CARBONERIA (4) – IL BOSCO SACRO COME TEMPIO

Ago 12, 2025 | SCIENZE ESOTERICHE

di Silvano Danesi

Il bosco sacro dell’antichità è il Tempio. Nelle tradizioni greca e latina il nemus, così come il nemus celtico druidico è uno spazio aperto, una radura in un bosco. La radice *nem esprime l’idea di tagliare, dividere e distribuire. Il verbo greco némō contiene in sé le accezioni di: mettere in disparte, isolare, ma anche di occupare e di abitare.

Il bosco sacro è un luogo appartato, isolato, protetto e abitato. Abitato da un dio, il carbonaro “Profeta delle Foreste” e dai suoi iniziati.

Dalla radice *nem deriva anche Nemesi, Dea della distribuzione, della divisione tra ciò che è degli uomini e ciò che e degli dèi.

In latino il bosco sacro è anche un lucus, dalla radice indoeuropea *leuk che in sanscrito dà lokah, spazio libero. Il lucus è nella sua prima accezione una radura nella foresta.

Troviamo qui un interessante collegamento con la loggia massonica.

“La parola “Loggia” – secondo Gui Trévoux – significa “piccolo riparo di fronde” e deriva dal latino lucus, che significa “bosco sacro” .[1]

Se stiamo ad altre etimologie, troviamo la più accreditata che ci rende il significato di capanna, di baracca (francese loge, inglese lodge, spagnolo lonja e quella alto tedesca lauba, dalla quale deriva il latino barbaro lobia, lobium, ossia loggiato).

Laubia poi deriverebbe da laub, in gotico lauf e in inglese leaf, dal significato di fronda, foglia.

Possiamo pertanto ben dire che la loggia è una capanna, un piccolo riparo di fronde in un bosco e, successivamente, una capanna, un alloggio. I significati ben si accordano nel definire la loggia come un possibile riparo per uomini e strumenti, sia in un bosco, sia in un cantiere, che è comunque un luogo all’aperto entro il quale è in atto una costruzione.

In uno slargo del bosco c’è l’attività di carboneria, in uno slargo del bosco si costruisce la cattedrale.

La Loggia come Dea Madre

La morte e la rinascita dell’iniziando avviene nello spazio sacro, nel Tempio della Loggia, che si pone come Dea della morte e della trasformazione (Morrigan) e della nascita e della vita (Brighit, Dana).

“Dato che tutto il procedere dell’umanità è come un ritorno più o meno inconscio verso la madre, – scrive Jean Markale – è giusto chiedersi se la madre non costituisca l’essere primitivo ideale, tanto sul piano divino quanto sul piano umano”.[2]

Il pavimento a scacchiera del Tempio della Loggia massonica, così come l’alternarsi della luce e dell’ombra in una radura del bosco, sono simbolicamente riconducibili alla Dea Madre.

Nel Neolitico (7 mila – 3 mila a.C.) la scacchiera si alterna alla rete (presente sin dal Magdaleniano (13.000 a.C) come simbolo dell’acqua della vita e del liquido amniotico.

L’Oriente e il pavimento a scacchi rappresentano l’unus mundus (scacchiera e mundus) della scacchiera primitiva, dove il mundus è l’inghiottitoio, l’accesso all’Altro Mondo, e la scacchiera è l’estensione ordinata nel manifesto da parte dell’Essere immanifesto. Ordo ab chao: l’ordine implicito estratto dall’ordine esplicito.

La scacchiera si presenta come il luogo del gioco di Dio, la Lila.  Il Kernunnos (Lug, Mabon) è il cervo, dio del gioco, che partecipa al gioco della Signora del Gioco. Il dio-cervo è il dio che porta la scacchiera sul petto o sulla schiena. “La connessione tra il cervo e la scacchiera – scrive Margarete Riemschneider – è perciò antica quanto i primissimi miti che noi conosciamo. Presso gli Hittiti il dio del gioco è il dio cervo; cosa che incontriamo anche presso i Celti, anzi, addirittura presso i Peruviani”. [3]

La scacchiera è la foresta, il luogo del chiaro-scuro, delle luci e delle ombre e la foresta è la Dea, nella quale si svolge la vita del cervo, del Kernunnos. La Natura, nelle sue molteplici forme si presenta in questi archetipi in tutta la sua magnificenza.

