HIRAM OSSIA AMON RA

Lug 8, 2023 | MASSONERIA

©Silvano Danesi

La leggenda hiramitica nella tradizione e nella sua ritualistica massonica è stata introdotta nel ‘600, tempo nel quale Elias Ashmole ha raccolto e armonizzato i rituali medievali precedenti.

Prima della sua introduzione, negli Old Charges i riferimenti leggendari fondatici erano relativi a Euclide, Pitagora e Ermete Trismegisto.

Nel Poema Regius, ad esempio, testo del 1390, si fa riferimento a Euclide, alla geometria e all’Egitto. Il riferimento a Euclide e all’Egitto è esplicito nel testo: “ […]Ebbe origine l’arte della massoneria. Il maestro Euclide in questo modo fondò/Quest’arte di geometria in terra d’Egitto./In Egitto egli ampiamente insegnò,/E in diverse terre da ogni parte,/[…]”.

Ovviamente viene da chiedersi per quale motivo si sia sentita la necessità di introdurre una figura leggendaria come quella di Hiram, definita architetto del Tempio di Salomone.

La risposta possibile è nella progressiva riscoperta dell’Egitto e dei suoi riti nel Rinascimento italiano e inglese e nelle successive opere di influenti autori come Athanasius Kircher, Giordano Bruno, Francesco Bacone.

Francesco Bacone, nella sua Nuova Atlantide, con un anagramma, introduce la figura di Solamone accanto a quella di Salomone. Sol-Amone ricorda Amon Ra. Francesco Bacone sembrerebbe donarci un indizio per comprendere come il tempio di Salomone (ebraico) sia in effetti il Tempio di Amon –Ra (egizio) e lo fa in un tempo nel quale un esplicito riferimento a riti egizi, ritenuti pagani, poteva essere pericoloso per la stessa vita.

Fu così per Giordano Bruno, definiti da Francis A. Yates un “mago egizio”, il quale, per le sue teorie e per il tentativo di riportare in vita la ritualità egizia, finì sul rogo.

Il gesuita Athanasius Kircher, professore al Collegio romano, tradusse nel ‘600 in latino un vocabolario copto-arabo ritrovato al Cairo. La traduzione è un approccio simbolico ed è sviluppata in tre parti: grammatica, vocabolario, elenco di parole in ordine alfabetico.

Per una traduzione vera e propria si dovrà aspettare il 1821, con Jean François Champollion.

L’Egitto, come è facile constatare, nel XVII secolo è al centro dell’attenzione. E’ in questo contesto che, con tutta probabilità, si sviluppa l’idea di una leggenda massonica che, sotto il velame ebraico, restituisca l’attenzione dovuta, a chi sia in grado di capire, alla ritualità dell’antico Egitto.

Il nome di Hirm si presta benissimo, in quanto è nella Bibbia come re di Tiro e, come ha scritto Augusto Vasselli, in ebraico Hi ha il significato essere vivente e Ram di essere elevato. A Hiram viene inoltre assegnato l’appellativo di Abif, ossia di padre.

I rituali massonici che contengono la leggenda hiramitica sono scritti in inglese, ossia nella lingua di Elias Ashmole (1617-1692), il quale era un umanista, membro della Royal Society, iniziato alla Massoneria il 16 ottobre 1646, autore del Theatrum chemicum britannicum, neodruida, rosacroce ed estimatore dei Templari.

“Elias Ashmole – scrive Michel Raoult – è considerato nella tradizione druidica del Druid Order come colui che ha trasmesso ai primi massoni speculativi l’iniziazione corrispondente alle tre funzioni tradizionali del druidismo, quella di ovate, di bardo e di druida, le quali sarebbero in seguito state raggruppate in un solo grado che non sarebbe altro che il Royal Arch della Massoneria, con, per occultare i fatti, sia chiaro, una leggenda biblica sovrapposta al grado, senza alcun rapporto con alcuna tradizione druidica che sia”. [1]

L’uso di nomi e di riferimenti biblici attiene alla necessità, in tempi difficili nei quali era in corso una guerra feroce tra la religione cattolica e quelle protestanti, di mascherare sotto il velo dell’Antico Testamento riferimenti a tradizioni antiche che erano pervenute sino al ‘600 in modo carsico e che, in buona parte, erano riemerse durante il Rinascimento italiano e quello inglese.

