di Silvano Danesi
Le teorie transumaniste che intendono eternare l’umano attraverso la tecnica sono diaboliche, in quanto divisive del sinolo essere-umano.
L’essere (sostantivo) viene separato dal predicato umano (humus, umido, terreno), il quale, sostantivato, diviene l’unica realtà individuale e individuante.
L’umano perde la sua completezza e viene costretto e compresso nella materia corporale, la cui salvezza, intesa come continuità di vita biologica, è delegata alla tecnica, ossia a chi la tecnica la possiede.
La promessa di eternità che è esposta in alcuni testi degli ideologi del transumanesimo è una beffa diabolica che condanna l’umano alla sua umidità, al suo destino mortale, illudendolo che la tecnica possa impedirne l’estinzione per entropia, legge inesorabile che riguarda non solo gli esseri viventi, ma l’insieme dell’universo che ci circonda.
Il transumanesimo è una diabolica menzogna, che oscura la verità che l’essere umano è eterno e che thánatos non è l’eliminazione definitiva, ma, come intendeva Eraclito, un passaggio di stato. [i]
Per comprendere come thánatos sia la cessazione di uno stato che implica un passaggio, dobbiamo introdurre il concetto eracliteo, che ci ricorda Colli, di anima umida e di anima secca, ossia dell’esistenza dell’essere umano in due stati.
L’anima umida indica lo stato del vivente biologico, umido, humus, terreno, mentre l’anima secca è lo stato del sapiente che diventa dio, dove dio è il daimon, ossia quello che potremmo chiamare âtman, o Sé.
Il passaggio di Stato è ben definito in due frammenti eraclitei.
Nel frammento 22B77DK si legge: “Per le anime diventare umide significa godimento e morte. Noi viviamo la loro morte e quelle vivono per la nostra morte”.
L’anima secca, incarnandosi, “muore” al suo stato precedente disincarnato, cosicché il vivente biologico umido vive della “morte” dell’anima secca, come l’anima secca vive della morte del vivente biologico, l’anima umida.
Non c’è separazione, ma passaggio di stato.
Il concetto è ribadito nel Frammento 22B62DK: “I mortali sono immortali, gli immortali sono mortali, gli uni vivendo la morte degli altri, gli altri morendo per la vita dei primi”.
Detto in altri termini, la nascita, la venuta al mondo, è la morte dell’anima secca intesa come passaggio di stato nell’anima umida e la fine della vita biologica è la rinascita dell’anima secca, con l’essere che abbandona l’umano, l’umido, il terrestre, per tornare ad essere il proprio êthos, la propria individualità essenziale.
L’umano, mentre lascia la vita biologica, si incammina verso l’altro stato e brama l’umidità, l’acqua che lo ha reso tale.
All’anima umida che si avvia a diventare secca, soccorrono le lamine orfiche, che le indicano cosa fare.
Nella di Lamina di Petelia si legge: “Troverai a sinistra delle case di Ade una fonte, e accanto ad essa eretta un bianco cipresso: a questa fonte non avvicinarti neppure. Ma ne troverai un’altra, la fredda acqua che scorre dal lago di Mnemosyne: vi stanno innanzi custodi. Di’: “Son figlia della Greve e del cielo stellato: urania è la mia stirpe, e ciò sapete anche voi. Di sete son arsa e vengo meno: ma datemi presto la fredda acqua che scorre dal Lago di Mnemosyne”. Ed essi ti daranno da bere dalla fonte divina; e dopo d’allora con gli altri eroi sarai sovrana”.
Nella lamina di Farsalo si legge un concetto simile: “Troverai a destra delle case di Ade una fonte, e accanto ad essa eretto un bianco cipresso: a questa fonte non avvicinarti neppure. Più oltre troverai la fredda acqua che scorre dal Lago di Mnemosyne. Vi stanno innanzi custodi, ad essi ti chiederanno a qual fine sei venuto fin lì. A loro tu esponi tutta la verità; di’: “Son figlio della Greve e del cielo stellato; Asterios è il (mio) nome. Son arso di sete, ma datemi da bere alla fonte”.
Nel Lago di Mnemosyne è contenuta l’acqua della memoria, che consente di superare la dimenticanza dell’origine.
Per superare la diabolica menzogna materialista è necessaria la conoscenza ed Eraclito ci dice, nel frammento 22B116DK: “A tutti gli uomini è possibile conoscere sé stessi e pensare la verità”.
La diabolica menzogna è quella dell’homo deus, ossia dell’umano, dell’umido, del predicato che si fa dio separandosi dall’essere, dal sostantivo, ossia dalla sua sostanza.
Ben diverso è il riconoscimento della propria divinità da parte dell’essere umano secondo quanto ci è indicato dal frammento eracliteo 22B119DK: “L’individuo [êthos] per l’uomo un dio”. (Traduzione di Giorgio Colli).