In un’invocazione contenuta in un erbario inglese del XII secolo (British Museum) emerge con forza l’identificazione della Dea con la Natura.

“Dea Divina Madre Natura, che generi tutte le cose e riporti di nuovo il sole che hai donato alle genti; Custode del cielo e del mare e di tutti gli Dei e i poteri; sotto il tuo influsso tutta la natura si assopisce e dorme… Quando ti piace, tu riporti la lieta luce del giorno e nutri la vita con la tua eterna malleveria, e quando lo spirito degli uomini trapassa, è a te che fa ritorno. E invero tu sei giustamente chiamata Grande Madre degli Dei…”.

Loggia luogo del Logos

C’è, tuttavia, un’altra etimologia, che fa derivare il termine loggia da lògium o logeium dai significati di pulpito, proscenio, tribuna. Significati che poco si accordano con quello di capanna, ma che estendono il concetto di lobbia, loggiato, ossia di un luogo elevato della casa. Pulpito, proscenio, tribuna è il luogo dal quale si tengono discorsi, per cui lògium sarebbe connesso con logos.

Ecco, dunque, il significato essoterico di riparo per uomini e attrezzi e quello esoterico di luogo del Logos. Quel Logos che compare sull’ara della Loggia massonica, presente nel pro-logos del Vangelo di Giovanni e che si propone, ad una lettura esoterica, come Demiurgo o Grande Architetto dell’Universo.

Gli uomini figli della Pietra

Le pietre sono le ossa della Dea Madre Terra e la Pietra è la Madre Terra stessa. L’Umanità, come narrano alcuni miti, nasce dalle ossa della Madre Terra. Il più conosciuto tra questi è quello di Deucalione e Pirra.

Deucalione e Pirra dopo il diluvio pregarono Zeus di ridare vita agli uomini e Hermes, il messaggero degli dei, li avvisò che sarebbero stati esauditi. Apparve allora Temi, nel cui santuario Deucalione e Pirra si erano recati a pregare e disse loro: “Chinate il capo e gettatevi dietro le spalle le ossa di vostra madre”. Deucalione e Pirra capirono che si trattava della Madre Terra. Raccolsero le pietre e le gettarono alle loro spalle e queste si trasformarono in uomini.

“Deucalione gettava le «ossa di sua madre» al di sopra delle spalle per ripopolare il mondo. Queste «ossa» erano pietre, ma nelle più vecchie tradizioni dei popoli cacciatori – tradizioni che risalgono al Paleolitico – l’osso rappresentava la sorgente stessa della vita; nell’osso era infatti concentrata l’essenza ultima della vita, cominciando dalle ossa rinascevano sia l’animale, sia l’uomo”. [4]

Giovanni Battista accennò a una leggenda del genere, “in un gioco di parole, coi termini ebraici banin e ebanin, dichiarando che Dio poteva far sorgere i figli di Abramo dalle pietre del deserto”: [5] “…e non crediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre”. (Matteo, 3,9)

“…e non cominciate a dire in voi stessi: Abbiamo Abramo per padre! Perché io vi dico che Dio può far nascere figli ad Abramo anche da queste pietre”. (Luca, 3,8).

