di Saul Tonazot
Prolegomeni: la frattura ontologica tra virtualità e attualità nell’iniziazione massonica.
La questione che ci accingiamo a esaminare con il rigore che la materia impone concerne uno degli aspetti più delicati e, al contempo, più misconosciuti dell’odierna prassi massonica: la progressiva atrofia delle metodologie operative che dovrebbero accompagnare e completare il lavoro rituale collettivo, trasformando l’iniziazione da mera potenzialità virtuale in effettiva realizzazione spirituale. Tale problematica non costituisce un rilievo di carattere meramente disciplinare od organizzativo, bensì attiene alla struttura ontologica stessa del fatto iniziatico, alla sua economia soteriologica, se così è lecito esprimersi mutuando una categoria dalla teologia sacramentaria.
La tesi che ci proponiamo d’illustrare e corroborare mediante un’analisi dottrinale rigorosa può essere articolata in tre proposizioni fondamentali, fra loro intimamente concatenate: primo, che la Massoneria speculativa moderna, nella propria configurazione storica attuale, rappresenta una forma diminuita, per così dire menomata nelle sue potenzialità trasformative, rispetto all’integralità dell’Ordine iniziatico che caratterizzava l’antica Massoneria operativa; secondo, che il metodo massonico, nella sua completezza ortodossa, presuppone necessariamente pratiche individuali quotidiane, senza le quali il lavoro rituale collettivo rimane sostanzialmente inefficace ai fini dell’attualizzazione delle virtualità conferite durante la cerimonia iniziatica; terzo, che gli stessi formulari rituali, correttamente interpretati, contengono gli elementi necessari per comprendere tale esigenza operativa, sebbene la loro evidenza rimanga velata all’intelligenza profana o superficiale.
I. LA DIALETTICA FRA OPERATIVITÀ E SPECULAZIONE: GENEALOGIA DI UNA SCISSIONE
I.1 L’integralità dell’Ordine operativo
Al fine di comprendere adeguatamente la natura della trasformazione che ha condotto dalla Massoneria operativa a quella speculativa, occorre preliminarmente chiarire cosa s’intenda per “operatività” in senso iniziatico. Il termine, infatti, nella propria accezione tecnica, non si riferisce meramente all’esercizio di un’arte manuale o di un mestiere, ma designa piuttosto quella sintesi vivente di gnosis e praxis nella quale la conoscenza dottrinale e la realizzazione effettiva costituiscono due aspetti inscindibili di un’unica economia spirituale.
L’antico massone operativo non era semplicemente un artigiano che possedesse anche alcune conoscenze simboliche o dottrinali: egli era, in senso proprio, un iniziato la cui arte costituiva il supporto stesso della sua realizzazione spirituale. Come René Guénon ha magistralmente dimostrato in numerosi passaggi della sua opera, infatti, le civiltà tradizionali non conoscevano quella separazione radicale tra lavoro profano e vita spirituale che caratterizza la modernità. Ogni mestiere, quando inserito in un quadro tradizionale, poteva fungere da supporto per un’iniziazione ai Misteri.
La costruzione non era pertanto una semplice attività economica, ma un’opera sacra nella quale ogni gesto, ogni misura, ogni proporzione rifletteva e attualizzava archetipi universali. Il tracciamento del piano, l’elevazione delle colonne, la disposizione degli spazi secondo i principi della geometria sacra costituivano altrettante operazioni teurgiche mediante le quali l’artefice partecipava all’opera del Grande Architetto dell’Universo. In questo senso, la medesima distinzione fra “vita attiva” e “vita contemplativa” si rivela inadeguata: l’operatività tradizionale trascendeva tale dicotomia realizzando quella che potremmo definire, con un’espressione apparentemente ossimorica ma in realtà perfettamente appropriata, una “contemplazione attiva” o una “azione contemplativa”. La pratica che tradizionalmente permetteva agli operativi di mantenere vivo il contatto con il simbolismo era quindi l’attività stessa del mestiere: il gesto artigiano si configurava di per sé come un atto rituale. Venuto meno tale supporto, si è reso necessario sostituirlo con una forma equivalente di concentrazione attiva sui simboli.