Inoltre, l’uso della lingua ebraica, l’unica lingua ritenuta al tempo sacra, aveva lo scopo di sottolineare la sacralità della ritualità massonica.

Già nel rituale del secondo grado, si recupera un tradizione presente negli Old Charges che riporta l’origine della Massoneria all’Egitto.

E di recupero dell’Egitto è significativa appunto la leggenda di Hiram che, scomponendo il nome nelle sue componenti di Hi e di Ram ci riporta ad Amon.

In inglese Hi, abbreviativo di High, significa alto, elevato e Ram è, sempre in inglese, ariete.

L’ariete è l’animale associato ad Amon, così che Hiram potrebbe significare: l’Elevato Amon.

Interpretazione che è compatibile con quella suggerita da Augusto Vasselli con l’utilizzo di parole ebraiche. La sovrapposizione dei significati, pertanto, risulta ottimale.

Amon era conosciuto, nel ‘600, in quanto ne hanno parlato alcuni autori, come Plutarco e Erodoto.

Plutarco, nel suo De Iside e Osiride scrive: “I più credono che il nome egiziano di Zeus sia Amun (quello che noi Greci alteriamo in Ammone); Manetone di Sebennito, invece, ritiene che sotto questo termine sia riposto il significato di «occultato» e «occultamento»; Ecateo di Abdera, poi, dice che gli Egiziani usano questa parola anche per chiamarsi l’un l’altro, e non si tratterebbe quindi che di un vocativo. Amun sarebbe perciò la forma di invocazione con cui essi si rivolgono al dio supremo, che si identifica con l’universo ed è invisibile e nascosto, per pregarlo di rendersi manifesto alla loro comprensione: a tal punto presso gli Egiziani la scienza del divino è pervasa di cauta riverenza”.

Erodoto, nelle Storie (secondo volume) narra dell’Egitto e scrive: “Quanti hanno eretto un tempio a Zeus Tebano, o sono del distretto di Tebe, sacrificano capre evitando di toccare le pecore. In effetti gli Egiziani non venerano tutti ugualmente gli stessi dei, tranne Iside e Osiride, che dicono corrispondere a Dioniso: queste due divinità le venerano proprio tutti. Quanti hanno un santuario di Mendes o fanno parte del distretto Mendesio si astengono dal sacrificare caprini e uccidono solo ovini. I Tebani e chi ha appreso da loro ad astenersi dalle pecore dicono che tale regola venne imposta loro per la seguente ragione. Eracle, raccontano, fu preso da un gran desiderio di vedere Zeus, ma Zeus non voleva essere visto da lui; poiché Eracle insisteva Zeus dovette ricorrere ad un artificio: scuoiò un montone e gli tagliò la testa; poi si mostrò a Eracle tenendo la testa del montone davanti alla propria e indossandone la pelle. Ecco perché gli Egiziani rappresentano Zeus nelle statue con la testa di montone; e come gli Egiziani fanno gli Ammoni, che sono coloni egiziani ed etiopici e la cui lingua è una via di mezzo tra l’egiziano e l’etiope. A mio parere gli Ammoni derivarono dal dio egizio anche il loro nome, dato che gli Egiziani chiamano Ammone Zeus. Dunque per questo motivo i Tebani non sacrificano i montoni, anzi li ritengono animali sacri. Però c’è un giorno, nell’anno, durante la festa di Zeus, in cui uccidono un montone, lo scuoiano e con la sua pelle rivestono nella stessa maniera la statua di Zeus; accanto ad essa trasportano una statua di Eracle; dopodiché tutti gli addetti al tempio si battono il petto in segno di lutto per il montone e lo seppelliscono in una fossa consacrata”.

Di Amon è noto il santuario a Siwa, divenuto famoso dopo che Alessandro Magno vi si recò per consultare il dio, del quale si riteneva figlio.

Gli Old Charges

 Traggo dal mio: “Le radici scozzesi della Massoneria” il capitolo sugli Old Charges.

René Guénon afferma che “nel mondo occidentale, in quanto a organizzazioni iniziatiche che possano rivendicare una filiazione tradizionale autentica […], non esistono più che il Compagnonaggio e la Massoneria, vale a dire due forme iniziatiche fondate essenzialmente sull’esercizio di un mestiere, per lo meno alla loro origine, e di conseguenza caratterizzate da metodi particolari, simbolici e rituali, in diretto rapporto con tale mestiere”.[2]

Le corporazioni muratorie scozzesi disponevano da secoli di una propria leggenda fondativa della quale la documentazione più antica (Old Charges) presenta riferimenti a Euclide, Pitagora e Ermete Trismegisto.

