di Silvano Danesi
Il concetto di Awen nella filosofia druidica riguarda principalmente quel “soffio” della sorgente di vita che esiste in noi, dalla nostra origine e che è la nostra essenza.
In alcune traduzioni viene definito “genio”, l’equivalente del greco “daimon”, in altri termini il Sé, ossia quella parte di noi esseri umani che è un “seme”, un “grumo” di Informazione, simile all’Informazione infinita che è l’origine di tutto essendo il Tutto, altrimenti detto Na-Ka, Archè, Nun, Tao.
Tuttavia, la traduzione di Awen con “genio” o “daimon” non rende giustizia al vocabolo, che significa anche flusso, in quanto collegato, come ci fa notare Pictet[1], ad aw (fluido), awon (fiume), awel (vento) awyr (aria).
Il concetto diAwen, per il suo stretto intreccio con quello di Manred, “seme” o “goccia” di luce, ci consente di definirlo nel modo seguente: “Un «soffio» del Tutto che si individualizza in un «seme» di luce, il quale contiene un pensiero che si materializza nell’essere umano. In altri termini, potremmo dire che un “soffio” dell’Informazione infinita, custodito in un “corpo di luce”, si materializza in un corpo di carne.
Awen, analizzato con il criterio etimologico di Franco Rendich, può essere scomposto in a (avvio dell’azione, separazione), v (distacco, separazione, distinzione, propagazione), e (incremento di i, moto continuo) e n (acqua).
In base a quanto sopra, Awen ha il significato di un flusso, di qualcosa che si separa dalle acque.
Una separazione che assume un senso preciso se si considera che la consonante N è riferita alle Acque primordiali, ossia, in altri termini, all’Informazione infinita che è il Tutto.
E’ ancora Franco Rendich[2] a darci un quadro di riferimento preciso.
Ka è “Acque lucenti” o “Acque cosmiche”, chiamate “madri”, che “si rivelano come la vera e unica causa efficiente dell’Universo”. [3] La Grande Madre Cosmica è qui presente come Na e come Ka
“Se consideriamo il fonema Na come il simbolo delle Acque indifferenziate – scrive in proposito Franco Rendich – possiamo dedurre che fu da esso che nacque il concetto di negazione, Na, e di conseguenza quello di Nulla (…) a causa dell’impossibilità di riconoscere al loro interno alcun ente (non ente, niente) o alcun uno (non-uno, nessuno). Soltanto con un secondo tempo, con l’apparizione della luce nelle acque [ka], il pensiero indoeuropeo avrebbe riconosciuto al loro interno il primo Essere, Eka, l’Uno: «luce [Ka] che sorge [e] dalle Acque»”. […]. La relazione tra le Acque cosmiche, l’Uno e il Nulla, appare ora chiara. Il Nulla, Na…, rappresenta le Acque viste nel loro aspetto imperscrutabile, mentre l’Uno, Eka, rappresenta le stesse Acque viste nel momento del sorgere della Luce al loro interno. Luce «creatrice», in quanto rende visibile e riconoscibile l’intero universo”. [4]
Da Ka deriva Eka (e+ka è il sorgere della luce), che dà origine a Da, luce creata.
Abbiamo, pertanto, una luce creatrice Ka, che sorge dalle Acque cosmiche Na, il Nulla, come Eka, moto di Ka e origina Da, luce creata.
Kam, derivante da Ka, infinito, e da M, limite, simbolo della realtà relativa e finita, è Amore.
“La consonante M – spiega Franco Rendich – è all’origine di mātŗ «madre», il fattore femminile della creazione che conduce la divina immobilità di Eka ad incarnarsi nella terrena transitorietà di dvi, il «due». In altre parole Kāma, «amore», rivela l’unione tra l’Infinito [Ka] e il Finito [M], nell’attimo in cui nasce il loro comune desiderio di creare la vita nell’Universo”. [5]
Awen, dunque, è la separazione di un “soffio” dalle Acque primordiali Na. Un “soffio” che acquista una definizione ulteriore con il concetto di Manred, i “semi” o “gocce di luce” che rappresentano gli esseri umani che si staccano da Ceugant, il Cerchio vuoto, ossia l’Origine, l’Infinita Informazione, per incarnarsi sulla Terra.
