DALLA PIETRA GREZZA ALLA PIETRA CUBICA

Set 11, 2023 | MASSONERIA

© Silvano Danesi

E’ alla simbologia della pietra che desidero rivolgere questa riflessione, ricordando due famosi passi evangelici che, se ben letti oltre il significato apparente, ci danno chiavi interpretative assai interessanti.

Mi riferisco a due passi di Matteo e di Luca, che riguardano la pietra.

Nel testo di Matteo si legge: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa” (Matteo, 16,17-19).

Nel testo greco sono usati due vocaboli: petros e petra.

In Luca (20,17), la pietra rifiutata dai costruttori è chiamata liton, ma diviene kephalé gonias, pietra angolare, pietra capitale, akrogōniaíos quando viene indicata come testata d’angolo della costruzione del Regno.

Luca usa il termine greco κεφαλή, “capo”, mentre, a proposito di Pietro, Matteo usa i termini Petros e petra.

Tuttavia, Petros è la traduzione greca dei vocaboli aramaico kepha ed ebraico kephas, che significano roccia e l’aramaico è la lingua nella quale il Gesù dei Vangeli si rivolgeva ai suoi contemporanei.

Anche il vocabolo greco kephas deriva dall’aramaico. Kephalé è la testa.

Kephas in ebraico è un sasso quadrato, ossia un cubo.

Petros, prima di essere chiamato con questo nome, è Simone, ossia Shime’on da shama: ascoltare. Simone è colui che ha ascoltato.

Simone, come l’Apprendista massone, ha saputo ascoltare e, pertanto, diventa Compagno, kepha, kephas, sasso cubico, in quanto ha visto oltre l’apparenza della pietra grezza: da inconsapevole è divenuto consapevole; ha cambiato la sua visione di se stesso e del mondo.

La pietra grezza non è meno ordinata di quella cubica.

La geometria frattale oggi ci dice che anche in un apparente caos c’è ordine e ripetizione di schemi.

Il passaggio dalla pietra grezza a quella cubica è fondamentale, in quanto rappresenta la comprensione della frattalità: siamo fatti a immagine e somiglianza.

Kepha è un sasso quadrato, simbolo frattale di un cubo che è il simbolo della Gerusalemme celeste e della Terra.

Enoc, rapito dagli angeli, conosce vari fenomeni celesti e a proposito della Terra dice. “Vidi la pietra angolare della Terra e i quattro venti che sostengono la Terra e il firmamento”.

Nell’Apocalisse di Giovanni si legge che un angelo misurò la Gerusalemme celeste: “E la città era quadrangolare, e la sua lunghezza era uguale alla larghezza; egli misurò la città con la canna, ed era dodicimila stadi; la sua lunghezza, la sua larghezza e la sua altezza erano uguali”. (21,16).

La Gerusalemme celeste è, pertanto, un cubo.

La simbologia massonica della pietra cubica, uscita dalla gabbia dell’interpretazione moralistica, si innalza nell’iperuranio.

La Gerusalemme celeste è un cubo di 12x12x12 cubiti. La sua base quadrata è:

12 per 12 = 144

144 è il doppio di 72, un numero che corrisponde ad un grado precessionale.

La riga del Maestro delle Cerimonie massonico è, non a caso, di 144 unità, in quanto egli è il conduttore di una cerimonia, di un’azione sacra relativa al Tempio dell’Uomo e al Tempio del Cosmo.

Siamo in presenza del mandala della quaternità, ma anche di un’indicazione archetipica di frattalità, ossia di un universo ologrammatico.

La pietra cubica è simbolo di armonia e di stabilità.

Il cubo e l’ottaedro nella loro simmetria evidenziano gli stessi rapporti armonici, costituendo tre accordi perfetti: di ottava, di quinta e di quarta.

Con la necessaria approssimazione, possiamo per il cubo e l’ottaedro identificare le seguenti  armonie.

 

12/6 2 ottava Do-Do
12/8 3/2 quinta Sol-Do
8/6 4/3 quarta Fa-Do

Per quanto riguarda il dodecaedro e l’icosaedro abbiamo le seguenti relazioni:

20/30 2/3 seconda minore < Do Re bemolle <
30/20 3/2 quinta Sol Do
12/30 2/5 unisono < Do Do <
12/20 3/5 @ seconda minore @ Do Re bemolle
30/12 5/3 sesta maggiore Do-La
20/12 5/3 sesta maggiore Do-La

Per quanto riguarda il tetraedro, duale a se stesso:

4/6 2/3 seconda minore < Do Re bemolle <
6/4 3/2 quinta Sol-Do
4/4 1 unisono Do- Do

 

La pietra cubica e la piramide

La simmetria tra cubo e ottaedro ci rinvia al simbolo massonico della pietra cubica, dove il cubo è sormontato da una piramide, la cui parte interna raggiunge il centro del cubo stesso.

Il simbolo ci parla dell’Egitto, di una piramide evidente e di una nascosta.