I.2 La genesi della Massoneria speculativa e la perdita dell’integralità
La transizione dalla Massoneria operativa a quella speculativa, processualmente compiutasi fra il XVII e il XVIII secolo e simbolicamente sancita dalla fondazione della Gran Loggia di Londra e Westminster il 24 Giugno del 1717, non rappresentò un evento neutro o privo di conseguenze per l’economia iniziatica dell’Ordine. Sebbene tale trasformazione abbia consentito la sopravvivenza stessa dell’Istituzione massonica in un’epoca di progressiva desacralizzazione dei mestieri, nondimeno essa ha comportato quella che non possiamo non qualificare come una diminuzione sostanziale delle potenzialità realizzative dell’iniziazione.
Il medesimo termine “speculativa” appare rivelatore: esso indica una Massoneria che ha conservato gli aspetti dottrinali e simbolici, infatti, ma che al contempo ha smarrito – o quanto meno radicalmente trasformato – la dimensione operativa effettiva. I “massoni accettati”, che progressivamente pervennero a costituire la maggioranza delle Logge, non erano più costruttori nel senso letterale del termine: essi utilizzavano gli strumenti dell’ars aedificatoria in senso puramente simbolico, come supporti per un lavoro interiore che non aveva più alcuna connessione organica con l’esercizio di un mestiere effettivo.
Ora, secondo la prospettiva tradizionale rigorosamente intesa, siffatta separazione non poteva non produrre conseguenze di ordine iniziatico. Come lo stesso Guénon ha sottolineato a più riprese, l’efficacia di un rito iniziatico possiede certamente un carattere ex opere operato, vale a dire che essa opera indipendentemente dalle disposizioni soggettive del recipiendario; tuttavia, affinché tale efficacia si realizzi compiutamente nell’individuo, risulta necessaria una cooperazione attiva da parte sua, un’attualizzazione delle possibilità che l’iniziazione gli ha conferito in maniera esclusivamente virtuale.
I.3 La virtualità dell’iniziazione: una categoria metafisica
Per comprendere adeguatamente la problematica che stiamo esaminando, è indispensabile soffermarsi sulla distinzione fondamentale fra virtualità e attualità nel contesto iniziatico. Simile distinzione, che affonda le proprie radici nella metafisica aristotelica della dýnamis (δύναμις) e dell’enérgeia (ἐνέργεια) assume nella dottrina tradizionale un’importanza capitale.
L’iniziazione, nel momento stesso del suo conferimento rituale, produce una metamorfosi ontologica reale nell’iniziato: essa dischiude effettivamente possibilità che prima risultavano chiuse, stabilisce un contatto effettivo con l’influenza spirituale dell’Ordine e crea un vincolo permanente con la catena iniziatica. In tal senso, l’iniziazione è reale e non illusoria, oggettiva e non meramente soggettiva o psicologica. Essa conferisce quella che potremmo definire, utilizzando una terminologia scolastica, una “disposizione permanente” (habitus) di ordine spirituale.
Tuttavia, questa realtà permane allo stato virtuale, potenziale, se non viene attualizzata mediante un lavoro effettivo. È come un seme che, sebbene contenga realmente in sé la virtualità dell’albero, nondimeno richiede condizioni appropriate – terreno, acqua, luce – al fine di potersi sviluppare effettivamente. L’iniziazione virtuale priva di attualizzazione risulta paragonabile a ciò che i teologi scolastici definivano sacramentum tantum: il segno esteriore è presente, ma l’effetto interiore (res sacramenti) non si produce compiutamente.
II. L’ESIGENZA OPERATIVA INSCRITTA NEI FORMULARI RITUALI: UN’ERMENEUTICA DEL GIURAMENTO
II.1 L’obbligazione di “percorrere incessantemente la via iniziatica tradizionale”
I rituali massonici, in tutte le loro diverse recensioni e varianti, custodiscono un elemento che dovrebbe fungere da chiave interpretativa nell’intento di comprendere la necessità di una pratica individuale costante: l’impegno solenne che il neofita assume dinnanzi alla Loggia di «percorrere incessantemente la via iniziatica tradizionale per il proprio perfezionamento interiore». Tale formula – o sue varianti sostanzialmente equivalenti – appare nel momento più solenne della cerimonia iniziatica, quando il recipiendario, posto di fronte all’altare e vincolato dal giuramento, assume obbligazioni che lo impegneranno per l’intera esistenza.