“Della Massoneria operativa, già segnalata nel 1212, – scrive in proposito Riffard – possediamo parte dei regolamenti detti «documenti di loggia» a partire dal 1275 (Costituzioni di Strasburgo) e delle costituzioni chiamate Antichi Doveri (Old Charges) a partire dal 1390 (Manocritto Regio). Per il compagnonnage, segnalato per la prima volta intorno al 1420, ma attestato a quanto sembra già dal 1360, non abbiamo quasi nulla. I seguaci del Dovere, infatti, bruciavano ogni anno i loro archivi. Si possono consultare i testi indiretti quali Le livre des Métiers (1268) di Étienne Boileau o la condanna da parte della Sorbona (1655)”. [3]

“La denominazione «Liberi Muratori» – scrive Philaletes – deriva dal diploma rilasciato loro da papa Nicolò III, nel 1277 e confermato nel 1344 da Benedetto XII. Questi Liberi Muratori si chiamavano prima Muratori di San Dionigi e di San Giovanni. Essi costruirono come prototipo del tempio la cattedrale dedicata a san Dionigi, quale modello simbolico di tutte le chiese che dovrebbero essere costruite secondo dettami del rito, perché siano come un libro nel quale ogni iniziato possa leggere tutti i misteri dell’Antico e del Nuovo Testamento”. [4]

La prima gilda costituita sul continente è quella di Strasburgo e l’esempio è seguito in numerose città tedesche, austriache, ungheresi. Già il 25 aprile 1459 i maestri architetti di tutte le logge si riunirono a Ratisbona, dove elaborarono uno statuto comune alla professione e alle logge. Formarono una confraternita con a capo l’architetto della cattedrale di Strasburgo e fissarono riunioni annuali di tutte le provincie e saltuarie riunioni plenarie che si tennero nel 1464 e nel 1469. La gilda ottenne il privilegio di Massimiliano I, che il 3 ottobre 1447 prese la confraternita sotto la sua protezione: d’altronde il suo interesse per l’occultismo e i suoi continuativi rapporti con l’abate Tritemio (1462-1516) benedettino, esoterista, astrologo, scrittore, lessicografo, crittografo, occultista sono ben noti. Tritemio fu in relazione con Cornelio Agrippa e con cabalisti e alchimisti.

“La gilda – scrive Arnold – continua a funzionare per tutta la prima metà del XVI secolo. Nel 1563 settantadue maestri di loggia si riuniscono a Basilea per dare alla confraternita un nuovo statuto e riformare le gerarchie: al vertice resta Strasburgo, seguito dalle tre grandi logge di Vienna, Zurigo e Colonia seguite da una moltitudine di logge secondarie. Viene confermata la gerarchia interna: maestri, compagni e artigiani che sarà, come è noto, la falsariga della Massoneria. Si istituiscono dei segni tra i gradi e all’interno dei gradi un simbolismo rituale”. [5]

Per quanto riguarda il mondo anglosassone, uno dei documenti più significativi è il Poema Regius (XIV-XV secolo), il quale inizia con un riferimento all’arte della geometria sacra secondo Euclide, maestro al quale “grandi signori e anche signore” mandarono i loro figli ad imparare a “bene operare”. I maestri, prosegue il Poema, tra i quali il più grande era Euclide, “alle preghiere di questi signori dimostrarono la geometria. E dettero il nome di massoneria all’Arte più onesta di tutte”.

“Il nome di questo grande saggio – si legge nel Poema – fu Euclide. Il suo nome spande piena e ampia meraviglia”. Egli dispose che gli allievi si chiamassero fratelli e che quelli più dotati insegnassero agli altri. “Il maestro Euclide in questo modo fondò quest’arte di geometria in terra d’Egitto. In Egitto egli ampiamente insegnò, e in diverse terre da ogni parte”. Il Poema afferma poi che l’arte giunse in Inghilterra al tempo del buon re Atelstano, al quale fa risalire il regolamento massonico in 15 punti.

Interessante il decimo articolo dove si legge: “Che non ci sia maestro che soppianti l’altro ma stiano insieme come fratello e sorella”. Successivamente in altre istruzioni si legge: “Amabilmente servirsi l’un l’altro come si pensa per fratello e sorella”. Il riferimento ai due sessi è significativo e fa pensare ad una presenza femminile.