Manred è scomponibile, sempre secondo il metodo di Franco Rendich, in man (pensiero) e red, dove r è avvio, ri è fluire e d è luce. Nell’insieme i significati ci danno per Manred: “Pensiero che fluisce nella luce”. In questo caso in causa è Ka, l’altro aspetto di Na.
L’essere umano, Manred, con il suo Awen, è, pertanto un frattale di Na-Ka, ossia della Grande Madre: fatto a immagine e somiglianza della Grande Madre, Tenebra lucente, Mare in amore. Considerando la Grande Madre come utero, ossia Matrix e considerando che l’essere umano viene al mondo nell’utero materno (matrix) ripieno di liquido amniotico, possiamo dire che l’essere umano viene alla luce terrestre provenendo dalla luce originaria e il suo processo di incarnazione è simile a quello dell’universo: un’alchimia di trasmutazione delle acque celesti Na-Ka nelle acque terrestri. Acque terrestri, genericamente intese, senza le quali non esiste la vita.
Una recente soperta, segnalatami dall’amico Gianfranco Costa, pare suffragare quanto ci tramandano gli antichi Druidi: la vita comincia con un lampo di luce. Quando uno spermatozoo incontra un ovulo, al momento esatto del concepimento l’ovulo emette un’esplosione di piccole scintille. Il Big Bang inizia con un’esplosione di luce che poi, per un lasso di tempo non è più visibile, per divenire di nuovo visibile quando lo spazio-tempo raggiunge una relativa stabilità.
Il microcosmo è simile, come afferma la Tradizione, al macrocosmo.
L’Awen e l’impulso a manifestarsi.
L’Awen è presente nelle Triadi bardiche che si occupano di definire lo stato dell’essere umano nel Cerchio di Gwynfyd, ossia nel Cerchio della Felicità.
Nella Triade XXXII è scritto: Tri adfer cylch y Gwynfyd: awen gysefin, a gared gysefin, a chôf cysefin; am nas gellir gwynfyd hebddynt.
Tre cose saranno restituite nel Cerchio della Felicità: l’Awen originario, l’amore originario e la memoria originaria; senza questi non c’è felicità.
Nel Cerchio della Felicità, dove l’essere umano, dopo aver transitato in Abred (il Ciclo delle Migrazioni), ossia sulla Terra, giunge, grazie all’esercizio della Scienza-Conoscenza (concetto fondamentale del druidismo), gli viene restituito l’Awen originario, ossia la sua identità primigenia.
Nella trentunesima Triade è scritto: Tri chyntefigaeth Gwynfyd : annrwg, anneisiau, ag annarfod.
Tre vantaggi principali nel cerchio di Gwynfyd: assenza del male (la traduzione più vicina al significato del termine non è male, come afferma il Pictet, ma esprime il concetto di cattura, costrizione e in effetti il “male” è Drug, espansione caotica e Cytraul, coazione a ripetere, ndr), assenza della necessità (intesa come desiderio insopprimibile di manifestarsi, ndr), assenza del corpo materiale (tradotto dal Pictet con morte, ma la traduzione più vicina al significato del termine è: l’armatura, ossia il corpo materiale, ndr).
In Gwynfyd, pertanto, non c’è più alcuna costrizione, non c’è più la necessità di manifestarsi nello spazio-tempo e non c’è l’armatura, ossia il corpo materiale.
E’ fondamentale il concetto di anneisiau, in quanto sottolinea quello di eisiau, ossia della volontà manifestativa contenuto nella settima Triade relativa al Duw (il Demiurgo), che qui diventa evidente come volontà anche dei Manred, ossia delle gocce di luce, dei semi essenziali dell’essere umano.
