I TEMPLARI E I SEGRETI DELLA CHAMPAGNE

Giu 11, 2023 | SCIENZE ESOTERICHE

© Silvano Danesi

La letteratura relativa ai Templari ci ricorda che nel 1070 un gruppo di monaci provenienti dalla Calabria, capeggiati da un certo Ursus, un nome che nei documenti del Priorato di Sion è spesso associato alla stirpe merovingia, aveva raggiunto la foresta delle Ardenne, proprietà di Goffredo di Buglione e luogo dove si narra sia esistita una società segreta di iniziati, probabilmente in rapporto con i culti della Dea Arduina (Ardwinna, l’Orsa Bianca, da art = orsa e win = bianca, la Dea Bianca), che nella mitologia celtica è la Dea delle foreste, rappresentata come una cacciatrice a cavallo di un cinghiale (Il suo culto ebbe origine, appunto, nelle Ardenne e in seguito Arduina venne assimilata alla romana Diana).

I monaci calabresi ottennero la protezione di Matilde, Duchessa di Toscana e madre adottiva di Goffredo, che donò loro un vasto appezzamento di terreno in Orval, nei pressi di Stenay, il luogo in cui era stato assassinato Dagoberto II, l’ultimo dei merovingi. Sul terreno i monaci costruirono un’abbazia, ma non vi restarono a lungo, poiché già nel 1108 erano tutti misteriosamente scomparsi verso destinazione ignota. Nel 1131 l’abbazia di Orval venne definitivamente assegnata a Bernardo di Chiaravalle. E qui notiamo una prima importante coincidenza: Bernardo è colui che predispone la regole dei Cavalieri del Tempio e che è ufficialmente l’ispiratore delle loro azioni.

Nel 1114 i Cavalieri Templari risultano già attivi come braccio armato dell’Ordine di Sion, ma la loro costituzione viene esaminata solo nel 1117, per essere poi approvata nel 1118 su istanza di Hughes de Payns ed Andrea di Montbard, lo zio materno di Bernardo.

L’ordine monastico nel quale era entrato Bernardo di Chiaravalle aveva seri problemi finanziari e fu allora che una svolta improvvisa cambiò i destini dei Cistercensi, che dalla miseria cui erano ridotti, proprio grazie all’ingresso di Bernardo e dei suoi parenti, si ritrovarono ad essere una delle istituzioni religiose eminenti, ricche ed influenti d’Europa.

Cos’era accaduto? Chi aveva cambiato le sorti finanziarie dei Cistercensi? E per quale scopo?

Il 13 gennaio 1129 durante il Concilio di Troyes venne redatto e approvato il regolamento dei Templari.

Nello stesso periodo è attiva la Scuola di Chartres, Parigi è divenuto il punto di riferimento del fermento innovativo che contraddistingue il XII secolo e non passeranno molti anni per vedere Chrétien de Troyes scrivere Le Conte du Graal (1174-1175?) e Wolfram il Parzival (1210). Abelardo nel 1123 fonda a Nogent sur Seine, nei pressi di Troyes, un piccolo monastero scuola, il Paracleto. Nel 1128 diventa abate di Saint Gildas, mentre Eloisa diventa abbadessa del Paracleto (1129). Alla morte di Abelardo il suo corpo è trasportato al Paracleto, convento guidato da Eloisa e divenuto influente, che diverrà il luogo di studio dell’opera abelardiana e manterrà questa impronta nei secoli.

Quale il ruolo del Paracleto nel fitto e complicato intreccio tra le varie correnti di pensiero del XII secolo? Quale il ruolo di Abelardo, di Eloisa e del Paracleto negli intrecci di potere che vedono Chartres e Parigi alleate contro Chiaravalle? Cosa è accaduto davvero nella Champagne, in un luogo dove, nello spazio di settanta chilometri, tanti quanti dividono Troyes da Clairvaux, e in un arco di tempo di pochi decenni, si è svolta una battaglia tra giganti? Che ruolo ha avuto Hughes de Payns, il nobile della Champagne proveniente dal castello di Montigny, vicino a Montbard? E Andrea di Montbard, zio materno di Bernardo di Chiaravalle? E il conte Ugo di Champagne?

La Champagne, peraltro, si pone come centro di grande interesse non solamente per le “coincidenze” sin qui messe in luce, ma anche per il suo ruolo antico in relazione al mondo druidico.

Per capire per quale motivo la Champagne abbia assunto un ruolo importante in relazione alla tradizione druidica e ai suoi possibili nessi con gli avvenimenti del XII secolo, dobbiamo porre attenzione a Massalia, l’attuale Marsiglia.

Trattando di Posidonio, uno degli autori antichi che maggiormente ha studiato il mondo celtico, Miska Ruggeri, scrive. “Per i Greci, la base più ovvia di esplorazione del mondo celtico era la città greca di Massalia, fondata dai Focei sul territorio dei Liguri Segobrigi, circondata da autentici Celti di la Tène per lingua, cultura, costumi e sapienza druidica. Massalia contribuì certo al processo di ellenizzazione dei Celti, sia direttamente che indirettamente insieme agli Etruschi e ai Fenici. A Cayla de Mailhac già per il VI secolo a.C. sono attestati rapporti con l’Etruria, nel V secolo sono rilevanti quelli con il mondo greco (ceramica attica e magno greca). Anfore e monete di Massalia sono state rinvenute un po’ ovunque nella Gallia meridionale. A Entremont e negli altri centri dei Salyi, Saint Baliase, Glanum, Vienne (capitale degli Allobrogi), Nages, Adge, Bessan, La Roque, Montfo, Enserune, nella regione di Narbona e altrove. Lo stesso accade per i prodotti greci e magno greci e Massalia è la intermediaria. I vari oppida indigeni dipendevano totalmente, almeno per i prodotti di lusso, dalle importazione massaliote. Fu Marsiglia a fornire il vino ai Celti, prima vendendolo e poi insegnando la produzione; e ben presto il vino soppiantò birra e idromele. All’influenza massaliota – scrive sempre Miska Ruggeri – si deve la diffusione dell’alfabeto greco: iscrizioni in caratteri greci sono databili al III secolo, Cesare (De Bello gallico, VI,14) ci dice che i druidi usavano l’alfabeto greco. A Massalia, centro d’istruzione ellenistica, i Celti apprendevano la lingua e i costumi ellenici; così i Celti di Entremont superarono la loro riluttanza a rappresentare la figura umana, i Nervi si dotarono di seicento senatori come i Massalioti. Grande era il prestigio di Massalia presso i Celti. Anche questa città, del resto, non restò del tutto insensibile alla civiltà celtica che la circondava: assoldò mercenari celtici e adottò credenze e usi celtici (lo scambio di denaro tra ospite e ospitante; la fede nell’immortalità dell’anima), ma conservò tenacemente le tradizioni greche…”. [i]