Nell’antico Egitto la teologia eliopolitana ci trasmette l’informazione che Tum Atum, “Colui che è-Colui che non è”,  è emerso dall’oceano primordiale, il Nun, in forma di piramide. Un oceano, il Nun, che evoca il campo quantistico fondamentale, costituito da campi di radiazione (bosonici) e da campi di materia (fermionici) dove le particelle nascono da eccitazioni del campo e si annichilano nel campo, producendo fotoni, unici a spravvivere in un universo di luce. Non è impossibile pensare alle particelle che si creano e si annichilano come a Colui che è Colui che non è. Il concetto di eccitazione ricorda il vedico tapas, l’ardore, l’energia essenziale, l’origine stessa del mondo o, meglio, dei mondi.

Interessante anche il riferimento, che balza alla mente, al rituale massonico, laddove è detto: “Che la Sapienza illumini il nostro lavoro”, seguito da: “Che la Forza lo renda saldo” e da: “Che la Bellezza lo irradi e lo compia”.

La sequenza è che il Fondamento informativo (Arché) illumini (azione) e che la forza (le possibilità) lo renda saldo (dalla potenza all’atto, dalle possibilità alla determinazione), ossia dia luogo a energia e a materia, così come è detto a proposito della Bellezza, ossia del campo morfogenetico o se si vuole della Natura, che irradia (campo bosonico, campo elettromagnetico) e compie (campi fermionici, materia).

La piramide, nella quale si materializza Tum Atum, si pone, nella teologia eliopolitana, come simbolo della morfogenesi manifestativa: dell’esistenza (ex sistere, stare saldo, stabile).

Cristalli di puro pensiero in un corpo di luce

C’è un’antica storia: “Il Canto della Perla” o “L’inno della Perla”, che si trova negli Atti apocrifi dell’apostolo Tommaso: una composizione gnostica. Negli Atti il testo ha il suo titolo originale: “Canto dell’apostolo Tommaso nella terra degli Indiani”.

Dalla casa celeste (potremmo definirlo la Patria) lo spirito individuale (la nostra vera essenza) viene inviato nel mondo materiale, nella molteplicità, a cercare una Perla (la sua anima), simbolo dell’Unità (quindi una sorta di Patria traslata, un’ambasciata del Cielo) o, meglio, custodia di quei “pezzi” di Unità che possiamo in altri termini chiamare “scintille divine”, “manred” (druidismo), “Bindu” (induismo) o, meglio ancora, cristalli di puro pensiero.

Lo spirito individuale si culla nella materialità, ma risvegliato per intervento divino, recupera la Perla e si riveste del manto di gloria che aveva lasciato scendendo sulla Terra.

In chiave criptata troviamo il viaggio dell’iniziato che, risvegliato nel corpo, ossia padrone delle sue percezioni, ritrova la sua anima, che contiene il suo “se stesso”, cristallo di puro pensiero e si riveste di un corpo di luce, riconoscendosi come essere celeste, “seme” divino.

Utilizzo il termine “seme”, semen in latino, in quanto composto dalla radice del verbo se-rere, seminare e –men, terminazione participiale. Il termine seme ci dà il senso del gettare, dello spargere (radice *sa), che rinvia all’archetipo dell’Uno sparso nel molteplice.

L’immagine di puro pensiero cristallizzato è funzionale all’aspetto geometrico, ossia di schema relazionale, del nostro “se stesso”.

Nei solidi platonici il cubo, in base alle leggi della simmetria, è simmetrico all’ottaedro, ossia alla doppia piramide regolare, proiezione tridimensionale della losanga (rombo), cuore della vesica piscis.

Nell’iconografia tradizionale, la vesica piscis, o mandorla, racchiude in sé il Divino.

Vista in tridimensione la vesica piscis è effettivamente una mandorla e racchiude in sé l’ottaedro, la forma cristallina naturale del diamante, che è carbonio puro, ossia il componente principale del vivente.

 

Se assimiliamo la Perla alla vesica piscis, possiamo pensare all’ottaedro diamante puro carbonio cristallizzato, come simbolo del “corpo di luce”, in quanto non materiale, corrispondente al “noi stessi” e come gemello simmetrico del cubo, il quale, poiché nella Tradizione è assimilato all’elemento Terra, è simbolicamente il corpo materiale.

Poiché l’ottaedro (assimilato nella Tradizione all’elemento aria) è simmetrico al cubo, possiamo dedurne che nella simbologia l’aria (anemos, spiritus, soffio divino, puro pensiero) è simmetrica alla terra (corpo).

Il corpo racchiude un “cristallo di puro pensiero”, il nostro “se stessi”.

Il cubo è il soma e l’ottaedro è il puro pensiero cristallizzato e racchiuso nella Perla. In altri termini, il complesso Perla (vesica piscis) e ottaedro (puro pensiero cristallizzato) è la psýchè-olcsos, ossia il nostro “Sé” (cristallo di puro pensiero), racchiuso nel suo “sostegno” .