Nel Poema si legge che molti anni dopo il diluvio universale “il grande Euclide insegnò l’arte della geometria, molto profondamente e chiaro. Fece altrettanto con altri nello stesso tempo di molte altre diverse arti. Per la suprema grazia di Cristo in cielo cominciò le sette arti”.

Il Manoscritto di Cooke (1430-1440 forse 1410) inizia citando l’Arte della Geometria, come misura della Terra, e le sette arti liberali. Vi sono inoltre riferimenti alla Bibbia, al Polycromicon e alle Storie di Beda. A un certo punto si legge: “Dissero che la Massoneria è la principale della Geometria, come penso si possa ben dire, perché fu la prima ad essere creata…”.   E poi: “Il Figlio diretto della stirpe di Adamo, discendente delle sette generazioni di Adamo, prima del Diluvio, fu un uomo di nome Lameth il quale ebbe due mogli, la prima Ada ebbe due figli: uno chiamato Jabal e l’altro Jubal. Il più grande, Jubal, fu il primo fondatore della Geometria e Muratoria”. Jubal costruì due colonne sulle quali furono incise tutte le scienze e le arti. Dopo il diluvio queste due colonne furono trovate da Pitagora il dotto e da Hermes il filosofo.

Pitagorismo ed ermetismo sono collegati alla Bibbia tramite Jubal e in questo modo legittimati in ambito cristiano.

Nel manoscritto è riportato “come Euclide pervenne alla conoscenza della Geometria”, come è “scritto nella Bibbia e in altre storie”. Abramo conosceva le sette scienze; andò in Egitto e insegnò agli Egiziani la Geometria. Euclide fu suo allievo. Poi il manoscritto afferma che Euclide fu uno dei fondatori della geometria. In seguito i Governanti e i Signori d’Egitto inviarono i loro figli ad istruirsi da Euclide (collegamento con il Poema Regius). Poi la Geometria fu portata in Francia e in altre regioni.

Vien detto che Carlo II, Carlus Secundus (Carlo II il Calvo, 823-877?), era massone prima di essere re e stabilì che i massoni dovessero riunirsi in assemblea una volta l’anno. E poco dopo S.Adhabell venne in Inghilterra e convertì S. Albano (305 d.C.). Infine, si arriva ad Atelstano (895-939).

Il riferimento, nei miti fondativi della Massoneria operativa a Euclide e Pitagora, va oltre la valenza dei due filosofi ed è indicativo della compresenza e della convivenza di due linee di pensiero: quella aristotelica ed euclidea, con le sue proiezioni nella Scolastica e in quella pitagorico platonica, con le sue proiezioni nell’Umanesimo.

Queste due linee di pensiero hanno rilevanza nella modalità con la quale viene esercitata l’Arte, nelle sue varie declinazioni (architettura, scultura, pittura, ecc. ) e nel concetto di mimesis, che nella linea aristotelica ha un significato positivo, in quanto l’operare dell’artista è simile all’operare della natura e un significato diminutivo nella linea platonica, in quanto imitare la natura, che è già imitazione delle idee, allontana dal vero.

Questi due diversi riferimenti hanno anche implicazioni importanti per la stessa concezione dell’attività artistica.

Da un lato (Euclide) abbiamo una concezione dello schema come “ciò che è contenuto da uno o più limiti”[6] e dall’altro lato, lo schema non è ciò che è contenuto entro limiti, ma il limite, il «fuori» che contiene e configura e non appartiene al «dentro» che è configurato. In altri termini potremmo dire di una forma che è confine della materia ed è ad essa consustanziale (forma immanente) e di una forma che plasma la materia dall’esterno (forma trascendente).

Queste due linee di pensiero e di definizione dello schema furono compresenti fino a Proclo (412-485 d.C.), quindi per più di sette secoli, e influenzarono il modo con il quale lo schema trasmetteva valori (ethe e pathe).