A Chartres è scritta, in uno splendido libro di pietra la sapienza druidica, debitrice della cultura della civiltà megalitica, legata alla Dea Madre del Neolitico, ossia alla Virgo paritura (la vergine druidica di Chartres).  Dove ora sorge la cattedrale di Chartres c’era uno dei luoghi più sacri del mondo druidico, la foresta dei Carnuti (i Guardiani della Pietra – Car o Gar), dove si riuniva ogni anno l’assemblea druidica della Gallia. E’ in questo luogo sacro antico, custodito dai druidi, che si intersecano la Pietra, intesa come Madre Terra, la pietra, intesa come manifestazione corporea dell’energia, ossia della Virgo, la pietra come materiale da costruzione da parte dell’uomo di armonie che ripropongono quelle della creazione del manifestato (tradizione libero muratoria), la pietra, intesa come essenza (lapis alchemica, pietra filosofale), la pietra come Umanità.

La pietra rappresenta la totalità dell’uomo così ché si stabilisce un’identità della pietra con l’uomo stesso o, meglio, con quel fattore insito nell’uomo, ma a lui sovraordinato, in cui oggi possiamo senza difficoltà riconoscere il Sé. [6]

Gli uomini figli dell’albero

Oltre che figlio della pietra, l’essere umano è figlio del legno. I due testi dell’Edda poetica e dell’Edda di Snorri concordano “sui nomi del primo uomo e della prima donna: Askr e Embla e sulla loro origine dal legno (Snorri parla di due «alberi» o «tronchi»; nella Völospa l’origine arborea è implicita nei nomi «frassino» ed «olmo»)”. [7]

Dopo il crepuscolo degli dèi (Völospa – anno 1000), racchiusi nel legno del frassino Yggdrasill si salvano miracolosamente un uomo e una donna: Lif e Lifthrasir, una replica dei due primi esseri umani forgiati da due ceppi all’origine dei tempi da Odino: Hönir e Lodhur, ossia Askr maschio e Embla femmina.

La dimora di Askr e Embla è Midgardr, la Terra di Mezzo.

Nell’Hávamal Odino dice: “Ho ricoperto dei miei abiti nel campo due simulacri di legno; sembravano uomini veri così vestiti”.

L’idea di far nascere dal legno è comune al patrimonio indoeuropeo.

In Esiodo gli uomini, sono detti Melioi, «nati dal frassino» o «frassinei»: generazione che ebbe luogo all’inizio dell’età del bronzo, ossia nel passaggio dall’età della pietra a quella dei fonditori di minerali.

Divinità arboree sono Adone (da Adon, Signore, come Adonai o come il fenicio Eshmuno), a cui corrisponde Tammuz in siriano, forma accadica di Dumuzi.

Adone, dopo nove mesi esce dall’albero della mirra (Smirna trasformata in Mirra). Adone è, pertanto, un dio figlio dell’albero.

Essendo Adone il Signore, ancora una volta la parola sacra massonica: “Ahi! Signore” assume nuovi significati.

Ed eccoci nuovamente alla leggenda di Hiram.

Mabon, Lleu Llew Gyffes e il ceppo.

La figura di Mabon, ossia di Lleu Llew Giffes (il leone dalla mano ferma) introduce una doppia riflessione: la prima è quella sul ruggito, che evoca la questione della “parola perduta” della quale ho fatto cenno nel mio: “Le radici scozzesi della Massoneria” e la seconda è quella del ciocco.

Secondo Robert Graves, infatti, il successore leggendario di Llev Llew Giffes è Robin Hood il rosso.

Hood, o anche Hod o Hud, significa, secondo l’etimologia proposta da Grave, «ciocco» e nel ciocco tagliato dalla sacra quercia e messo sul fuoco a Yule (solstizio d’inverno) si credeva risiedesse Robin, il pettirosso.

Robin Hood, ossia il pettirosso del ciocco, ama Lady Marian, l’antica dea del Mare Marian (Miriam, Maria, Mirina, Mirtea, Mirra, Marina) e dalle confessioni delle streghe ad un processo del 1664 “risulta che il loro capo o dio, noto come Robin, marchiava gli iniziati pungendoli con un ago tra le articolazioni superiore e mediana del «dito medico», l’anulare”. [8]

È l’iniziazione della spina delle rosacee e del rovo e le rosacee sono alberi in relazione simbolica con la Dea Madre.