Secondo le Triadi bardiche, pertanto, noi veniamo al mondo, ossia ci incarniamo, per precisa e insopprimibile volontà manifestativa e, dopo una o più esperienze nello spazio-tempo materiale (Abred), andiamo in un mondo di luce e di felicità (Gwynfyd, o Mondo Bianco) dove questa volontà manifestativa cessa.
“Queste due triadi – commenta Pictet -, nella loro concisione, caratterizzano già perfettamente lo stato futuro nell’uomo in Gwynfyd. Da una parte egli sarà liberato dalle miserie di Abred, dal male, dal bisogno, dalla morte [corpo], d’altra parte, egli ritroverà pienamente gli elementi essenziali dell’onore”.[6]
Il concetto di onore ha lo stesso tema di onesto e nella mentalità druidica rappresenta la piena coscienza di sé, cosicché perdere l’onore è perdere se stessi.
“Dal punto di vista psicologico – sostiene Pictet -, l’awen rappresenta, in qualche modo, lo sviluppo più elevato, la quintessenza intellettuale, il fiore ideale di ogni anima individuale. Ogni uomo ha il suo awen, ma raramente gli è permesso di gioirne nell’esistenza terrestre. I mille impedimenti della vita, e gli incidenti dell’organizzazione materiale, ne fermano o ne disturbano lo sviluppo naturale. E intanto non questo non sarebbe, per ogni individuo, il più potente elemento di felicità? Ebbene, questo elemento sarà posseduto completamente nel cerchio di Gwynfyd, e li ognuno diverrà in realtà quello che è stato originariamente…”.
La pienezza dell’individualità.
Nella Triade XXXIII è scritto: Tri gwahanfod pob byw gwrth arall: Awen, côf, a chanfod; sef y bydd cyflawn ar bob un, ag nis gellir cyfun y rhain ar un byw arall; a phob un yn gyflawn, ag nis gellir dau gyflawn ar ddim.
Tre differenze di ogni essere vivente: l’awen, la memoria e la comprensione; poiché sono complete per ciascuno e non possono essere condivise con altri, e ognuno è completo e non ci possono essere due completezze per ogni cosa.
Nella Triade XXXIV è scritto: Tri pheth a roddwys Duw ar bob byw, sef: cyflawnder ei ryw, gwahander pen ei hûn, a bannogaeth awen gysefin rhag arall; yna hunan cyfoll pob un gwrth arall.
Tre cose che il Demiurgo dà ad ogni essere vivente, ossia: la pienezza del suo sesso [natura], la completa distinzione della sua individualità e l’originalità del suo awen primitivo in rapporto ad ogni altro. Allora ognuno è se stesso rispetto agli altri.
“Questa triade – commenta il Pictet – è molto importante per la dottrina bardica della metempsicosi e per il senso di alcune tradizioni degli antichi bardi. Liberato dal male, dalla morte [corpo] e dall’ignoranza, nel pieno possesso del suo genio primitivo, del suo awen, delle pure gioie dell’amore, l’uomo nondimeno non si fermerà in una monotona eternità di felicità, incompatibile con la sua natura (vedere triade XXX). Un campo indefinito di attività intellettuale e di progresso gli resterà sempre aperto nell’inesauribile studio delle opere di Dio [Demiurgo, ndr]. Ai tesori di scienza accumulati con il ricordo completo delle sue esistenze passate, egli aggiungerà senza tregua nuovi tesori, perché l’universo intero si aprirà davanti a lui come un libro”.[7]
Nella Triade XXX richiamata da Pictet è, infatti, scritto: Tri gwahaniaeth angenorfod rhwng dyn, a phob byw aralI, a Duw: ing ar ddyn. ag nis geIlir ar Dduw; dechre ar ddyn.. ag nis gellir ar Dduw; ag angen newid cyflwr olynol yn nghylch y Gwynfyd ar ddyn. o anoddef bythoedd y Ceugant, ag nis gellir ar Dduw, gan allu pob dyoddef, a hyny gan wynfyd.