Gli schemi sono modalità fondamentali della mente. Abbiamo infatti schemi per visualizzare i numeri, schemi dedicati agli dèi, schemi come figure degli elementi . Lo “schema – precisa Maria Luisa Catoni – si configura anche rispetto agli usi più «astratti», come un termine immancabilmente e inappellabilmente concreto, che tende a visualizzare e a riportare sul versante concreto il limite o l’area visualizzata, la quantità delimitata o il profilo disegnato da un astro. Schema che è un tratto disegnativo che ritaglia uno spazio e ne rende così analizzabili le proprietà geometriche, è una perigrafè o un diagramma concreto. Può essere definito a volte come il risultato di una tale azione di ritaglio e dunque come spazio delimitato, a volte invece come limite. In altre parole, a volte «pieno», a volte «vuoto». [7]

“Il termine schema – scrive ancora Maria Luisa Catoni – ci si presenta, senza ambiguità, da un lato come uno dei due strumenti dell’imitazione artistica («disegno», spesso in coppia con «colore») e dall’altro come figura di contorno, forma generale, quando si tratti della descrizione di oggetti o persone…. Quello della mimesi è uno degli ambiti nei quali schema, in questo duplice significato, trova amplissimo uso nei testi antichi”. [8]

La compresenza delle due linee ha un impatto concreto sull’Arte. Natura e techne danno, entrambe, forma e configurano (schematizein) la materia, ma la techne, che implica l’azione dell’uomo, assume valenze diverse in ragione della linea di pensiero di riferimento.

Il rapporto tra vuoto e pieno nelle costruzioni è solo un esempio del rapporto tra peras (limite) e apeiron (illimitato); tra caos, inteso come «essere spalancato», abisso, ossia ciò che è nel principio e cosmo, inteso come insieme ordinato di enti. Non dunque confusione opposta a ordine, ma vuoto informe in relazione a forme ordinate.

Il caos, in quanto abisso, è tenebra, notte e silenzio. Il cosmo è luce e vibrazione.

Le cattedrali gotiche sono un preclaro esempio di questo confronto tra vuoto e pieno, tra luce e tenebra, tra vacua immobilità e vibrante tensione.

I riferimenti a Euclide e a Pitagora, ben oltre la cornice giudaico cristiana, riconducono alla matrice indoeuropea, così come il riferimento a Ermete Trsmegisto conduce a quella egizio-ellenistica.

In ambedue i casi siamo in presenza di concetti filosofici e teologici pagani.

La conoscenza di Ermete Trismegisto da parte dei Liberi Muratori non è solo un debito della cultura Umanistica. L’Asclepius, traduzione latina del Logos teleios, era infatti sicuramente nota ad Agostino tra il IV e il V sec. d.C., mentre Lattanzio, tra il III e il IV secolo sembra averne conosciuto l’originale. Brani del Corspus Hermeticum sono riportati da Stobeo tra il IV e il V secolo.

I diciassette trattati del Corpus Hermeticum, raccolta realizzata in epoca bizantina, erano già noti in questa forma a Michele Pasello (1018-1096 Costantinopoli).

In particolare l’Asclepius era diffusamente conosciuto nel XII secolo presso pensatori come Abelardo, Giovanni di Salisbury, Teodorico di Chartres, Ermanno di Carinzia, Bernardo Silvestre, Alano di Lilla e, ancora, Alberto Magno, Ruggero Bacone, Meister Eckhart, Thomas Bradwardine.

Parti del Corpus Hermeticum sono presenti nella Hermetica Oxoniensa, manoscritto di Oxford, conservato nella Bodleian Library, conosciuto come Clarke e datato XII-XIV secolo.

Come afferma il curatore dell’edizione italiana dell’intero Corpus, Paolo Scarpi, i testi potrebbero essere stati composti in epoca tolemaica, al tempo di Tolomeo I Soter, il quale avrebbe dato mandato perché fosse redatta in forma comprensibile ai Greci, una sintesi dell’antica teologia egizia. [9]

Tolomeo Filopatore (244-205 a.C.) aveva promulgato un editto perché copia di tutti i theoi logoi delle associazioni religiose fossero depositati ad Alessandria.

Giamblico nel suo De Misteris Aegyptiorum, sostiene che Ermete è colui alle cui antiche stele (palaiai stelai) attinsero Platone e Pitagora.