Robin Hood, Come Llev Llew Gyffes è l’amante della Sposa di Maggio e il biancospino, albero di maggio, evoca l’antico culto.

Robin, il Pettirosso insegue Bran, il Regolo del ciuffo e Bran è un’antica divinità celtica legata all’ontano e combattuta e sostituita dal dio del frassino Gwydyon, nel cui nome sono racchiusi i due significati di legno e sapienza.

Il Padre Maestro dei riti forestali è seduto su un ciocco di quercia, ossia sulla simbolica residenza di Mabon, Llev Llew Gyffes o Robin e si propone, pertanto, come erede di antiche ritualità.

Sul capo del Padre Maestro c’è una corona di foglie di quercia.

Sul capo di Robin Hood, in qualità di cappello, c’è il muschio e muschio è stag’s horn, ossia «corno di cervo».

C’è ampio materiale indiziario, in questi necessariamente brevi cenni, per approfondimenti sul rapporto tra riti forestali e antichi riti druidici.

Il Padre Maestro, oltre alla corona di foglie di quercia è adornato da una sciarpa di seta verde.

I due simboli ne indicano la funzione di bardo, ossia di custode della Tradizione.

Hersart de la Villemarqué, nel suo: “Les bards breton” (Didier, Paris) scrive che ogni tre anni, in epoca medievale, aveva luogo all’aperto, su una montagna solenne ai bordi dell’abitato una gara poetica e che il vincitore riceveva un’arpa d’argento ed era cinto da una sciarpa blu; installato su un seggio d’oro era dichiarato capo bardo.

Il blu e il verde, per i celti, era lo stesso colore.

Tali feste, somiglianti alle feste dionisiache, dove si incoronava colui che aveva cantato il più bell’inno a Bacco.

I bardi, secondo Ecateo (250 a.C.) erano una casta di sacerdoti del sole, “le cui funzioni erano ereditarie e consistevano nel cantare sulle arpe le azioni gloriose del dio, nel custodire il suo tempio e dare leggi a una città vicina al tempio”.  [9]

 Il cuneo di bosso e il maglietto massonico.

Il bosso è un legno durissimo, che resiste al fuoco degli incendi boschivi e non galleggia nell’acqua. E’ il più duro dei legni europei. Con il suo durissimo legno, simbolo di fermezza e perseveranza, si costruiscono i martelli delle logge massoniche.

Il cuneo di bosso del Padre Maestro dei Riti Forestali è pertanto assimilabile al maglietto del Maestro Venerabile delle logge massoniche.

Pur essendo stato classificato insieme al Cipresso e al Tasso tra gli arbusti infernali, il Bosso è l’immagine del ciclo della vita. Consacrato nell’antichità ad Ade e Cibele, il Bosso era e resta simbolo funerario e di immortalità, perché è sempreverde. Per la stessa ragione veniva piantato nelle necropoli insieme a cipressi e tassi ed era per questo sacro agli dei inferi e alla dea madre Cibele. La pianta era stata anche consacrata ad Afrodite perché ritenuta contemporaneamente simbolo di amore, di fecondità e di morte. La sua capacità di autofecondarsi ne fa inoltre un emblema di castità. A causa della sua durezza e compattezza esso è diventato simbolo di fermezza, perseveranza, solidità e stoicismo.

Il Bosso non teme né il caldo né il freddo, ama il sole ma può vivere all’ombra. Le sue foglie non sono in realtà persistenti, ma si rinnovano continuamente in modo che l’arbusto resta sempreverde. Per tale motivo esso rappresenta la perpetua reviviscenza della natura.

Per i Greci era sacro a Plutone, dio protettore degli alberi sempreverdi e presso i Galli l’albero era divinizzato e simboleggiava l’immagine dell’eternità.