Tre inevitabili differenze tra uomo, o qualsiasi altro essere vivente, e Dio [Demiurgo]: l’uomo è finito, mentre Dio [Demiurgo] no; l’uomo ha avuto un inizio, mentre Dio [Demiurgo] non l’ha avuto; l’uomo necessita di cambiare la propria condizione successivamente nel cerchio di Gwynfyd, in quanto incapace di resistere fino a Ceugant, mentre Dio [Demiurgo] non ne necessita in quanto in grado di resistere ad ogni cosa e questo coerentemente con la felicità.
“Questa triade – commenta Pictet – ci apre un nuovo orizzonte e più elevato. Noi usciamo dal cerchio di Abred per entrare nel mondo superiore di Gwynfyd, dove le felicità si svolgono davanti ai nostri occhi. Quello che importa di osservare è che, dall’inizio, questa triade pone chiaramente l’insuperabile limite che separa, e separerà sempre, le creature dal Creatore. Qui non è questione di questo assorbimento nella sostanza divina che il panteismo indiano considera come la ricompensa finale e suprema del giusto compiuto. L’uomo abiterà eternamente nel cerchio di Gwynfyd con la sua personalità pulita; e, parimenti, egli passerà per degli stati diversi di esistenza via via più felici, perché, in quanto creatura, non potrebbe sopportare una eternità invariabile. Il cerchio di Ceugant, dove tutte l’esistenze finite si annienterebbero in seno all’assoluto, gli resterà per sempre irraggiungibile. Dio solo vi domina nella sua eternità, ma in rapporto costante con gli altri cerchi dell’universo che egli riempie della sua presenza. Dio è così contemporaneamente al di fuori e all’interno del mondo, nell’immobilità e nel movimento, nell’eternità e nel tempo, nell’infinito e nel finito; perché, come si esprime la triade, egli può supportare ogni cosa senza che la sua suprema felicità ne venga turbata”.[8]
E’ necessaria, qui, una sottolineatura riguardo al Dio che abita Ceugant, che è per la filosofia druidica espresso con tre lettere: OIU (pronuncia oiun). L’uso di tre vocali (per chiamare un dio inconoscibile ed innominabile appare più che un nome un’invocazione. Molte divinità hanno nomi composti da vocali: il dio sumero EA e la sua forma indoeuropea, l’urrita A’a; Iô è uno dei nomi della Dèa Madre; gli esseri divini alla testa di Shemsu-Hor o Anime divine (seguaci, emanazioni, compagni di Horus) si chiamavno Wa e Aa, detti Signori dell’Isola della Violazione; Yhwh o Yhwe (Yeoe); Vāyu, il vedico Signore delle energie vitali; Ioa, il demiurgo gnostico. Iahu, divina colomba, era il nome della Dèa sumerica, epiteto poi passato a Geova. [9] Eros (Fanete, il Sole) era Iao[10]. In Giappone la legge mistica del cosmo viene chiamata Myō hō e “la legge mistica – scrive Daisaku Ikeda – in sostanza è analoga a ciò che in altre religioni viene chiamato Dio, ma è diversa da Dio in quanto è totalmente immanente all’universo e alla vita umana”. [11]
Nella Triade XXXVII è scritto:
Tri bannogion pob byw yn nghylch y Gwynfyd: swydd, braint ag awen; ag nis gellir dau’n bod yn ungyfun y mhob peth; gan y bydd cyflawn pob un yn y bo bannog arno: ag nid oes cyflawn ar ddim, heb y maint olI a dichon fod o hano.
Le tre caratteristiche di ogni essere vivente nel cerchio di Gwynfyd: il compito [lavoro], il privilegio, l’Awen; né è possibile che due esseri siano identici in ogni cosa; perché ognuno di questi sarà completo in ciò che gli è caratteristico. Per questo e non vi è nulla di completo senza la comprensione dell’intera misura che potrebbe appartenergli.