“Si può credere, quindi – scrive Scarpi – che nel I secolo d.C. l’ermetismo fosse alquanto diffuso, e che proprio tra la fine del I secolo e l’inizio del IV sia da collocare la redazione dei testi ermetici”. [10]

“Ermete Trsmegisto – aggiunge Scarpi – è senza dubbio il frutto dell’interpretatio greca del dio Thoth, divinità che si presenta come «signore della conoscenza» nel mito dell’Occhio del Sole; questo racconto, scritto in demotico, era diffuso in età ellenistica e conobbe una traduzione greca”. [11]

Platone, nel Fedro, conosce la tradizione egizia che fa di Thoth l’inventore dei numeri, del calcolo, della geometria, dell’astronomia, delle lettere dell’alfabeto, dello stesso gioco dei dadi, ma non lo identifica con Ermete, mentre Thoth è sicuramente identificato con Ermete da Erodoto (II 138,4).

“Nel I secolo avanti Cristo – scrive Scarpi – l’identificazione e la sovrapposizione tra le due divinità fanno parte ormai di una tradizione consolidata, come lascia intravedere Cicerone”. [12]

Il neoplatonico Giamblico, più tardi, farà di Ermete Trismegisto il signore incontrastato della parola che il lessicologo Esichio sintetizzerà affermando: Ermete è il Logos.

“Nel Poimandres – scrive ancora Scarpi – Ermete è la voce che annuncia la vita immortale agli uomini disposti a convertirsi, colui che ha il compito di diffondere tra gli uomini la dottrina rivelatagli dal Nous, l’intelletto supremo, e cioè Dio, sino ad essere egli stesso il Nous nel De Ogdoade ed Enneade”. [13] “Il Nous – sottolinea Scarpi – con il suo logos, la sua parola, vivifica l’essere, una parola che ha nello stesso tempo una funzione ordinatrice. E’ un dio che può configurarsi come demiurgo o come un artigiano”. [14]

Il Nous è quasi un alchimista, dal quale Iside apprende la dottrina segreta del «Nero Perfetto» (estratto XXIII 32), che è il racconto di fondazione del mondo.

Interessante, per quanto riguarda i testi ermetici, quanto afferma Tobias Churton nel suo “Le origini esoteriche della Massoneria” (Fabbri). “Nell’898 – scrive Churton – uno scrittore arabo descriveva la dottrina dei Sabei (ossia dei pagani di Harran) come una filosofia insegnata da Hermes e da Agatodémone (la divinità protettrice dell’antica Alessandria e, secondo gli Hermetica, l’isegnante di Hermes)”. I Sabei di Harran, conquistati dai Musulmani, elessero Ermes come loro Profeta e Agatodémone fu identificato con Seth, il figlio di Adamo, per eludere le norme coraniche in base alle quali l’Islam tollerava cristiani ed ebrei, in quanto avevano religioni alla cui origine c’erano profeti, ma non i pagani.

Sempre nell’800, Thabit ibn Qurra (835-901), fondatore di una scuola di neoplatonismo pagano a Bagdad e autore di numerosi testi, scrive. “Noi siamo gli eredi e i propugnatori del paganesimo. Felice è chi, per amore del paganesimo, porta il fardello con incrollabile speranza. Chi altro ha civilizzato il mondo e costruito le città se non i nobili e i re del paganesimo? Chi altro ha regolato i porti e i fiumi? E chi altro ha insegnato la saggezza nascosta? A chi altro la divinità si è rivelata, ha dato oracoli e parlato del futuro, se non a uomini famosi tra i pagani? I pagani hanno reso noto tutto ciò. Essi hanno scoperto l’arte di risanare l’anima; hanno anche diffuso l’arte di risanare il corpo. Hanno popolato la terra con la saggezza, che è il bene più alto e con forme di governo sicure. Senza il paganesimo il mondo sarebbe vuoto e misero”. [15]

Le opere di Thabit includono commentari di Platone, Pitagora, Proclo e Aristotele. Thabit migliorò la traduzione di Euclide (Almagesto ed Elementi) e, come ricorda Churton, fu il lavoro di Thabit su Euclide a portare a Toledo, più di duecento anni dopo, Gherardo da Cremona (114-1187) in cerca dell’Almagesto.

Le opere tradotte da Thabit si sono rivelate “fondamentali per la comprensione delle forze e delle forme che resero possibile l’esplosione del gotico”.

Non va sottovalutato il contributo arabo conseguente alla conquista della Spagna. Il Califfato di Cordova governò sulla penisola iberica islamica (Al Andalus) e su alcune parti del Maghreb dalla città di Cordova, dal 929 al 1031.

