] Paolo Zellini, La matematica degli dèi e gli algoritmi degli uomini, Adelphi
[xxii] Martin Heidegger, Essere e Tempo, Longanesi
[xxiii] Martin Heidegger, Essere e Tempo, Longanesi
[xxiv] Eugen Fink, Le domande fondamentali della filosofia antica, Donzelli editore
[xxv] Eugen Fink, Le domande fondamentali della filosofia antica, Donzelli editore
[xxvi] Emanuele Severino, La filosofia antica, Rizzoli
[xxvii] Emanuele Severino, La filosofia antica, Rizzoli
[xxviii] Emanuele Severino, La filosofia antica, Rizzoli
[xxix] Emanuele Severino, La filosofia antica, Rizzoli
[xxx] Emanuele Severino, La filosofia antica, Rizzoli
[xxxi] Umberto Galimberti, Psiche e techne, Feltrinelli
[xxxii] Umberto Galimberti, Psiche e techne, Feltrinelli
[xxxiii] Emanuele Severino, La filosofia antica, Rizzoli
[xxxiv] Umberto Galimberti, Tramonto dell’Occidente, Feltrinelli
[xxxv] Emanuele Severino, La filosofia antica, Rizzoli
[xxxvi] Miroslav Marcovich, in Eraclito, testimonianze, imitazioni e frammenti, Bompiani
[xxxvii] Miroslav Marcovich, in Eraclito, testimonianze, imitazioni e frammenti, Bompiani
[xxxviii] Emanuele Severino, La filosofia antica, Rizzoli
[xxxix] Emanuele Severino, La filosofia antica, Rizzoli
[xl] Emanuele Severino, La filosofia antica, Rizzoli
[xli] Emanuele Severino, La filosofia antica, Rizzoli
[xlii] Emanuele Severino, La filosofia antica, Rizzoli