Jean Louis Brunaux[ii], nell’ambito di uno studio teso ad analizzare i rapporti intensi tra Celti e Greci e, in particolare, tra druidi e filosofi (essendo anche i druidi riconosciuti dai Greci come tali) analizza il fenomeno dell’improvvisa scomparsa, nel 500 a.C., dei principi halstattiani, dovuta, secondo alcuni, allo spostarsi delle vie commerciali greche ed etrusche a causa delle difficoltà della colonia greca di Marsiglia. “Gli Etruschi – scrive Brunaux – avrebbero allora beneficiato delle difficoltà della colonia e avrebbero sviluppato delle relazioni più strette con i territori periferici del “cerchio halstattiano occidentale”, la Champagne, il Berry, l’Hunsrück Eiffel”.[iii] Questo spostamento, fa notare Brunaux, a fronte del declino rapido del “principi” halstattiani, scomparsi in pochissimo tempo, come mostra la fine delle sontuose sepolture, non ha causato negli aristocratici della Champagne un innalzamento a “principi” del loro status e i costumi sono rimasti quelli di una società comunitaria, la cui aristocrazia non si considera costituita da uomini di un’altra essenza. Brunaux ritiene pertanto che la rapida scomparsa dei “principi” halstattiani sia dovuta al fatto che la loro perdita di potere economico ha consentito il sopravvento di un fenomeno culturale “che ha potuto conoscere molto rapidamente una traduzione politica, ma la cui origine era soprattutto di natura spirituale. Prima del loro ruolo economico e politico è lo sfruttamento della loro stessa immagine che è stato negato ai principi e ai grandi aristocratici. Si è loro rifiutato il privilegio di mettersi al di sopra dei comuni mortali. … Certamente, dai tempi più antichi, quelli della loro origine, esisteva presso i Celti una spiritualità arcaica e severa, che non lasciò che un flebile spazio alle diverse forme di materialità. La cultura di Halstatt, tutta impregnata di influenze venete ed etrusche, aveva permesso a delle nuove forme di espressione di liberarsi di una tale costrizione. Ma lo ha fatto con degli eccessi e con precipitazione: i principi halstattiani non avevano inscritto la loro dismisura, come i faraoni d’Egitto, in una lunga tradizione che la rese se non accettabile a tutti , quantomeno consuetudinaria. Essa non lo era soprattutto agli occhi degli altri aristocratici, più illuminati, più coscienti del danno che degli eccessi facevano correre alla comunità”. [iv]

La Champagne, dunque, si propone, nello studio di Brunaux, come un centro tradizionale di un’arcaica e severa spiritualità celtica. Una spiritualità che si collega alle Ardenne, ovvero ad Arduinna, la Dea Orsa Bianca, nel cui nome troviamo il simbolo dell’orso, ovvero della regalità (Artù)? Ad una Dea Arduinna, Signora della Natura, che cavalca un cinghiale (simbolo della sacerdotalità)? Ma c’è di più. Analizzando il rapporto tra druidi e pitagorici, Brunaux ne riscontra la concordanza di alcune concezioni metafisiche e la comune idea che la divinità non deve essere rappresentata antropomorficamente o zoomorficamente, lasciando ai numeri e alle forme geometriche di mostrare, dietro alla materia, luoghi inaccessibili ad altro che allo spirito. “Dalla metà del V secolo – scrive Brunaux – in Gallia e nelle regioni limitrofe appaiono numerosi pezzi decorati che testimoniano di un lavoro preliminare di disegno sbalorditivo, generalmente eseguito con l’aiuto del compasso. Su dei pezzi di bardature in bronzo (falere, placche di bardatura, ecc.) di qualche centimetro di diametro, ci sono decine di cerchi che sono stati tracciati al fine di delimitare le zone da ritagliare per creare motivi a rilievo. L’analisi di questi decori dove la complessità della costruzione geometrica non ha uguali nell’abilità dell’artigiano che l’ha messa in opera, necessita oggi dell’utilizzo di strumenti informatici. All’evidenza, questi pezzi sono il prodotto di una stretta collaborazione tra esperti in geometria e dei veri orefici. Essi rispondevano a un bisogno specifico, che giustificava un tale dispendio d’energia, che non aveva nulla a che fare con una semplice moda. Apparsi all’inizio nel “foyer champenois”, questi decori si diffusero in effetti largamente nel mondo celtico, dal quale non sparirono più, come se lo stile plastico del III secolo e quello, realista, del II e I secolo non avessero alcuna presa su di loro”. [v]

La Champagne, dunque, si evidenzia come luogo ove operano uomini che coltivano antiche e severe tradizioni e che, al contempo, sanno utilizzare i numeri e la geometria in modo sorprendentemente complesso. Che cos’è il “foyer champenois” in cui ritroveremo Abelardo, Bernardo di Clairvaux e i fondatori dei Templari? Che rapporto c’è stato nei secoli tra il “foyer champenois” e Chartres, antica patria dei Carnuti (i Custodi della Pietra) dove si svolgeva la più importante assemblea annuale druidica della Gallia e dove è sorta, secoli dopo, la Schola che ha ripreso lo studio della natura e delle sue regole? La Cerca è dunque partita da un luogo che conservava antiche sapienzialità che andavano recuperate e attualizzate? Cosa è accaduto nei secoli in quel triangolo che lega, in uno spazio tutto sommato ridotto, da Parigi a Chartres (90 chilometri a sud ovest), da Parigi a Nogent sur Seine (108 chilometri a sud est) e da Chartres a Nogent sur Seine (177 chilometri)? Chrétien de Troyes ha avuto dal “foyer champenois” l’impulso a dare avvio a quello che poi è divenuto il ciclo arturiano che ha fatto nuovamente conoscere la grande tradizione celtica? I Templari, nel loro riappropriarsi di antiche conoscenze e nel riaprire le vie di comunicazione alla cultura, hanno reso concreto un disegno maturato in segreto nei secoli e attuato al momento ritenuto più opportuno? E le conoscenze geometriche, evidenti nei costruttori di cattedrali, sono il recupero del deposito della Champagne, rafforzato dalle conoscenze affluite in Europa dalla ripresa delle comunicazioni e dello scambio culturale?

I druidi, considerati dai loro contemporanei Greci filosofi, astronomi, teologi, esperti nella fisiologia (fisica, chimica, botanica, ecc.) e nelle arti terapeutiche e giuristi, insegnavano le loro conoscenze nelle grotte, nel folto dei boschi, in luoghi appartati.

Lo studio più interessante relativo ai druidi è quello del filosofo stoico Poseidonio (135-50 a.C.). “Era uno studioso e un insegnante profondo, un uomo ricco di interessi, che viaggiò in Spagna e in Francia. Anche se guardando alla sua storia dei druidi viene il giustificato sospetto che abbia proiettato le sue teorie filosofiche nel loro stile di vita, molti ritengono abbia comunque lasciato una testimonianza onesta ed obbiettiva, cosa che, se vera, spingerebbe le radici dello stoicismo indietro fino al pensiero druidico”. [vi]

L’istruzione degli allievi durava vent’anni, era rigorosamente tenuta segreta e tramandata soprattutto tramite la memoria. L’insegnamento era iniziatico e i druidi della Gallia erano riuniti in una “confraternita comunitaria” spirituale la cui massima espressione era nell’assemblea annuale nel territorio dei Carnuti (Chartres). Il loro potere, giudiziario e politico, strettamente legato all’organizzazione sociale, ha avuto il massimo sviluppo allorquando le varie tribù vedevano in loro chi le poteva riunire in una comunità più ampia. Con le invasioni e con le divisioni interne al mondo celtico della Gallia questo ruolo riconosciuto è venuto meno. E’ tuttavia pensabile che una confraternita potente di iniziati, strettamente legata all’aristocrazia celtica, costituita da uomini colti e abituati a vivere e a trasmettere il loro sapere con modalità segrete sperimentate e affinate nei secoli, sia improvvisamente scomparsa dalla scena? E’ pensabile che gruppi di druidi abbiano continuato la loro attività intellettuale e d’insegnamento, ormai priva di potere politico, nel segreto delle foreste della Champagne e delle Ardenne e abbiano influenzato, rimanendo rigorosamente nell’ombra, movimenti culturali successivi? E’ possibile che Chartres e la Champagne del XII secolo siano il frutto di un deposito sapienziale tenuto vivo in segreto?