ScriveTobias Churton: “Secondo il rinomato medievalista Jean Gimpel: «Spesso si sottovaluta il notevole contributo arabo alla nostra cultura, eppure ha reso possibile la completa fioritura del Medioevo….». Al centro del contributo arabo si trovano i Sabei di Baghdad. E’, inoltre, difficile non concludere che l’influenza sabea aiutò a plasmare la mitologia degli scalpellini addetti al taglio della pietra durante il Medioevo. Furono gli iniziatori di quella che oggi chiamiamo massoneria”. [16]

E’ a questa Massoneria operativa, alla sua storia e ai suoi miti fondativi che dobbiamo guardare e non ai vari cuculi che nel XVIII secolo hanno fatto il nido nei Templi massonici dichiarandosi, dopo l’usurpazione, vera Massoneria o Massoneria di più alti gradi o, peggio, speculativa.

Le linee di pensiero di Pitagora, di Ermete Trismegisto e di Euclide erano conosciute nel Medioevo, che nello studio del Timeo di Platone esprime il desiderio di conoscere il creato. In particolare l’Asclepius (il Logos teleios) nella versione latina era conosciuto, come s’è visto, da Lattanzio, tra il III e il IV secolo, da Agostino e nel XII secolo da pensatori come Abelardo, Giovanni di Salisbury, Teodorico di Chartres, Ermanno di Carinzia, Bernardo Silvestre, Alano di Lille e, ancora, Alberto Magno, Ruggero Bacone, Meister Eckhart e Thomas Bradwardine. Alcuni di questi autori gravitano attorno alla cattedrale di Chartres, mirabile opera libero muratoria, e alla sua schola, a dimostrazione dell’intimo rapporto tra il fare e il sapere.

A proposito di Euclide va fatta una precisazione. I documenti massonici non specificano di quale Euclide si tratti, ossia se l’Euclide matematico di Alessandria o l’Euclide di Megara, che ebbe grande influenza sulle conoscenze scientifiche medievali e che fu anche oggetto di una serie di lezioni commentate del bresciano Nicolò Tartaglia (1568).

Il primo Euclide (365-300 a.C.) insegnava geometria ad Alessandria d’Egitto. Le sue opere furono raccolte dall’ultimo conservatore della biblioteca di Alessandria, Theon, padre della scienziata Ipazia, assassinata da monaci cristiani e divenuta simbolo pagano del libero pensiero.

Riguardo ai suoi principi, scrive Charles W. Leadbeater: “Quando Platone afferma che «Dio geometrizza» ha formulato una profonda verità che getta luce sui metodi e sui misteri dell’evoluzione. Quelle forme non sono concezioni del cervello umano, ma sono verità dei piani superiori. Ci siamo formati una certa abitudine a studiare i libri di Euclide per cui oggi li studiamo in se stessi e non come una guida per qualcosa di superiore. Gli antichi filosofi riflettevano su di essi perché conducono alla comprensione della vera scienza della vita”. [17]

“Euclide – scrive John D. Barrow – aveva creato una meravigliosa struttura di assiomi e di deduzioni che portavano ad asserti veri chiamati teoremi …. La geometria non era considerata come una semplice approssimazione alla vera natura delle cose; era una parte della verità assoluta circa l’universo. Quasi fossero frammenti di una qualche sacra scrittura, i grandi teoremi di Euclide furono studiati per millenni nella loro lingua originale: erano veri, né più e né meno, e consentivano agli esseri umani di dare uno sguardo alle verità assolute. Dio era molte cose, ma indubbiamente era anche geometra”.[18]

“La geometria euclidea – aggiunge Barrow – non era soltanto un gioco di matematici, né una grossolana approssimazione alle cose e neppure un capitolo di matematica pure privo di contatto con la realtà. Era il modo in cui era fatto il mondo”. [19]

“Il grande successo della geometria euclidea – asserisce ancora Barrow – aveva avuto conseguenze che andavano al di là dell’aiuto fornito ad architetti e astronomi: aveva instaurato uno stile di ragionamento nel quale le verità venivano dedotte mediante l’applicazione di regole logiche definite, a partire da un insieme di principi o assiomi autoevidenti. La teologia e la filosofia si erano servite del «metodo assiomatico» e la maggior parte delle forme di argomentazione filosofica ne seguivano lo schema generale”. [20]

Gli echi di questa impostazione li troveremo nelle leggi universali di Newton, di Boyle, di Cartesio e nel concetto di Grande Architetto dell’Universo. “Durante il XVIII e XIX secolo i teologi – scrive Barrow – attribuivano la massima importanza agli argomenti in favore dell’esistenza di Dio che gli assegnavano il ruolo di Architetto cosmico”. [21]