Êthos anthropoi daímon (Frammento 22B119DK) è tradotto da Angelo Tonelli con: “Demone all’uomo l’indole”, dove êthos è l’indole, la qualità interiore ed è potenza luminosa che orienta il destino e dáimon “è la forza numinosa che accompagna l’uomo, il «Genio personale assegnato a sorte (Marcovich EF347). Per Eraclito – scrive Angelo Tonelli – la qualità interiore, ciò che un uomo è nel profondo, ha la forza demonica, e da essa dipende lo svolgersi della vita. Gutthrie HPG482 sostiene che nel frammento c’è «un significato che si collega alla trasmigrazione delle anime e che suona: il carattere dell’uomo è la parte di lui immortale e potenzialmente divina. Ciò dà enfasi terribile alla responsabilità umana e incrementa il contenuto etico della frase»”. [ii]
La conoscenza di sé stessi (gnoti seauton), la conoscenza del proprio Sé, del proprio êthos è conoscere il proprio daimon, la propria verità.
“Per questo – scrive Colli – egli [Eraclito] chiama divino nell’uomo l’ êthos, che è questa individualità più profonda. Questa personalità superiore ha per natura la conoscenza, ed egli la chiama tò sophón, ciò che è sapiente”. [iii]
Questa individualità profonda, questa indole, che ha la forza demonica trova in Aristotele (De Anima) la formulazione del concetto che “l’anima è entelechia di un corpo”.
Entelechia, da en telos, indica ciò che ha dentro di sé il proprio fine. E “l’entelechia di ciascuna cosa si realizza naturalmente in ciò che è in potenza in questa cosa, ossia nella materia appropriata”. (De Anima).
Se dalla filosofia passiamo alla psicologia, Jung descrive il Sé come l’agente ordinatore, regolatore e armonizzatore della psiché, alla quale dà significato in quanto fonte di senso. Il Sé è spiritus rector, spirito guida. E così, anche con Jung, torniamo al grande Eraclito e al suo êthos anthropoi daimon.
Nella Bahgavad Gitā si legge: “L’anima abita il corpo materiale. Essa vi risiede mentre il corpo passa progressivamente dall’infanzia alla giovinezza, all’età adulta e poi alla vecchiaia. Dopo la morte lascia il corpo vecchio e inutilizzabile per vestirne un altro. […]. Sappi, o Arjuna, che non puoi annientare ciò che pervade il corpo intero. L’anima è imperitura e nulla può distruggerla”.
È qui chiaro il concetto di reincarnazione.
Paul Davies, fisico e saggista, scrive che l’anima è “un’entità non composta di materia, ma di pensieri”. [iv]
Nella tradizione egizia il Ba è, secondo Jan Assmann, “l’anima corporea che anima il corpo durante la vita e si separa dopo la morte” e “il termine ba si riferisca anche agli dèi, intendendo con esso la loro manifestazione cosmica percepibile mediante i sensi. […]. Così, il Dio supremo viene pensato come «ba» che si incarna come l’anima nel corpo”. [v]
“Il termine ba «anima» – scrive Assmann – serve come modello per pensare la relazione tra Dio e il mondo. […]. Nei confronti del mondo Dio si comporta come l’anima nei confronti del corpo”. [vi]
Siamo giunti ad un nuovo punto cruciale dell’operazione diabolica, radicalmente divisiva, del transumanesimo: la separazione tra l’essere umano e l’Essere o, in altri termini, tra l’anima individuale e l’anima mundi, tra l’Atman e il Brahman.
Siamo di fronte alla negazione dello xunón, la realtà che è comune a tutte le cose, il continuo.
Scrive Colli che in Parmenide “la perfetta conoscenza consiste nell’eliminare ogni discontinuità, nel sentire che l’essenza vera del mondo è ciò che unisce, che fonde le cose distanti”. [vii]
Scrive ancora Colli che per Eraclito “l’individuo non sapiente che non arriva allo xunón e vive con una personalità ristretta viene in quanto essere limitato ad essere sottomesso alla legge di necessità e come suddito della pólis universale a non avere libertà; il sapiente coincide invece con il principio delle cose, e in quanto tale non è soggetto alla necessità”. [viii]
Necessità è Anankke, la dea del destino, della necessità inalterabile, del fato.
Il transumanesimo diabolico, radicalmente divisivo, consegna l’essere umano alla sua sola umidità e all’ignoranza che gli toglie la libertà.
Scrive Eraclito: “Una sola è la sapienza, conoscere l’intendimento che governa tutte le cose attraverso tutte le cose “. (Frammento 22B41 DK).
L’operazione diabolica, radicalmente divisiva, impedisce di conoscere l’intendimento (gnóme divina).