In Gwynfyd non cessano i compiti, ossia il lavoro da fare, e l’essere umano godrà del privilegio, ossia della legge, della regola che è propria ad ogni singolo e dell’awen. Nel Cerchio della Felicità non cessa il lavoro da fare, secondo la propria regola e secondo il proprio imprinting originario. In sostanza, ognuno di noi ha un proprio percorso conoscitivo e d’azione. L’individualità è mantenuta inequivocabilmente nel Cerchio della felicità.
“La perfezione degli esseri, a qualsiasi grado essa si elevi, non implicherà quindi l’uniformità – commenta Pictet – ; ma consisterà in quello che ogni essere realizzerà completamente il suo proprio ideale, esercitando le sue facoltà in una determinata sfera, e sempre con uno scopo positivo, che non esclude l’idea di cambiamento progressivo: dottrina della felicità in opposizione netta con l’immobilità contemplativa come concepita dagli indiani”.[12]
Nella Triade XLV si legge: Tri chyfiawnder Gwynfyd: cyfran yn mhob ansawdd. ag un cyflawn yn pennu; cyfymddwyn a phob awen, ag in un rhagori; cariad at bob byw a bod, a tuag at un, sef Duw, yn bennaf; ag yn y tri un yma y saif cyflawnder nef a Gwynfyd.
Le tre pienezze del Gwynvyd: partecipazione di ogni qualità, con la completezza di una; interpretare ogni Awen, ed eccellere in uno; amore verso ogni essere vivente e verso uno di questi, ossia Dio [Demiurgo], sopra ogni cosa. E’ in queste tre cose che consiste la pienezza del cielo e di Gwynfyd,
La Triade, nel riaffermare l’individualità di ogni essere, ne afferma anche il rapporto con tutti gli altri come capacità di immedesimarsi negli altri senza con essi confondersi.
L’Awen come ispirazione bardica.
L’Awen, come “flusso” dell’Infinita Informazione assume anche il carattere di ispirazione poetica.
“Nel linguaggio dei bardi – sostiene Pictet -, awen designa più particolarmente il genio poetico, la musa, il flusso dell’immaginazione. Il poeta è chiamato awenydd, awenwr, colui che è dotato dell’awen; questa parola si incontra frequentemente nei poemi più antichi con un significato più o meno generico, e le triadi bardiche ci ritornano più di una volta per definirlo. Owen, nel suo dizionario, cita una di queste triadi che lo racchiude tutto un sistema di estetica : “Tre condizioni necessarie dell’awen: un occhio che sappia vedere la natura, un cuore che sappia sentire la natura, uno spirito che osi seguire la natura”.[13]
E’ la natura, con le sue regole, che vanno indagate con la razionalità e con l’intuizione, con in sentimenti e con la misura che consente all’essere umano di esercitare la propria azione in accordo con la natura in base a scienza e conoscenza.
Una triade citata da Owen Pughe nel suo dizionario gallico, alla parola gallu, prova che la conoscenza di Oyfrinach o segreto, era richiesta dei Bardi.
Tri pheth nis gellir bardd hebddynt: awen wrlh gerdd, gwybod cyfrinach barddas, a chynneddfau da.
Tre cose senza le quali nessuno può essere bardo: l’awen (o il genio) poetico, la conoscenza del segreto bardico e una buona qualità.
Il bardo deve essere un individuo predisposto, ispirato, ossia capace di clllegare il proprio Awen con l’Origine, e a conoscenza del segreto che possiamo, solo in parte, identificare nel linguaggio detto “berla” e nella scrittura ogamica.
La conoscenza di ogni cosa
Il tema della conoscenza è un cardine fondamentale delle Triadi bardiche in quanto rende l’essere umano consapevole che la nostra morte fisica è solo un passaggio, ed è un tema condiviso con la filosofia greca presocratica e con i riti eleusini dei quali, riguardo all’intreccio con l’orfismo “esistono segni manifesti nelle antiche fonti”. [14]
Che l’evento misterico di Eleusi, afferma Giorgio Colli, fosse una “festa della conoscenza, risulta chiaro dalle testimonianze antiche” e Dioniso era “la cifra archetipica della sapienza”. [15]
“In quell’epoca – scrive Giorgio Colli, riferendosi ai presocratici – «sapienza» significava anche abilità tecnica, oppure saggezza della vita, prudenza politica: ma sapiente – che non fosse tale in qualcosa e in qualcosa no, ma sapiente in assoluto – era uno che possedeva l’eccellenza del conoscere”. [16] Eccellenti nel conoscere sono Taliesin, Amergin, Fintan, Merlino.