Euclide di Megara (435-365 a.C., noto anche come Euclide il Socratico, prima di frequentare ad Atene il suo maestro Socrate, alla cui morte aveva assistito, aveva studiato la filosofia di Parmenide e alla sua scuola aveva ospitato Platone, costretto a fuggire da Atene per motivi politici. Gli editori e traduttori medievali degli Elementi lo confusero sovente con l’omonimo Euclide (323-286 a.C). Euclide megarense fondò certamente una scuola filosofica d’impostazione socratica a Megara.

A conclusione di questa riflessione sulla leggenda hiramitica, si può affermare che nel ‘600, con l’introduzione della figura di Hiram nella ritualistica massonica, si è attualizzata, in modo criptato, la narrazione leggendaria massonica delle radici egizie del “Figli della Vedova”, ossia di Iside.

Figli di Iside, i Massoni, sono eredi di un’antica Tradizione, che la leggenda hiramitica ha voluto riaffermare.

Nelle Metamorfosi di Apuleio così Iside parla di se stessa: “Eccomi o Lucio, mossa alle tue preghiere, io la madre della natura, la signora di tutti gli elementi, l’origine e il principio di tutte le età, la più grande di tutte le divinità, la regina dei morti, la prima dei celesti, colei che in sé riassume l’immagine di tutti gli dei e di tutte le dee, che col suo cenno governa le altezze luminose del cielo, i salubri venti del mare, i desolati silenzi dell’oltretomba, la cui potenza, unica, tutto il mondo onora sotto varie forme, con diversi riti e differenti nomi. Per questo i Frigi, i primi abitatori della terra, mi chiamano Pessinunzia, Madre degli dei, gli Autoctoni Attici Minerva Cecropia, i Ciprioti circondati dal mare Venere Pafia, i Cretesi arcieri famosi Diana Dittinna, i Siculi trilingui Proserpina Stigia, gli antichi abitatori di Eleusi Gerere Attica, altri Giunone, altri Bellona, altri Ecate, altri ancora Ramnusia, ma i due popoli degli Etiopi, che il dio sole illumina coi suoi raggi quando sorge e quando tramonta e gli Egizi, così grandi per la loro antica sapienza, venerandomi con quelle cerimonie che a me si addicono, mi chiamano con il mio vero nome, Iside regina”.

 

[1] Michel Raoult, Les Druides – Les sociétés initiatiques celtiques contemporaines – Ed. du Rocher

[2] René Guénon, Il Re del Mondo, Adelphi

[3] Pierra A Riffard, L’esoterismo, Bur

[4] AE Phlilaletes, Lesoterimo dei Rosacroce nella Divina Commedia, Bastogi

[5] Paul Arnold, Storia dei Rosa-Croce, Bompiani

[6] Maria Luisa Catoni, La comunicazione non verbale nella Grecia antica, Boringhieri

[7] Maria Luisa Catoni, La comunicazione non verbale nella Grecia antica, Boringhieri

[8] Maria Luisa Catoni, La comunicazione non verbale nella Grecia antica, Boringhieri

[9] La rivelazione segreta di Ermete Trismegisto a cura di Paolo Scarpi, Mondadori

[10] La rivelazione segreta di Ermete Trismegisto a cura di Paolo Scarpi, Mondadori

[11] La rivelazione segreta di Ermete Trismegisto a cura di Paolo Scarpi, Mondadori

[12] La rivelazione segreta di Ermete Trismegisto a cura di Paolo Scarpi, Mondadori

[13] La rivelazione segreta di Ermete Trismegisto a cura di Paolo Scarpi, Mondadori

[14] La rivelazione segreta di Ermete Trismegisto a cura di Paolo Scarpi, Mondadori

[15]Tobias Churton, Le origini esoteriche della Massoneria, Fabbri

[16] Tobias Churton, Le origini esoteriche della Massoneria, Fabbri

[17] Charle W Leadbeater, La Massoneria e gli antichi misteri, Atanor

[18] John Barrow, Da zero a infinito, Mondadori

[19] John Barrow, Da zero a infinito, Mondadori

[20] John Barrow, Da zero a infinito, Mondadori

[21] John Barrow, Da zero a infinito, Mondadori

Silvano Danesi

Silvano Danesi

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