“Passando in rassegna il nostro lavoro – scrivono a questo proposito Alan Butler e Stephen De Foe – Henry Lincoln ha riconosciuto l’attendibilità storica dell’idea che, persino nel XII secolo, in alcune aree dell’attuale Francia esistessero dei gruppi di possidenti che mantenevano ancora un legame diretto e ininterrotto con la cultura megalitica. Sviluppatesi lungo un arco che tagliava la Penisola Scandinava, la Gran Bretagna e alcune regioni della Francia, tali comunità si estendevano fin alla Spagna sudorientale e nelle isole del Mediterraneo. Per quanto riguarda le popolazioni della Borgogna e della Champagne, le radici megalitiche erano piuttosto semplici da rilevare….”. [vii] I Burgundi erano, secondo Butler e De Foe, con tutta probabilità i depositari di forme di religione molto antiche e le famiglie burgunde avrebbero dato vita ad una classe sacerdotale nella quale sono confluiti i monaci culdei.

Xavier Guichard, citato da Butler e De Foe, riferisce di lunghe linee diritte, le Salt lines, che percorrono il territorio per chilometri e a volte partono da un nucleo centrale per irradiarsi in insediamenti contraddistinti dalla componente «al», dal greco hal, sale, nel loro nome: Alaise, Calaise, Falaisc e, ovviamente Halstatt, la città del sale. Altre linee, secondo Guichard, sarebbero molto simili alle moderne linee indicanti la latitudine e la longitudine, distanziate di 111 kilometri sulla latitudine e a 59’ di arco sulla longitudine.

Le vie del sale hanno un’importanza strategica nella comunicazione tra popolazioni.

“Se già nel Neolitico dovettero esistere contatti tra le zone a nord e a sud delle Alpi – scrive Loredana Capuis, studiosa delle popolazioni venete – è soltanto nell’età del bronzo che ebbe inizio un vivace traffico attraverso il territorio alpino, finalizzato alla ricerca del rame, i cui giacimenti più importanti si trovavano nella zona di Salisburgo. Ma anche quando questi giacimenti persero d’importanza, soppiantati all’inizio dell’età del ferro dalle miniere tirreniche, la zona [il Veneto] non ne soffrì, data la presenza di un’altra risorsa indispensabile agli uomini, il sale, al cui sfruttamento è legata la fioritura dei centri di Halstatt e di Hallein”. [viii]

Halstatt, dunque, anche da questo punto di vista assume un’importanza rilevante.

Proviamo ora a porre mente ad un altro fenomeno interessante. Con il crollo dell’Impero romano, anche a causa di un concomitante riscaldamento d’Europa, le foreste ripresero il terreno che gli uomini avevano tolto loro con le culture e diventarono il “deserto” degli anacoreti occidentali, in fuga dalla civiltà.

Tuttavia la foresta è profondamente diversa dal deserto ed è nella foresta che si è sviluppata l’Antica Religione, che non mancò di influenzare forme di cristianesimo non in linea con l’ortodossia papale.

Come suggerisce l’amico Federico Gasparotti, la foresta divenne l’ultimo rifugio della Dea.

La leggenda di Merlino è emblematica. Merlino “ormai vecchio, venne sedotto dall’innamorata strega Nimue, la quale, nel bel mezzo dell’amplesso, si fece confidare i più potenti incantesimi per poi trasformarsi in una sfera d’ambra, inglobando al suo interno il mago, il quale non oppose resistenza, forse conscio che la sua epoca era ormai tramontata con l’avvento del nuovo Dio. Ma la metamorfosi di Nimue non finì lì, poiché decise – scrive Gasparotti – subito dopo di trasformarsi in quercia per restare per sempre unita al suo amato nella pace della foresta”. [ix]

Il principio maschile, ma anche la saggezza druidica, inglobati e custoditi nel femminile avvolgente utero, si rifugiano, dunque, nel folto della foresta.

La leggenda, in chiave simbolica, narra un evento reale. Con l’avanzare del cristianesimo, offerto al popolo sul filo della spada di re convertiti per acquisire la legittimazione di Roma cristiana, quale sedicente erede dell’Impero romano, alcuni druidi pensarono di accomodarsi nella nuova religione, con l’intento, in parte riuscito, di tramandare le antiche tradizioni rivestendole di nuovi panni; altri preferirono ritirarsi nel folto delle foreste, continuando, in segreto, a coltivare l’Antica Religione.

“Nimue – scrive Gasparotti – iberna Merlino, non lo uccide: ella sa che verrà il tempo in cui gli antichi Dei torneranno ad essere ascoltati e per questo salva il proprio amato, nonché indiscusso custode del Sapere, dall’inevitabilità dell’avvento del cristianesimo”.

La Dea, esiliata, continua a vivere e ad essere amata, protetta dalla Natura, ovvero da se stessa, nella forma di foresta impenetrabile, proteggendo contemporaneamente la sapienza druidica.

La foresta impenetrabile diventa il rifugio dei druidi, degli iniziati perseguitati, di briganti, emarginati, di latitanti, come ben mostra la leggenda, divenuta popolare, di Robin Hood, che in forma allegorica è il Kernunnos con il suo popolo, che dalla Foresta-Dea combatte il potere oppressivo.

Nell’XI secolo la foresta comincia ad essere colonizzata. Nuove vie di comunicazione la percorrono e la sua impenetrabilità viene in parte compromessa.

Ai rifugiati, ai “merlini” custoditi nel folto della foresta e custodi di antiche sapienzialità si ripropone il problema che si era posto ai loro antenati: utilizzare gli strumenti offerti dal potere per trasmettere in forma criptata l’antica tradizione e, al contempo, ritirarsi ulteriormente nel folto, per evitare di essere identificati. In queste due possibili scelte, non alternative e, anzi, al contrario, complementari, si potrebbe inserire l’azione dei saggi del “foyer champenoise”?

Quando un sapere “tradizionale custodito da pochi è sul punto di estinguersi – scrive Leda Berné – allora i suoi detentori potrebbero decidere volontariamente di affidarsi alla memoria collettiva, consci del fatto che il popolo in ogni caso non sarà mai in grado di comprenderne il profondo significato. In questo modo la maggioranza diverrebbe, attraverso la trasmissione orale del patrimonio folklorico, il tramite inconsapevole di un messaggio che, in tempi successivi, qualcuno adatto ad intendere potrebbe riuscire di nuovo ad interpretare correttamente”. [x] E’ quanto è accaduto con le numerose leggende confluite nei miti arturiano e del Graal, non a caso iniziati dall’opera di Chrétien de Troyes?

Legittimo pertanto chiedersi se il complesso intreccio di legami evidenziatosi nel XII secolo sia dovuto semplicemente a una serie di coincidenze o non sia piuttosto il frutto di un piano ben congegnato, che si è servito della copertura di Bernardo di Chiaravalle per perseguire fini diversi da quelli ufficialmente dichiarati.