L’iniziando è un acciarino.

L’acciarino a ruota è il primo fra quelli comunemente usati. Era costituito da un tamburello d’acciaio (la ruota), munito di una molla a spirale interna che si tendeva per mezzo di una chiave. Il tamburello era sostenuto da due colonnine e trattenuto da un dente che il grilletto faceva scattare. Liberato dal dente il tamburello girava rapidamente su sé stesso, fregando la pirite o pietra focaia. Lo strofinio dava luogo a scintille.

Il profano è dunque uno strumento che, se ben utilizzato, dà luogo a scintille, ossia a fuoco e luce.

Il pane e il vino

Riguardo al pane e al vino va solo ricordato che essi rappresentano i doni di Iside e di Osiride, sono legati ai riti dionisiaci ed eleusini, rappresentano la luce del Logos solare materializzata nel grano e nell’uva.

I cugini portano sulla spalla un’ascia.

Il riferimento all’ascia è di grande importanza, in quanto l’ascia litica è oggetto di “antica venerazione”[10]. La pietra o ascia neolitica è considerata come simbolo del raggio che protegge la casa dove si trova dai malevoli effetti del fulmine. Ci sono vocaboli nella lingua Euskara, la lingua dei Baschi, che ci riportano direttamente all’Età della Pietra: aizkora, aitzo (ascia, coltello), con la componente aitza (pietra o roccia).

Sempre nella lingua basca, Omari, Omar, Inhar, Ozpinarri, Oneztarri, Tximistarri sono nomi della “pietra fulmine” e rispondono ad un vecchio mito molto diffuso nei paesi europei, secondo il quale il fulmine è una pietra speciale (ascia neolitica, punta di silicio), che al cadere a terra si introduce in essa fino alla profondità di sette stadi. La pietra emerge poi di uno stadio ogni anno e in capo a sette anni si trova in superficie e dal quel momento protegge la casa vicino alla quale è emersa contro gli spiriti maligni.

“L’ascia acheuliana – scrive Ervin Lazlo – utensile molto diffuso nell’età della Pietra, aveva un tipico disegno a mandorla o a forma di lacrima, scheggiato simmetricamente su ambo i lati. In Europa quest’ascia era di selce e in Medio Oriente di pietra silicea, mentre in Africa di quarzite, scisto cristallino o diabase. La sua forma di base era funzionale, ma i dettagli esecutivi identici praticamente in tutte le culture tradizionali non possono essere spiegati dalla simultanea scoperta di soluzioni utilitaristiche per una necessità condivisa: è improbabile che il processo di prova ed errore abbia prodotto tali somiglianze nei dettagli in così tante popolazioni divise da distanze incolmabili”. [11]

L’ascia come fulmine è simbolo di una pietra focaia celeste, alla quale si rapporta la pietra focaia dell’iniziando. Il tagliatore è, pertanto, anche un custode del fuoco.

Gli alberi come qualità.

Riguardo alle qualità degli alberi, evidentemente connesse con le caratteristiche dei Cugini, propongo solo qualche essenziale considerazione, lasciando all’amico Federico Gasparotti gli approfondimenti necessari.

La Quercia

Il cugino della Quercia è il padrino dell’iniziando.  La Quercia è l’albero della conoscenza ed è simbolo del Sé. Il Cugino della Quercia, pertanto, si pone come colui che guida i primi passi dell’iniziando sulla via della conoscenza che lo porta alla conoscenza di se stesso.

Il Sorbo

Il Cugin del Sorbo è seduto accanto al pane e al vino.  Il Sorbo, assieme al biancospino, è una rosacea e nella tradizione la rosacea (la rosa) è connessa con la Sapienza, con la Grande Dea, alla quale erano dedicati i Riti Eleusini, dove Demetra (pane) condivideva la ritualità sacra con Dioniso (vino).