Orfeo è un cantore apollineo e tra Dioniso (il mutevole di forme, il lacerato, il disperso) e Apollo (il riunificatore della dispersione) esiste un’identificazione con scambio di nomi e di attributi.
“Apollo – scrive Giorgio Colli – è il dio della sapienza, in modo esplicito e pacifico. Difatti il conoscere tutto, la tracotanza del conoscere, spetta soltanto alla divisione, nella sfera arcaica, e quest’arte è concessa ad Apollo”. [17]
La nozione indoeuropea di «conoscenza» connessa a quella di «mente», «pensiero» e «intelligenza», nacque… dall’idea, di natura religiosa del «moto in avanti [j] delle Acque cosmiche [nā]» la facoltà delle quali sono bene espresse anche nelle radici greche: noéo (pensiero), noéros (intelligente), noèma (pensiero), nóésis (intelligenza), nóos (mente). [18]
Nella triade XVII si legge:
Tri achos angen Abred : cynnull defnydd pob ansawdd, cynnull gwybodaeth pob peth, a chynnull nerth er gorfod pob gwrth a Chythraul ag ymddiosg a’r Drwg ; ag heh hynn a dreiglo pob cyflwr byw, nis gellir cyflawn ar un byw na rhyu.
Tre cause della necessità in Abred: raccogliere l’utilizzo di ogni qualità; raccogliere la conoscenza di ogni cosa; accumulare la forza oer superare ogni avversità e ogni Cytraul [coazione a ripetere] ed essere spogliati da Drwg [caos]; senza attraversare ogni condizione di vita è impossibile [acquisire] la completezza del vivente e della specie [sesso].
Il motivo dell’incarnazione è la conoscenza di ogni cosa, l’esercizio della volontà e lo spogliarsi del caos, ossia conquistare un proprio ordine. Ordo ab chao sembra qui derivare direttamente dalla filosofia druidica. L’ordine peraltro è il fondamento dell’omesostasi, ossia del lavoro incessante dell’essere vivente per mantenersi in vita. L’esperienza dell’ordine è, come si può arguire dall’insegnamento triadico, uno dei motivi principali del transito nel mondo.
La compresenza di Duw e Drwug necessita di una spiegazione che è possibile utilizzando il metodo etimologico di Franco Rendich. Duw è luce (d) che si separa (v), si concentra e si stabilizza (u). Drwg è una luce (d) che fluisce (r) e si separa in modo tortuoso (g).
Da un lato il Demiurgo, che è la luce concentrata, ordinata, stabilizzata; dall’altro Drwg, che è luce disordinata.
Spetta all’essere umano conoscere le due modalità della luce e scegliere tra ordine e disordine, esercitando il libero arbitrio, che è conoscenza e volontà.
Tuttavia per una completa comprensione non è sufficiente l’esperienza incarnata, come afferma la triade XIX, nella quale è scritto: Tri phen angen y sydd cynn cyflwyr wybodaeth: treiglo’r Abred, treiglo’r Gwynfyd, a chof . o’r cyfan hyd yn Annwn.
Ci sono tre direttive necessarie per la completezza della comprensione: transitare in Abred, transitare in Gwynfyd e ricordarsi dal mondo di Annwun.
Per comprendere l’intero percorso della vita dell’essere umano, dunque, è necessario transitare nel mondo terreno, transitare nel mondo della Felicità e ricordarsi dal mondo di Annwn, ossia ricordarsi dell’intero ciclo, che va dal momento nel quale l’Awen ricoperto di luce, Manred, si è calato nella materia, fino all’approdo in Gwynfyd .