Lynn Picknett e Clive Prime scrivono “di un sodalizio, esistente da molti secoli e ancora esistente, che coinvolgerebbe alcune persone appartenenti alle famiglie più influenti della storia d’Europa”. [xi]

Tim Wallace Murphy sostiene l’esistenza di una corrente segreta di spiritualità, guidata dalle famiglie discendenti dagli eredi dei sommi sacerdoti dell’antica Gerusalemme che si riconoscerebbero con l’appellativo di Rex Deus e scrive: “All’inizio del XII secolo una catena di eventi particolari, avvenuti nella regione francese della Champagne, indica che le famiglie Rex Deus stavano operando una forte influenza sulla Chiesa di Roma, i cui dogmi detestavano. In prima battuta, paiono singolari alcune curiose decisioni assunte dalla famiglia di un nobile quanto sconosciuto cavaliere, certo Bernardo de Fontaines, grazie alle quali le dinastie locali appartenenti alla stirpe Rex Deus ebbero a guadagnare grande potere. Quando Bernardo aveva rivelato alla famiglia la sua intenzione di diventare monaco cistercense, lo shock era stato forte per tutti. Se dapprima la resistenza a questa iniziativa era stata compatta, ad un tratto, all’improvviso, per motivi che non conosciamo, l’atteggiamento era completamente mutato e la vocazione era stata addirittura incoraggiata. Perché non solo il contrasto era evaporato come neve al sole, ma anche tutti gli altri maschi della casata parenti e amici stretti si erano pure loro aggregati all’ordine scelto da Bernardo, al punto che nel 1112 la bellezza di trentadue parenti e conoscenti di Bernardo si erano fatti cistercensi. Qualunque sia stata la spinta che portò a questa singolare decisione è indubbio che dovesse essere alquanto forte e impellente. Questo improvviso sbocciare di fervore religioso fra i membri delle famiglie Rex Deus coinvolse anche il fratello più anziano di Bernardo, l’erede dei beni di famiglia, per intenderci, i suoi due fratelli più giovani e uno degli zii, il cavaliere Gaudri di Touillon. Alla fine, il reclutamento dei numerosissimi rappresentanti delle famiglie Rex Deus aveva fatto sì che il numero degli aderenti all’Ordine dei Cistercensi quasi raddoppiasse nel giro di pochissimo tempo. Ma, fatto ancora più strano, la maggior parte di questi nuovi adepti aveva rapporti di alleanza feudale con uno dei grandi nobili francesi del tempo, il conte Ugo di Champagne. La casa dei Conti di Champagne non soltanto era fra le più illustri della ramificata dinastia dei Rex Deus, ma era riuscita a ritagliarsi una vasta indipendenza e i suoi rappresentanti governavano territori più estesi del Galles a est e a sud est di Parigi. Si dichiaravano fedeli al re di Francia, al Sacro Romano Impero e al duca di Borgogna ed erano imparentati per stretti vincoli di sangue e matrimoni incrociati con la stirpe dei re capetingi, i nobili normanni, i sovrani plantageneti d’Inghilterra e i St. Clair di Normandia e Rosslyn”.[xii]

Legata alla storia dei Celti, che già la consideravano una località sacra, Rosslyn (gaelico (ros=dirupo, lyn=acqua che scorre) è un crocevia iniziatico che coniuga le tradizioni druidiche con quelle templari e libero muratorie. La Rosslyn Chapel è riccamente decorata con simboli biblici, massonici, pagani e appartenenti alla tradizione dei Templari. Elementi decorativi rappresentanti scene della vita di Gesù si incrociano con figure umane, angeli, margherite, rose, gigli, stelle, foglie, piante di mais (uno dei misteri della cappella, dal momento che al tempo della sua costruzione il mais non era stato ancora scoperto) e “green men”, uomini verdi, la Testa, (come il Cavaliere Verde o Robin Goodfellow), considerati figure mitologiche pagane. La leggenda vuole che vi sia sepolto il tesoro dei Templari e c’è chi ha voluto tradurre Rosslynn con “antica conoscenza che si trasmette di generazione in generazione” o “antica tradizione che non si può conoscere”.

In questo contesto appare come un ritorno alle origini la fuga dei Templari, ormai braccati dal papa e dal re, dopo le loro persecuzioni a partire dal 1307, nei territori di Robert Bruce, ossia nei luoghi dove i clan scozzesi si sottraevano al dominio inglese e dove le antiche tradizioni erano vive.

Nel 1118, prima di partire alla volta della Terra Santa, “Ugo di Champagne aveva organizzato un grande incontro fra tutti questi illustri personaggi, riunendo famiglie di impronta Rex Deus provenienti da Joinville, Brienne, Chaumont e Angiò. Il conte era fortemente coinvolto nella spiritualità gnostica e, proprio sotto i suoi auspici e la sua protezione, l’illustre studioso ebreo Salomon ben Isaac, meglio noto come Raschi, aveva fondato nel 1070 una celeberrima scuola cabalistica a Troyes, uno dei centri più vivi dal punto di vista culturale dell’intera contea. Quando, nel 1115, il conte Ugo era tornato da una sua visita in Palestina, la sua prima preoccupazione era stata quella di donare all’Ordine cistercense terre e possedimenti dove fondare una nuova, grandiosa abbazia e riconoscere Bernardo de Fontaine l’illustre primo priore. Qui Bernardo era stato subito raggiunto dai due fratelli di un certo Andrea de Montbard, che sarebbe in seguito diventato uno dei fondatori dell’Ordine templare”. [xiii]

Troyes e la Champagne, dunque, si propongono ulteriormente come un centro culturale notevole, dove avvengono intrecci significativi tra un antico deposito sapienziale, quello dei nobili Celti post halstattiani, la cultura ebraica cabalistica e la tradizione gnostica, secondo la quale il dio maschio degli Ebrei, Iahvè, avrebbe detronizzato la Pistis Sophia e reso sterile il Regno della Luce. Pistis Sophia che, secondo Jean Markale, è la celtica “Dea degli Inizi”.[xiv]

E’ possibile che quelli che vengono indicati come Rex Deus da Tim Wallace Murphi, quelle antiche famiglie influenti di cui scrivono Lynn Picknett e Clive Prime, siano i discendenti di quei nobili post halstattiani studiati da Brunaux, depositari di un’antica tradizione? E’ possibile che una tradizione iniziatica antica, intimamente connessa con il druidismo, abbia trovato, nel XII secolo e nella Champagne il tempo e il luogo adatti a riprendere un filo di ricerca rimasto a lungo interrotto a causa delle vicende storiche che hanno travagliato l’Europa dopo la caduta dell’Impero romano?

Se così fosse l’intera storia dei Merovingi, che alcuni vorrebbero discendenti dalla stirpe di Gesù e della pretesa restaurazione della loro dinastia sarebbe un falso scopo e una falsa pista? E quale potrebbe essere, allora, la pista giusta da seguire, evitando di farsi ingannare da una sapiente opera di disinformazione?

Secondo Margarete Reimschneider i Celti avevano un dio maschile il cui attributo era quello del cinghiale. “Egli è giovane e porta in braccio l’animale. Però siamo assolutamente all’oscuro sul suo conto e non ne conosciamo neppure il nome”.[xv] “Neppure il medioevo – aggiunge Margarete Reimschneider – perse la nozione che il cinghiale fosse un animale divino. Correva voce che tutti i re della stirpe merovingia avessero la spina dorsale coperta di setole al pari dei maiali. Secondo Teofano, essi avevano perciò il soprannome di «schiena pelosa» o di «setolosi»”. [xvi]

Nella mitologia vedica Parajapati, il dio che dà origine al mondo, “fa emergere la terra dalle acque dell’abisso assumendo la figura di un cinghiale. «Tutto era soltanto acqua. Prajapati, trasformatosi in cinghiale vi si tuffò. Tutto ciò che di molle portò fuori, tutto diventò la terra»”.[xvii]