Parmenide (Frammento 28B5DK) afferma: “Qualcosa si comune, di continuo (xunón) è ciò da cui parto, poiché là tornerò di nuovo”.
La conoscenza, intesa come gnosis, non è solo razionale (lógos), ma anche intuitiva, noetica, e “Teofrasto – scrive Colli – ci dice che per Parmenide l’anima e il noûs, sono la stessa cosa” e, commenta sempre Colli, termini come noeîn, nóos, phroneîn, nei Presocratici significhino “conoscenza intuitiva”. [ix]
“Il noûs – scrive Angelo Tonelli – è la dimensione del profondo che ci mette in contatto con la verità, e conduce «occhio» esso stesso, gli «occhi dell’anima» a «ottenere il nutrimento che le è proprio», che è la «contemplazione delle realtà che veramente sono»”. [x]
Il noûs, il Sè profondo o superiore, è il vero centro della personalità che sconfina nel cosmo, per assimilazione (homoíosis) con l’Origine.
Nel frammento 82 Giamblico (Vita di Pitagora XXXII 228) scrive: “Il più grande incitamento alla fortezza consiste nel porsi dinnanzi a sé lo scopo supremo, ovvero di proteggere e liberare il noûs che fin dall’infanzia è in preda a tanti ostacoli e vincoli: senza il noûs nessuno può apprendere o intuire alcunché di sano e di vero, a prescindere di quali intensità di percezione sia dotato. Secondo i Pitagorici, il noûs «tutto vede e tutto ode, tutto il resto è cieco e sordo»”.
Ecco un altro diabolico tranello dei transumanisti: la negazione della conoscenza intuitiva.
Qui giunti facciamo i conti con quel gnoti seauton apollineo che Angelo Tonelli traduce con “Conosci il tuo Sé”, ossia te stesso nella tua essenza daimonica.
Conoscenza, questa, che implica un percorso di individuazione.
Il processo di individuazione, scrive Marie Louise Von Franz, “è sì l’incontro con un nucleo interiore di natura divina, da lui [Jung] denominato il Sé, ma anche un assoggettarsi a questo nucleo”. [xi]
Il processo di individuazione consiste nel diventare sé stessi, ri-conoscersi nella propria complessità, che non è solo umidità, humus, terra, materia.
Troviamo una rievocazione del concetto del passaggio di stato tra anima secca e anima umida nel rituale simbolico del battesimo, immersione nell’acqua, che evoca l’immersione nel sangue e nel liquido amniotico.
Siamo in presena del simbolo dell’immersione del Sé. Immersione che consente al Sé di sperimentare l’Io.
“Infatti – scrive M.L.von Franz – entrare nel campo della completezza dell’Io è per il Sé come annegare o decadere”. [xii]
Se si separa l’essere umano in due parti e sostantivando l’umano si estromette l’essere, l’immersione diventa un annegamento, una eliminazione del nucleo essenziale etico daimonico e si riduce l’essere umano a oggetto materiale.
Tuttavia, l’impresa diabolica è destinata a fallire, in quanto nell’essere umano la spinta all’individuazione, ossia al ri-conoscimento del rapporto dell’Io con il Sé, è ineliminabile.
“Il Sé – scrive M.L.von Franz – contiene la possibilità di sviluppo della personalità: lo strumento della sua incarnazione è l’Io, nella misura in cui si realizza, dà realtà a ciò che nel Sé è allo stato potenziale. Procedendo nello sviluppo, l’Io allarga sempre più il campo della coscienza, integra alcune parti della psiche inconscia e con altre stabilisce una relazione: acquisisce così nuovi punti di vista e nuove capacità di vita e di realizzazione, che corrispondono a progetti del Sé”. [xiii]
[i] Giorgio Colli, Filosofi sovrumani, Adelphi
[ii] Eraclito, Dell’Origine, a cura di Angelo Tonelli, Feltrinelli
[iii] Giorgio Colli, Filosofi sovrumani, Adelphi
[iv] Paul Davies, Dio e la nuova fisica, Mondadori
[v] Jan Assman, Un solo Dio e molti dèi, Edb
[vi] Jan Assman, Un solo Dio e molti dèi, Edb
[vii] Giorgio Colli, Filosofi sovrumani, Adelphi
[viii] Giorgio Colli, Filosofi sovrumani, Adelphi
[ix] Giorgio Colli, Filosofi sovrumani, Adelphi
[x] Angelo Tonelli, Pitagora maestro segreto, Feltrinelli
[xi] M.L.von Franz, L’individuazione nella fiaba, Bollati Boringhieri
[xii] M.L.von Franz, L’individuazione nella fiaba, Bollati Boringhieri
[xiii] M.L.von Franz, Il filo di paglia, il tizzone e il fagiolo, Moretti e Vitali