Carpine

Il Cugin del Carpine è seduto accanto al pane e al vino.  Il Capine è simbolo di vitalità, di buon gusto e senso del dovere.

Olmo

Il Cugin dell’Olmo è in fondo al cantiere ed è il soccorritore che raggiunge nel bosco, dove si è perso, l’iniziando, lo conduce sul luogo dell’iniziazione e lo guida nel percorso iniziatico. Nell’Edda poetica e nell’Edda di Snorri la donna originaria è Embla, l’Olmo. In Svezia è un albero custode.

Acero

Il Cugin dell’Acero è accanto al ceppo d’onore. L’Acero rappresenta il simbolo della modestia, tutto in questo albero simboleggia l’economia, la prudenza e la riservatezza. Nella mitologia greca l’Acero era l’albero del dio della paura (fobos). Il ceppo d’onore è al centro dell’iniziazione ed è presidiato dalla prudenza, dalla riservatezza e dal timore che è concesso ad ogni passaggio iniziatico.

Frassine

Il Cugin del Frassino è seduto accanto al ceppo d’onore.  Il Frassino è l’axis mundi al quale si è appeso Odino per nove giorni e nove notti al fine di conseguire la conoscenza. E’ l’albero della morte iniziatica, della morte dell’ego e rappresenta l’insieme del processo psicologico di identificazione.

Faggio

Il Cugin del Faggio sta all’entrata del cantiere con il fucile in spalla. Grande albero, imponente, che si innalza fino a 40 metri, il Faggio ha pertanto tutte le caratteristiche del guardiano del cantiere Il Faggio non è solo un imponente guardiano, ma anche un apportatore di nutrimento. La faggiola, una sorta di castagna triangolare, dal sapore gradevole, è racchiusa in un involucro che assomiglia al riccio del Castagno. Il Faggio è stretto parente del castagno e la castagna, con la ghianda della Quercia, rappresentano il nutrimento: l’una terreno, l’altra spirituale. Inoltre, sotto i faggi cresce amanita muscaria, fungo connesso ai riti sciamanici, ossia a pratiche tese a traguardare i mondi. Nell’insieme il Faggio rappresenta non solo e non tanto il guardiano, ma un simbolico annuncio di quanto riserva l’iniziazione a chi ad essa si appresta.

La diana

Il Cugin del Faggio, all’ingresso dell’iniziando, batte la diana con due pezzi di legno.

La diana è la canna del canto della cornamusa bergamasca e bresciana di origini medievali: il baghèt.

La sua esistenza è attestata dalla metà del Trecento. Il baghèt è simile alla zampogna, parente della cornamusa.

In India la dhyâna è la meditazione e immersione, ossia il passaggio dall’esteriorità all’interiorità.

Dhyāna è un termine sanscrito (in pāli jhāna) che letteralmente significa visione, ma generalmente ha l’accezione d’un tipo di meditazione.

Dalla traslitterazione di questa parola nell’ambito delle filosofie orientali derivano i termini Chan in cinese e Zen in giapponese.

 

[1] Guy Trévoux, Lettere, cifre, dèi – Ecig

[2] Iean Markale, I Celti, Mondadori

[3] Margarete Riemschneider, Miti pagani e miti cristiani, Rusconi

[4] Mircea Eliade, Miti, sogni e misteri, Rusconi

[5] Robert Graves, I miti greci, Longanesi

[6] Vedi in proposito Carl Gustav Jiung, L’albero filosofico, Bollati Boringhieri

[7] Mario Polia, Le rune e i simbli, Il Cerchio

[8] Robert Graves, la Dea bianca, Adelphi

[9] Vedi Hersart de la Villemarqué, nel suo: “Les bards breton”, Didier, Paris.

[10] José Miguel de Barandarian, Mitología vasca, Txertoa

[11] Ervin Lazlo, La scienza e il campo akashico – Urra

Silvano Danesi

Silvano Danesi

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