Nella cultura celtica il cinghiale è considerato l’animale con i capelli, ossia dotato di forza, di vitalità, di fecondità e, conseguentemente, in grado di garantire la prosperità. L’usanza dei guerrieri celti di pettinare i capelli come le setole del cinghiale o di avere elmi adornati di setole di cinghiale (poi sostituite dalle criniere dei cavalli) era simbolicamente un aumento della loro forza. Vitalità, forza, fecondità erano i tipici attributi della regalità, capace di donare prosperità. Il mitico Meroveo e i suoi discendenti non sono, forse, i continuatori della regalità dei rix celti, per questo simbolicamente assimilati ai cinghiali? La derivazione alla stirpe di Gesù sarebbe, dunque, una copertura di un’altra derivazione, quella di una linea di regalità celtica che possiamo simbolicamente identificare in Artù, che la leggenda vuole solo assopito, non morto, custodito in Avalon, l’isola della sapienza, in attesa di riprendere il suo posto? Ours, che in francese significa orso, era come Ursus, un riferimento a Dagoberto II e alla dinastia merovingia. Orso è Arctio, da Art, Orsa, e Artù è l’orso, legato a Mor Art, la Grande Orsa, l’Orsa maggiore, ma anche ad Arduinna, la Dea Orsa Bianca che cavalca un cinghiale. Sono in molti a ritenere che i Merovingi adorassero Arduinna, latinizzata in Diana. A Carignan, nella Champagne Ardenne c’era una statua dedicata a Diana Arduina e nel bosco delle Ardenne si narra di un santuario naturale druidico dedicato ad Arduinna. Le connessioni simboliche tra Artù e i Merovingi (adoratori della Dea Orsa) sono dunque un indizio per una trasmissione della regalità e delle tradizioni celtiche?

Gli interrogativi ci portano inevitabilmente a dover soffermare la nostra attenzione su una delle organizzazioni più misteriose legate ai Templari e a molte correnti esoteriche: il Priorato di Sion, a volte chiamato Ordine di Sion o Ordine di Nostra Signora di Sion.

“Cercare di conoscere cosa sia realmente il Priorato – scrivono Lynn Picknett e Clive Prime – ha i caratteri di un’iniziazione: se le informazioni sono destinate ai soli iniziandi, una cortina di fumo escluderà tutti gli altri della possibilità di procedere nella ricerca. Se invece sono in qualche modo destinate a qualcuno, gli saranno date altre notizie, anche in modi imprevisti, che gli permetteranno di sciogliere l’enigma”. [xviii]

Dossier segreti riguardanti il Priorato depositati alla Biblioteca Nazionale di Parigi, affermano che i re merovingi, dal loro fondatore Meroveo e Clodoveo (che si convertì al cristianesimo nel 496) erano «re pagani dediti al culto di Diana». (Jana in basco è nutrimento). Difficile dunque pensare che possano discendere da Gesù o da una tribù giudea.

I Merovingi, scrive Jean Markale[xix], erano definiti «re capelluti» e una leggenda narra che la madre di Meroveo, moglie del germanico re Clodion, quando era incinta andò a nuotare e fu sedotta da una creatura marina venuta da oltre il mare che l’avrebbe fecondata una seconda volta. Meroveo, dunque, come altri personaggi della storia sospesi tra realtà e mito, ha due padri: uno terreno e uno divino o misterioso.

La definizione di «re capelloni» dipende dal fatto che i Merovingi, dall’età di dodici anni rifiutavano di tagliarsi i capelli (come il basco Bassa Jaun), praticavano la magia e venivano considerati in possesso di poteri sovrannaturali.

I re merovingi non furono mai consacrati e Clodoveo fu solo battezzato a Reims. L’ultimo dei Merovingi, Dagoberto II, che aveva sposato, in seconde nozze, Gisela, figlia del conte di Razès, Berall, aveva frequentato un monastero irlandese e potrebbe essere considerato un cristiano culdeo influenzato dai druidi.

Monaci culdei e druidi, peraltro, erano molto simili.

“Non c’era molto infatti – scrivono Alan Butler e Stephen De Foe – che differenziasse i primi predicatori celtici culdei (praticamente dei monaci) dai druidi itineranti, e persino il tipo di tonsura e il taglio dei capelli che a quanto sappiamo i druidi sfoggiavano erano comuni anche ai primi culdei”.[xx] Anche i santi provenivano, il più delle volte, dalle antiche famiglie che vivevano sulle Salt lines. “Vorremmo comunque – scrivono sempre Bultler e De Foe – far notare come, durante il regno di Clodoveo [VI secolo] e dei suoi diretti discendenti, il cristianesimo praticato in buona parte della Francia fosse molto simile a quello diffuso in Gran Bretagna. I culdei, come per esempio Colombano, avevano infatti notevolmente allargato il loro raggio d’influenza sul continente, tanto che alcuni antichissimi santi inglesi risalenti all’epoca romana, come Sant’Albano, pare fossero venerati anche alla corte di Clodoveo”. [xxi]

Solo nel 655, con il Sinodo di Whitby, il cattolicesimo romano metterà all’ordine il cristianesimo celtico.

Va sottolineato che la Borgogna, già nel 561, alla morte del re merovingio Clotario, era diventata un regno merovingio indipendente, governato da uno dei figli di Clotario, Gontrano. La Borgogna rimase nelle mani dei sovrani merovingi fino all’inizio dell’VIII secolo. A quel punto fu annessa da Carlo Martello, ma nell’877 Boro, figlio di Bovin, conte delle Ardenne, pur cognato di Carlo il Calvo, la rese nuovamente indipendente. Dal 1032 la regione venne governata dalla famiglia dei capetingi, una branca della quale, grazie a Ugo Capeto, nel 987 aveva rovesciato la dinastia carolingia. Ugo Capeto era un discendente del duca di Blois. Fino alla fine dell’XI secolo la Borgogna rimase uno stato sovrano e indipendente.

I Grandi maestri del Priorato di Sion, secondo la ricostruzione di Lynn Picknett e Clive Prime, due autori che hanno incontrato vari esponenti della segreta organizzazione, assumono il nome di Giovanni al momento della loro nomina. La serie parte da Giovanni II. Il Gran Maestro del Priorato è chiamato nell’organizzazione Nautonnier (timoniere), ma prende il nome di “Giovanni” o, se donna, di “Giovanna” (quattro gran maestri sono stati donne).

Il gruppo guida è formato da 13 membri chiamato Arch Kyria dove Kyria è parola greca che significa donna e nel mondo ellenico era titolo della Dea Iside. [xxii]

Il Priorato, stando ai numerosi studi sull’argomento, sarebbe figlio diretto dell’Ordine dei cavalieri di Nostra Signora di Sion, sarebbe stato fondato dopo la presa di Gerusalemme da Goffredo di Buglione e il suo nome deriverebbe da quello di un’abazia decrepita, in seguito fortificata, trovata in Terrasanta e dedicata a Nostra signora di Sion. Il Priorato sarebbe inoltre all’origine dell’Ordine dei Templari. Ma è proprio così? Cosa si nasconde dietro la Signora di Sion? Perché i Gran Maestri si chiamano Giovanni? Per quale motivo la serie parte da Giovanni II. Chi era Giovanni I?

Gli interrogativi ci riportano nella Champagne.

Troyes, capitale della Champagne e luogo nodale per la nostra Cerca, è collegata a Chartres e alla Bretagna da un’antica via verso Ovest (parallela a quella più famosa che porta dall’Occitania a Santiago De Compostela), che parte da Sainte Odile in Alsazia (vicino al villaggio di Obernai, nei pressi di Strasburgo) e finisce all’estrema punta del Finisterre, passando per Saxon Sion, antica collina sacra, e seguendo il parallelo 48°,27’.