Un’analisi filologica rigorosa di detta formula rivela la presenza di un avverbio che dovrebbe suscitare un interrogativo fondamentale: incessantemente. Come è possibile percorrere una via “incessantemente”, ossia senza alcuna interruzione? Se ci limitassimo a interpretare tale impegno come riferito esclusivamente alla partecipazione ai lavori di Loggia, ci troveremmo costretti ad ammettere che esso rimane sostanzialmente irrealizzabile, giacché le tornate rituali si svolgono – nella migliore delle ipotesi – con cadenza settimanale, ma più frequentemente quindicinale o mensile. In che modo, dunque, l’iniziato potrebbe ottemperare a un’obbligazione tanto stringente, se il suo lavoro si limitasse ad alcune ore al mese?
II.2 Il paradigma della preghiera incessante: un parallelo illuminante
La questione che abbiamo testé formulato trova un sorprendente parallelo in una problematica ben nota alla tradizione spirituale cristiana, quella della “preghiera incessante” o proseuchḗ adialéiptōs (προσευχή ἀδιαλείπτως). Nei Racconti di un pellegrino russo, opera anonima dell’Ottocento che ha conosciuto straordinaria fortuna nella spiritualità del cristianesimo orientale, il protagonista s’imbatte nell’ingiunzione paolina: «Pregate incessantemente» (1 Ts, 5, 17), «rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre nel nome del Signore nostro Gesù Cristo» (Ef, 5, 20); «pregate incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza e pregando per tutti i santi» (Ef, 6, 18). Cosicché il pellegrino s’interroga: «Come è possibile pregare incessantemente, se ciascuno deve per forza occuparsi anche di tante altre cose per il proprio sostentamento?».
La risposta che il pellegrino riceverà dai suoi maestri spirituali costituisce l’introduzione alla pratica della “preghiera del cuore” o “preghiera di Gesù” – «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore!» (Κύριε Ἰησοῦ Χριστέ, Υἱὲ Θεοῦ, ἐλέησόν με τὸν ἀμαρτωλόν) – tipica dell’esicasmo, (ἡσυχασμός), mediante la quale la preghiera viene coordinata con il respiro e il battito cardiaco, divenendo così effettivamente continua, indipendentemente dalle occupazioni esteriori. Il parallelo con la situazione massonica risulta illuminante: come la preghiera incessante richiede metodi specifici che la rendano compatibile con le necessità della vita ordinaria, allo stesso modo il percorrere “incessantemente” la via iniziatica tradizionale richiede pratiche che possano essere integrate nella quotidianità.
II.3 L’ermeneutica dei simboli: dal Tempio al mondo
Un’ulteriore conferma dell’esigenza di una pratica individuale può essere ricavata dall’esegesi di numerosi elementi simbolici presenti nel rituale. Si consideri, ad esempio, il significato profondo della formula di chiusura dei lavori, quando il Maestro Venerabile dichiara che i Fratelli, uscendo dal Tempio, dovranno comportarsi così in Loggia come nel mondo profano secondo i principi dell’Arte Reale. Tale formula non può venire intesa come una mera raccomandazione etica o comportamentale: essa indica piuttosto che il lavoro iniziato nel Tempio deve continuare al di fuori di esso; che non può esservi alcuna soluzione di continuità fra il lavoro rituale e la vita quotidiana.
Analogamente, la simbologia degli strumenti – squadra, compasso, livella, filo a piombo – che vengono consegnati all’iniziato nei diversi gradi, non potrebbe essere adeguatamente compresa se tali strumenti venissero considerati esclusivamente come oggetti da contemplare durante i lavori di Loggia. Essi costituiscono propriamente instrumenta artis, mezzi operativi che devono venire “utilizzati” – certamente in senso simbolico e spirituale, ma nondimeno effettivamente – nel lavoro quotidiano di rettificazione e perfezionamento interiore.
(Fine prima parte)