Un ottaedro adamantino implica un rapporto con il carbonio, elemento base del vivente.

Diamante è termine greco composto da a privativo e da damac, dal significato di domare. Il carbonio puro, in forma adamantina, è pertanto indomabile, in quanto “se stesso”, identità divina. Poiché dyus significa splendore, identità divina è “identità di luce”.

Nel diamante l’atomo di carbonio si dispone anche in una struttura tetraedrica (facce triangolari) e il tetraedro è simmetrico a se stesso. Poiché il tetraedro è assimilato al fuoco, possiamo dedurne, simbolicamente, che il fondamento del “seme” è il fuoco. Eraclito direbbe: fuoco semprevivente. Fuoco è ardore, Eros, impulso creativo.

Il carbonio amorfo brucia ed è assimilabile, simbolicamente, alla pietra grezza, ossia al corpo mortale, mentre il carbonio adamantino è esso stesso fuoco, “grumo di informazione rivestito di corpo di luce”, ossia il Sé.

L’ottaedro “seme” della creazione

Nel diamante c’è, dunque, simbolicamente un impulso creativo Eros, è c’è il “seme” della creazione, l’ottaedro.

Il diamante si presta anche ad altre simboliche significanze. Può avere forma esacisottaedrica (48 facce triangolari scalene) della stessa famiglia di simmetria del cubo e dell’ottaedro, rombododecaerdica (le cui diagonali minori formano gli spigoli del cubo e quelle maggiori quelle di un ottaedro regolare) e dodecaedrica. Il docedcaedro (etere nella Tradizione) è simmetrico all’icosaedro (acqua nella Tradizione).

Nel diamante, pertanto, abbiamo la presenza di tutti i solidi platonici.

Cristallo deriva da una radice *kry *kru, che ha il significato di esser duro, rappreso, congelato.

La forma cristallina ci consegna l’immagine di un soffio rappreso, congelato e il termine kryeros (frigido) ci dà l’idea di un eros, ossia di un ardore creativo, congelato, fissato, custodito nella Perla.

La Perla, anima custodente, olcsos, contiene un cristallo adamantino, il nostro “se stessi”, daimon, fissato e simbolizzato dall’ottaedro, che è simmetrico al cubo, forma a sua volta connessa con il carbonio e simbolicamente collegato al corpo.

La legge di simmetria in fisica consente di conoscere le proprietà di alcune forze conoscendo le forze ad esse simmetriche. Analogamente (se rimaniamo in chiave simbolica) la legge vale per il rapporto “se stesso” (cristallo di puro pensiero), e corpo.

Il rapporto psýché-olcsos e corpo è qui evidenziato in forma fisica e geometrica.

Interessante a questo proposito quanto scrive Bruce H. Lipton a proposito dei cristalli, distinguendo tra quelli solidi, come il diamante, e quelli liquidi, la cui struttura è fluida.

“La membrana [cellulare] – sostiene Lipton – è un cristallo liquido semiconduttore, dotato di porte e canali”. [1]

L’amico interiore in forma di pietra.

Il Sé, “l’amico interiore”, per gli alchimisti, “appare loro sotto forma di «Pietra»”. [2]

“Dalla nigredo procede la «pietra», il simbolo del Sé immortale”. [3]

Nel Tractatus aureus è scritto: “Comprendete, voi figli dei saggi, ciò che la pietra vi grida: «proteggimi e ti proteggerò, dammi il mio, affinché possa aiutarti»”.[4]

Nel Rosarium Philosophorum è scritto: “Dammi ciò che mi spetta, affinché possa aiutarti”[5] e: “Questa è la pietra, piccola, di scarso valore, gli stolti la disprezzano, l’amano i saggi”. [6]

Nel Libro di Krates: “Questa pietra è subordinata a te, poiché ti obbedisce, ma è superiore a te poiché ti domina; dipende da te, poiché dipende dalla tua capacità di conoscere, ti circonda e ti trascende, poiché comprende i tuoi pari”. [7]

Hermes (Mercurio, Thoth) è la pietra, in quanto mistagogo, psicopompo, amico e consigliere.

“Il lapis exilis – sostiene Jung – getta forse un ponte al lapsit exillis, al Graal di Wolfram Von Eschembach”. [8] Lapsit exillis che è la contrazione di lapis lapsus ex coelo: una pietra caduta dal cielo, una pietra in esilio.

Con il termine Sé, scrive Jung “ho voluto intendere l’interezza psichica, e nello stesso tempo un centro: nessuno dei due coincide  con l’Io, ma lo include come un cerchio più grande ne comprende uno più piccolo”. [9]

Il Sé è il nostro centro, il nostro “amico interiore”, il Maestro.

La pietra, pertanto, nella sua accezione di Sé è il nostro Maestro interiore: il vero Maestro di noi stessi.

© Silvano Danesi

 

Silvano Danesi

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