“La «via» francese –scrive in proposito Louis Charpentier – si estende da Saint Odile alla punta estrema dell’Armorica. Segue fedelmente il parallelo a 48°,27’. Era stata segnalata e studiata in quanto via di pellegrinaggio antico da Henri Dontenville nel suo libro “La mythologie française”. Saint Odile, sopra il villaggio di Obernai, in Alsazia, si trova in una cinta ciclopica assai vasta e costituita da enormi blocchi, impossibile da datare precisamente, ma che si può ritenere neolitica. Una cinta evidentemente sacra. La via verso Ovest passa nei pressi di Campo del fuoco, raggiunge Pietra puntuta, probabilmente un menhir di delimitazione; poi Raon l’Etape, che Dontenville segnala come una tappa di un pellegrinaggio esistito fin quasi all’inizio della nostra era (nei pressi di Raon si trova d’altronde una Pietra del richiamo), Sion, la collina sacra nei pressi della quale le invasioni germaniche hanno creato Vaudémont, che fu un Wotan mons, un monte di Wotan; Domrémy [località che ha dato i natali a Giovanna D’Arco, ndr] e Bois Chenu, dove si divertivano le fate, non lontano da una Vaudeville, un luogo ancora una volta consacrato a Wotan, Joinville, un luogo sacro che i latini dedicarono a Juppiter, la Foresta di Fontainebleau (Fonte di Belen), Chartres, che fu ed è ancora indubbiamente il più importante luogo sacro dei Galli e che i numerosissimi megaliti della regione indicano come tale prima dell’arrivo dei Celti. La via tange la foresta di Fougères, con i suoi numerosi monumenti megalitici, ritrova nei pressi di Bazouges un menhir di delimitazione, passa in seguito sul sito di quella curiosa chiesa circolare detta “Il Tempio”, che potrebbe essere una costruzione templare…. vicino a enormi megaliti spezzati. Poi il parallelo passa per le rocce Cragou, probabilmente una forma alterata di Gargan, prima di penetrare sui monti d’Arée (il nome ha una certa importanza), giunge al golfo dell’Eloru vicino a lanterna e penetra nella regione di Leòn”.[xxiii]

 

Sion nella Champagne? I Templari e Rosmerta.

 

Grazie ad Henri Dontenville, si conosce la via che seguivano quelli del Gran Pellegrinaggio, venuti dall’Est, al di là di Raon l’Etape e del luogo che divenne Sainte-Odile; cammino che era anche quello del pellegrinaggio al Mont-Tombe, che ora ha nome di Mont-Saint-Michel.[xxiv] Su questo cammino incontriamo località dai nomi evocanti molti interrogativi, come Saxon Sion, Annegray la Vouivre, Luxeuil.

Mont Sainte-Odile, presso Obernai, nei pressi di Strasburgo, è un picco sui Vosgi dove esiste un monastero chiamato Abazia di Hohenburg ed è rinomato per le fortificazioni chiamate “Muro Pagano”.

La montagna e i suoi dintorni evidenziano un insediamento celtico. La fortezza, passata ai Romani, fu probabilmente distrutta dai Vandali nel 407. Nella seconda metà del nono secolo, quando i Vichinghi attaccarono i Paesi Bassi, recentemente convertiti al cristianesimo, il vescovo di Utrecht passò qualche tempo in esilio sul monte.

Si dice che il convento sia stato fondato da Adalrico, Duca d’Alsazia, in onore della sorella, Saint Odile, alla fine del settimo secolo ed è certo che esistette sino ai tempi di Carlo Magno. Distrutto nel Medio Evo, fu ricostruito nel diciassettesimo secolo. Fu acquisito in seguito dal vescovo di Strasburgo e restaurato con l’aggiunta di una chiesa nel 1853.

Nel convento fu compilato un famoso manoscritto, l’Hortus Deliciarum.

Il Muro Pagano è un’enorme costruzione di circa dieci chilometri che circonda il Monte Sainte Odile. E’ composto di 300.000 blocchi, fra 1.6 e 1.8 metri di larghezza e oltre tre metri di altezza. Le origini e la data di questo muro sono state molto discusse, con alcuni che sostengono essere una costruzione druidica di tre mila anni fa, mentre alcune ricerche recenti lo datano al settimo secolo dopo Cristo, quando venne edificato il convento.

La designazione di “Pagano” è attribuita a Papa Leone XI, che così lo avrebbe definito. Designazione che sembrerebbe escludere la sua costruzione coeva a quella del convento.

Saint Odile è nei pressi di Strasburgo, la cui cattedrale gotica è stata edificata su un santuario precristiano dedicato a una delle dee delle fonti dei celti, Triboquer.

La Loggia di Strasburgo divenne la “Grand Loge Supreme” di tutti gli scalpellini d’Europa.[xxv].

Saxon-Sion possiede sul suo territorio la collina di Sion che ha ispirato Maurice Barrès per il suo romanzo La colline inspirée.

Sulla collina è celebrato un culto mariano antico ed è stata edificata la basilica di Notre-Dame de Sion (Madonna nera).

I Celti sulla collina avevano stabilito un tempo un alto luogo di culto a Rosmerta. Dopo la pax romana, i riti si volsero verso delle dee latine. L’arrivo del cristianesimo ha trasformato l’importante culto di una Dea in quello della Vergine Maria.

E’ stato, infatti, San Gerardo di Toul, nel 994, a cristianizzare il luogo, mettendo una statua di Maria. Non è improbabile, pertanto, che fino alle soglie del secondo millennio i culti di Rosmerta siano stati praticati ed è possibile che fossero ben presenti anche agli uomini del XII secolo, ovvero a coloro che si richiamarono a Nostra Signora di Sion, intesa come Nostra Signora di Sion Saxon.

Rosmerta, dea gallica della generazione, era “paredra abituale”[xxvi] di Mercurio-Lugus. Il culto della coppia divina era praticato in gran parte delle regioni gallo-romane, ma era particolarmente diffuso nella Gallia centrale e orientale, lungo i fiumi Rodano, Mosa e Mosella e su entrambe le rive del Reno.

A Rosmerta erano devote le tribù dei Lingoni, dei Treveri, dei Mediomatrici e dei Leuchi. La coppia divina era venerata persino in Britannia, dove Rosmerta era tipicamente rappresentata con un secchio di legno e un mestolo. V’erano templi dedicati tra i Dobunni e alcuni di questi si trovavano nelle colonie romane.

Nell’iconografia Rosmerta rivela le sue due tipologie principali: la prima dove la Dea ha come attributi la patera e il corno dell’abbondanza e l’altro, dove la sua partecipazione alla potenza benefica di Mercurio si esprime con il possesso della borsa e del caduceo.[xxvii] Interessante notare come il corno dell’abbondanza e la patera siano attributi anche di Epona, altra divinità largamente diffusa e venerata nel mondo gallico.

Varianti del nome di Rosmerta sono Atesmerta e Cantismerta. Tutti questi nomi contengono una radice celtica il cui significato è «dispensare», la stessa che si trova nel nome di Adsmerios o Atesmerios, con il quale Mercurius è onorato presso la tribù dei Lingoni. Così, Adsmerios e Rosmerta, o, con correlazione ancora più stretta, Atesmerios e Atesmerta, vengono ad essere il «dio che dispensa» e la «dea che dispensa». Talvolta Rosmerta viene definita con un nome romano: Maia, Fortuna, Felicitas, Diana, Salus e Minerva, ma quasi sempre porta il suo nome gallico.

In alcuni casi troviamo la coppia con i nomi di Visucius e Visucia, il «dio sapiente» e la «dea sapiente», nuovamente con perfetta simmetria di ruoli e attributi.

Il nome Rosmerta (< Prosmerta) è formato dal prefisso intensivo ro- (< pro-) e la radice *smert-, che viene interpretata da alcuni come «ricordare» o «prevedere», da altri come «provvidenza». La stessa radice caratterizza anche le due varianti attestate di questo nome: Atesmerta e Cantismerta.