La triade XXXV, ci avverte che per sconfiggere il disordine (Drwg) è fondamentale conoscerne la qualità, la causa e il modi di agirene: O ddeal tri pheth y bydd difant a gorthrech ar bob drwg a marw: ansawdd, achos a pheirant; a hyn a geir yn y Gwynfyd.
Dalla comprensione di tre cose e dalla volontà di sconfiggere Drwg e la morte: le [loro] qualità, la [loro] causa e il [loro] modo di agire; e questa conoscenza sarà ottenuta in Gwynfyd.
Infine, nella triade XXVI: Tri chadernyd gwybodaeth : darfod treiglo pob cyflwr bywyd, cofio treiglo pob cyflwr a’i ddamwain, a gallu treiglo pob cyflwr fal y mynner, er prawf a barn; a hynn a geir yn nghylch Gwynfyd.
Tre i fondamenti della conoscenza: transitare in tutte le condizioni della vita, ricordarsi di tutte le disavventure e essere in grado di poter essere in una condizione qualsiasi. E questo è ottenuto in Gwynfyd.
Non frequentare la conoscenza, non apprendere ciò che è buono e lasciarsi andare al caos riconduce l’essere umano ad una coazione a ripetere l’esperienza incarnativa riprendendo la lezione della vita dal punto in cui lo si è iniziata nell’incarnazione appena terminata, come è scritto nella XXV Triade.
Nella Triade XXV è infatti scritto: O dri pheth y syrth angen Abred ar ddyn : anym’gais a gwybodaeth; anymlyn a’ r dâ, ag ymlyn a’r drwg; sef y syrth gan hynn o bethau hyd ei gydryw yn Abred, a threiglo yn ol fal y bu gyntaf .
Per tre cose l’essere umano cade nella necessità di Abred: per la non applicazione alla conoscenza; per non essere vicino a ciò che è buono e per seguire Drwg [caos]; e a causa di questi tornerà a ciò che gli è omogeneo e riprenderà il transito da come era prima.
La conoscenza rende liberi
Lo stesso concetto di conoscenza è stato ed è oggetto di molte interpretazioni. Tra le molte quello di gnosis è interessante per le sue assonanze con i concetti triadici, in quanto, come scrive Hans Jonas[19], “oggetto di tale conoscenza è tutto quello che appartiene al regno divino dell’essere, e precisamente l’ordine e la storia dei mondi superiori e ciò che deve provenirne, ossia la salvezza dell’uomo”. Salvezza intimamente legata alla conoscenza.
“Ciò che libera – si legge in uno scritto della scuola valentiniana (Exc.Theod. 78,2) – è la conoscenza di quello che eravamo, di ciò che siamo diventati; di dove eravamo, dove siamo stati gettati; verso dove ci affrettiamo, da dove siamo redenti; che cosa è nascita, e che cosa è rinascita”.
Del resto il termine stesso di gnosis, nell’uso degli gnostici, “potrebbe essere tradotto con “intuito”, poiché la gnosis implica un processo intuitivo di conoscenza di sé”. [20]
“Conoscere se stesso al livello più profondo – scrive Elain Pagels – è allo stesso tempo conoscere Dio; questo è il segreto della gnosi”.[21]
Ricercare la verità ontologica è un itinerario di confine, sul quale ogni conquista non è più solo conoscenza, ma Sapienza. Non conosco. So! “Il luogo della trascendenza – scrive Jaspers – non è né di qua, né di là, ma è confine”.[22] E’ il punto di libertà.
Il simbolo, con la sua polivalenza che rinvia al significato ulteriore, è il linguaggio dell’Awen.
Il sogno, il cui linguaggio è il simbolo, in questo itinerario di confine, è un luogo privilegiato nel quale Na (il nascosto – léthe) si mostra, si dispiega (alétheia), Ka e attraverso il simbolo sollecita intuizioni acquisibili anche dal linguaggio analitico, calcolante, e traducibili in concetti utilizzabili.