“Il suo nome – scrive Riccardo Taraglio – significa la “Grande dispensatrice” e deriva dalla radice gallica *smer- che vuol dire sia preveggenza, previsione, sia provvigione (da smerth-smertu, provvista, risparmiare, provvedere”. [xxviii]

“Respinta la vecchia concezione che voleva riconnettere il nome di Rosmerta alla parola greca Moîra (e quindi creando l’idea di una dea del fato) (Vendryes 1937) – si legge in Bifröst – oggi si tende a presumere che il nome della dea abbia il significato di «colei che provvede»”. [xxix]

Anche l’altro nome gallico di una compagna di Mercurius, Visucia, può essere a sua volta avvicinato all’epiteto di Mercurius Visucius. Anche in questo caso si ha un perfetto parallelismo tra il «dio sapiente» e la «dea sapiente».

Rosmerta, Dea dispensatrice, condivide con Mercurio-Lugus l’attributo della borsa, che è elemento fondamentale per classificare la coppia come divinità della generazione e della rigenerazione. Come fa notare Adolfo Zavaroni, Mercurio-Lugus è associabile al Kernunnos, che nel celebre bassorilievo di Reims è accoccolato nella posizione yogica tra Mercurio con la borsa, alla sua sinistra, e un dio apollineo con la lira. [xxx]

La borsa, secondo Zavaroni, anziché essere considerata, come spesso è, simbolo di ricchezza, dovrebbe essere associata alla fecondità e i dischetti in essa contenuti ai germi o alle anime. In questo significato la borsa è equivalente alla cornucopia, dalla quale escono non ricchezze materiali, ma vite.

La coppia Rosmerta-Lugus (Mercurio) si propone, dunque, come epiclesi della coppia originaria della Dea Madre e del Dio Cornuto, signori degli animali, della foresta e di tutto il vivente, generatori della vita e della rinascita.

Da www.bifrost.it, sito Internet interessante e ben documentato sulle tradizioni celtiche, traiamo alcune notizie relativamente alla diffusione del culto di Rosmerta: “Le molte iscrizioni a lei dedicate – scrive Bifröst – sono la prova della popolarità di Rosmerta, ma le figurazioni che portano contemporaneamente il suo nome e la sua immagine sono assai rare; ciò avviene per esempio ad Eisenberg e Metz. La dea è generalmente raffigurata in piedi accanto a Mercurius e tiene tra le mani una cornucopia, simbolo di ricchezza e di fecondità. Sulla stele di Malmaison, presso Reims, la dea si trova in coppia con Mercurius, e sopra di loro vi è il Dio Tricefalo. C’è poi una scultura proveniente da Mannheim, dove la dea tiene la borsa dell’abbondanza, sulla quale un serpente appoggia la testa, come a trarne nutrimento. La dea con la cornucopia appare in molte figurazioni: a Metz, a Sablon (presso Metz), a Châtelet (nel territorio dei Leuci), a Landestuhl (presso i Vangioni) e nel territorio degli Edui. A Toul compare una dea con una cornucopia e con una sacca. Talvolta si trova una dea raffigurata con la borsa con i soldi e il caduceo, segno di un’affinità con Mercurius, per cui è stata a sua volta assimilata a Rosmerta. La ritroviamo a Donan, Langensulzbach, Stetten, Schorndorf, Naustadt-am-Haardt, Devant-les-Ponts (presso Metz). Su un pilastro rinvenuto a Parigi, nel pannello vicino a quello occupato da Mercurius, una dea porta il caduceo. A Bierstadt (presso Wiesbaden) entrambi gli dèi siedono in posizione identica, ognuno tenendo un caduceo appoggiato sulla spalla sinistra, ma anche qui non si tratta necessariamente di Rosmerta. Diverse le immagini della dea diffuse in Britannia. Ne sono state trovate nell’Inghilterra sud-occidentale (nella regione dei Dobunni); almeno un tempio dovette essere stato eretto nella colonia romana di Gloucester, dove sono state scoperte tre sculture in pietra delle due divinità. Qui l’immagine di Rosmerta presenta attributi propri e distintivi, indipendenti da quelli di Mercurius: la dea è ritratta con una lunga asta poggiata al suolo, che ella regge a mo’ di scettro con la mano sinistra, mentre nella destra regge un mestolo sopra un secchio poggiato al suolo. Un simile secchio di legno si trova in un’immagine trovata a Bath; qui Mercurius e la sua compagna siedono l’uno accanto all’altra nella medesima posizione, proprio come nella figurazione di Bierstadt, ma la dea non ha il caduceo, bensì un secchio di legno con guarnizioni in ferro. In un altro rilievo proveniente da Gloucester, ella è accompagnata dalla dea Fortuna. Fortuna porta una torcia rivolta verso l’alto e Rosmerta una torcia rivolta verso il basso. Secondo la Green il secchio sarebbe analogo all’olla del Dio del Mazzuolo, e quindi al calderone celtico della rigenerazione, mentre le torce rappresenterebbero forse la vita e la morte (Green 1992). La dea raffigurata accanto a Mercurius in queste e molte altre immagini è generalmente identificata dagli studiosi con Rosmerta, ma essendo tali monumenti privi di dedica non vi è assoluta certezza che sia proprio lei. Ne deriva che forse non tutte le figurazioni attribuite a Rosmerta siano veramente da riferirsi a lei. Ci potevano essere infatti tra i Celti molte dee dispensatrici di abbondanza con attributi simili, anche se con nomi differenti, che venivano associate a Mercurius. Nelle iscrizioni e figurazioni, Mercurius è spesso raffigurato accanto alla sua madre greco-romana Maia, ma anche accanto ad altre divinità quali Fortuna, Diana, Felicitas, Salus e Minerva. In certi casi anche le Matres compaiono accanto a Mercurius. Sarebbe assurdo pretendere di identificare Rosmerta con tutte queste divinità; è infatti possibile che Mercurius abbia vincolato a sé delle dee di natura diversa, per motivi legati a qualche culto locale di cui non possiamo sapere nulla. Al contrario, Mercurius è il solo compagno di Rosmerta a noi conosciuto. Anche se la dea poteva accessoriamente apparire da sola: sembra fosse questa la caratteristica saliente del culto che le tributavano gli Edui. Nel sito di Escolives-Sainte-Camille (dipartimento Yonne), Rosmerta era venerata senza il suo compagno: è infatti raffigurata da sola in una nicchia con la patera e la cornucopia e la dedica la associa al culto dell’imperatore. Nel medesimo territorio, a Gissey-la-Vieil, Rosmerta compare ancora una volta da sola, nuovamente associata in una dedica all’imperatore, ma in questa occasione è raffigurata come divinità tutelare di una fonte sacra”.[xxxi]

Rosmerta e Lugh, epiclesi della Dea Madre e del Dio Cornuto, della Signora e del Signore della Natura, essi stessi Natura, sono dunque le divinità onorate e venerate dagli uomini del “foyer champenoise”? Notre Dame de Sion non è, dunque, Nostra Signora di Sion in Palestina, ma la Dea Madre Rosmerta? Parrebbe, a questo punto, di poter rispondere affermativamente e se così fosse emergerebbe ancora di più il disegno di un gruppo di iniziati, di un antico collegio druidico, inteso a mantenere in vita l’Antica Religione.

Sion potrebbe derivare dal gaelico sionn dal significato di fosforescente, splendente (sionnachan è splendore), aggettivi che ben si attagliano alla Dea. Tuttavia, per stare alle modalità antiche che inducevano a giocare con le parole, sionnach è anche la valvola di soffietto della zampogna, o cornamusa, ovvero la parte (la canna) dove il suonatore opera per ricavare le note. Il suono della cornamusa è circolare, ricorda il respiro dell’Universo. La zampogna accompagnava i rituali dei Sabba, ovvero le danze sacre dell’Antica Religione.

Saxon Sion e Notre Dame de Sion ci riconducono al Priorato di Sion. Come abbiamo visto il Priorato, a volte chiamato “Ordine di Sion” o “Ordine di Nostra Signora di Sion”, avrebbe assunto la denominazione di Sion in quanto figlio diretto dell’Ordine dei cavalieri di Nostra Signora di Sion (1099), a cui era dedicata un’abbazia decrepita in Terrasanta. E se così non fosse? E se la Nostra Signora di Sion fosse quella di Saxon Sion? Tutto si concentrerebbe, in questo caso, nella Champagne, terra di antiche tradizioni, custodite dalle famiglie nobili post-halstattiane.

Lynn Picknette e Clive Prime[xxxii] scrivono che nel “XVI secolo Ferri di Vadèumont [località nei pressi di Saxon Sion] aveva già costituito l’Ordine di Notre Dame di Sion storicamente riconosciuto, legato per statuto all’Abbazia del Monte Sion a Gerusalemme da cui il Priorato sostiene di aver preso il nome. Il figlio di Ferri sposò Jolanda da Bar, Gran Maestra del Priorato tra il 1480 e il 1483, che era figlia di Renato d’Angiò, il Gran Maestro Precedente. Jolanda fece di Sion Vaudèmont un importante centro di pellegrinaggi centrati sulla Madonna Nera la cui statua fu distrutta durante la rivoluzione francese e sostituita da una vergine medievale non nera, prelevata dalla chiesa di Vaudèmont che è dedicata a Giovanni Battista.

Pierre Plantard de Saint Clair, sedicente Gran Maestro del Priorato, scrive esplicitamente: “La Vergine Nera è Iside e il suo nome è Nostra Signora di Luce”.[xxxiii] Il Gran Maestro fondatore, Ugo de Payns, era sposato con Caterina St.Clair. Discendenti dei Vichinghi i St. Clair o Sincalir costituiscono una delle più interessanti e importanti famiglie della storia, diffusesi in Scozia e in Francia fin dall’XI secolo. Il nome della famiglia deriva dal martire scozzese Saint Clair che fu decapitato (interessante riferimento al mito della testa). Ugo e Caterina visitarono i possedimenti di St.Clair vicino a Rosslyn e là stabilirono la prima commenderia templare in Scozia”.[xxxiv]

Rosslyn è il luogo dove si trova la Rosslyn Chapel, una delle costruzioni più enigmatiche e sintesi di antiche tradizioni druidiche con la tradizione templare e libero muratoria.

Ora dobbiamo considerare che le madonne nere sono quasi tutte in relazione con luoghi pagani più antichi. Molti sono dedicati a Diana e Cibele. Nera era Iside e il suo culto era molto diffuso. Un tempio a lei dedicato è stato trovato a nord di Parigi, a dimostrazione della diffusione del suo culto. Il centro di culto di Iside era ad Arles, in Provenza, luogo che, come vedremo, riveste un’importanza fondamentale negli intrecci sotterranei di una storia antica che riaffiora costantemente. In Provenza, a Saint Maximin le Saint Baume si tiene ogni anno la festa annuale dove viene portata in processione la testa della Maddalena. Nella grotta di Saint Baume, centro di adorazione della Diana Lucifera, si narra che si sia ritirata la Maddalena.

La maggior concentrazione delle madonne nere è nell’area compresa tra Lione, Vichy e Clemont Ferrand, un gruppo di collinette chiamate, guarda caso, Monts de la Madeleine. Un’altra concentrazione la troviamo in Provenza e nei Pirenei orientali.

La chiesa più famosa di Troyes è dedicata alla Maddalena e la Maddalena si sovrappone alle madonne nere, che sono l’antica Dea Madre, Iside, la Virgo Paritura dei druidi.

[i] Miska Ruggeri, Posidonio e I Celti, Firenze, Athenaum

[ii] Jean Louis Brunaux, Les Druides, Edition Seuil

[iii] Jean Louis Brunaux, Les Druides, Edition Seuil

[iv] Jean Louis Brunaux, Les Druides, Edition Seuil

[v] Jean Louis Brunaux, Les Druides, Edition Seuil

[vi] Lione e Patricia Fanthorpe, Il mistero del tesoro dei Templari, Newton Compton

[vii] Alan Butler, Stephen De Foe – La verità sui Templari – I segreti dell’eredità cistercense, Ed. L’Età dell’Acquario

[viii] Loredana Capuis, I veneti, Longanesi

[ix] Federico Gasparotti, Ogam, l’alfabeto celtico degli alberi, Ilmiolibro.it

[x] Leda Berné, Le vergini arcaiche, Edizioni della Terra di Mezzo.

[xi] Lynn Picknett e Clive Prime, La rivelazione dei Templari, Sperling

[xii] Tim Wallace Murphy, Il codice segreto dei Templari, Newton Compton

[xiii] Tim Wallace Murphy, Il codice segreto dei Templari, Newton Compton

[xiv] Jean Markale, Il Santo Graal, Edizioni l’Età dell’Acquario

[xv] Margarete Reimschneider, Miti pagani e miti cristiani – Rusconi

[xvi] Margarete Reimschneider, Miti pagani e miti cristiani – Rusconi

[xvii] Margarete Reimschneider, Miti pagani e miti cristiani – Rusconi

[xviii] Lynn Picknett e Clive Prime, La rivelazione dei templari, Sperling e Kupfer

[xix] Jean Markale, L’enigma dei Catari, Sperling e Kupfer

[xx] Alan Butler, Stephen De Foe, La verità sui Templari, I segreti dell’eredità cistercense, Ed. Età dell’Acquario

[xxi] Alan Butler, Stephen De Foe, La verità sui Templari, I segreti dell’eredità cistercense, Ed. Età dell’Acquario

[xxii] Vedi Lynn Picknett e Clive Prime, La rivelazione dei templari, Sperling e Kupfer

[xxiii] Louis Charpentier, Il mistero di Compostela – Una via iniziatica che attraversa i millenni – Edizioni l’Età dell’Acquario

[xxiv] Louis Charpentier, i misteri della cattedrale di Chartres, Arcana Editrice

[xxv] Vedi Petra Van Cronenburg, Madonne nere, Arkeios

[xxvi] Colette Bèmont, A propos d’un noveau monument de Rosmerta, Perséè (Ministère de la junesse, de l’éducation nationale et de la recherche- France)

[xxvii] Vedi Colette Bèmont, A propos d’un noveau monument de Rosmerta, Perséè (Ministère de la junesse, de l’éducation nationale et de la recherche- France)

[xxviii] Riccardo Taraglio, Il vischio e la quercia, Edizioni dell’Acquario

[xxix] www.bifrost.it

[xxx] Vedi Adolfo Zavaroni, Le dieux gaulois à la bourse, Perséè (Ministère de la junesse, de l’éducation nationale et de la recherche- France)

[xxxi] www.bifrost.it

[xxxii] Lynn Picknett, Clive Prime, La rivelazione dei Templari, Sperling & Kupfer

[xxxiii] Da Ean Begg, The Cult of Black Virgin, Arkana, Londra citato in Lynn Picknett, Clive Prime, La rivelazione dei Templari, Sperling & Kupfer

[xxxiv] Lynn Picknett, Clive Prime, La rivelazione dei Templari, Sperling & Kupfer

Silvano Danesi

Silvano Danesi

ISCRIVITI / NEWSLETTER

Iscriviti alla nostranewsletter

Resta aggiornato sugli ultimi articoli 

Ti sei iscritto con successo