Nella triade XVII si legge: “…. lo sviluppo della conoscenza di tutte le cose …”. La Natura, manifestazione nel limite M, di Na-Ka, viene qui indagata per scoprirne le regole e avvicinarsi alla Regola.
Lo studio della Natura esce da quello che Vincenzo Capparelli chiama “piccolo matematismo”, teso al dominio tecnico della Natura, per riavventurarsi in quello che Capparelli chiama il “grande matematismo” degli antichi sapienti, laddove “… la migliore esperienza mistica antica, e quella pitagorica in particolare, ha ispirato ad un dominio psichico, magico, in una parola demiurgico, attraverso il più sapiente e severo tenore di vita [al quale] la Natura non violentata, non soggiogata obbedisce spontaneamente…”. [23]
Conoscere Duw e Drwg è scegliere il “grande matematismo”; è connettersi con l’Origine e con la Natura, non per soggiogarla, non per violentarla, ma per indirizzarla, secondo le sue regole, che sono anche quelle naturali dell’essere umano.
L’essere umano, in accordo con la Natura, svolge un ruolo demiurgico, ordinatore e armonico.
L’essere umano in dis-accordo, ossia in dis-ordine, violenta la Natura e violenta se stesso, consegnandosi all’infelicità.
© Silvano Danesi
[1] Adolphe Pictet, Il mistero dei bardi dell’isola britannica o la dottrina dei bardi gallesi del Medioevo su Dio, la vita futura e la trasmigrazione delle anime, Ginevra, Joel Cherbuliez, libreria editrice, 1856.
[2] Franco Rendich, L’origine delle lingue indoeuropee, Palombi Editore
[3] Franco Rendich, L’origine delle lingue indoeuropee, Palombi Editore
[4] Franco Rendich, L’origine delle lingue indoeuropee, Palombi Editore
[5] Franco Rendich, L’origine delle lingue indoeuropee, Palombi Editore
[6] Adolphe Pictet, Il mistero dei bardi dell’isola britannica o la dottrina dei bardi gallesi del Medioevo su Dio, la vita futura e la trasmigrazione delle anime, Ginevra, Joel Cherbuliez, libreria editrice, 1856.
[7] Adolphe Pictet, Il mistero dei bardi dell’isola britannica o la dottrina dei bardi gallesi del Medioevo su Dio, la vita futura e la trasmigrazione delle anime, Ginevra, Joel Cherbuliez, libreria editrice, 1856.
[8] Adolphe Pictet, Il mistero dei bardi dell’isola britannica o la dottrina dei bardi gallesi del Medioevo su Dio, la vita futura e la trasmigrazione delle anime, Ginevra, Joel Cherbuliez, libreria editrice, 1856.
[9] Robert Graves, I miti greci, Longanesi
[10] Robert Graves, I miti greci, Longanesi
[11] Daisaku Ikeda, La vita, mistero prezioso, Sonzogno
[12] Adolphe Pictet, Il mistero dei bardi dell’isola britannica o la dottrina dei bardi gallesi del Medioevo su Dio, la vita futura e la trasmigrazione delle anime, Ginevra, Joel Cherbuliez, libreria editrice, 1856.
[13] Adolphe Pictet, Il mistero dei bardi dell’isola britannica o la dottrina dei bardi gallesi del Medioevo su Dio, la vita futura e la trasmigrazione delle anime, Ginevra, Joel Cherbuliez, libreria editrice, 1856.
[14] Giorgio Colli, La sapienza greca, Adelphi
[15] Giorgio Colli, La sapienza greca, Adelphi
[16] Giorgio Colli, La sapienza greca, Adelphi
[17] Giorgio Colli, La sapienza greca, Adelphi
[18] Vedi Franco Rendich, L’origine delle lingue indoeuropee, Palombi Editore
[19] Lo gnosticismo, Sei
[20] Elain Pagels, I Vangeli gnostici, Mondadori
[21] Elain Pagels, I Vangeli gnostici, Mondadori
[22] K.Jaspers, Filosofia, Utet
[23] Vincenzo Capparelli, La sapienza di Pitagora, Ed.