IL 18° GRADO DEL RITO SCOZZESE 1 : FUOCO SEMPREVIVENTE

Mag 11, 2024 | MASSONERIA, RITO

di Silvano Danesi

La ritualistica massonica, dopo aver posto al centro della riflessione e della ricerca, sin dal 1° grado, il Lógos e il suo essere Dynamis nell’Arché e Energia nella Physis, che dell’Arché è l’aspetto manifestativo, con il 18° grado, in stretta relazione con il 17°, lo recupera come fuoco sempre vivente, eros primordiale, evidenziandone il culto vedico.

Nel grado che conclude il ciclo della Massoneria rossa, si focalizza il punto centrale della riflessione massonica: il fuoco.

Eraclito annuncia che “questo cosmo non lo fece nessuno degli dèi né degli uomini, ma sempre era, ed è, e sarà, Fuoco sempre vivente, che con misura divampa e con misura si spegne. (Fr.22B30).

Il cosmo è dispiegamento del Principio-Fuoco immortale perché “tutte le cose contraccambio del Fuoco, è il Fuoco contraccambio di tutte le cose, come le ricchezze dell’oro e l’oro delle ricchezze”. (Eraclito Fr. 22B90).

“Il Fuoco-Principio – commenta Angelo Tonelli – si trasmuta in «tutte le cose», cioè nel molteplice mondo, e il molteplice mondo si trasmuta nel Fuoco-Principio. Nascosto e Manifesto, Uno e Molteplice, Immanente e Trascendente coincidono, in uno scambio continuo, che non ammette prima e dopo, qui e altrove”. [i]

“Sapiente è il fuoco” (Eraclito Fr. 22B64).

Nel 18° grado la simbologia massonica ha la sua apoteosi solenne e mistica, e la parola perduta, dopo tanto travaglio e dopo faticoso cammino, viene ritrovata. Ora l’Aquila (il pensiero pensante che si eleva verso il Tutto) si avvicina sempre più alla Verità, esalta il lavoro e la fratellanza; il Pellicano (simbolo dell’amore) approfondisce lo studio e l’analisi del concetto di filantropia e di beneficenza, di come sollevare l’umanità sofferente. Con questo titolo, Cavaliere dell’Aquila e del Pellica­no, al Principe Rosa Croce è indicato il lavoro da svolgere nel grado.

L’aquila bicipite rappresenta simbolicamente l’emisfero destro e quello sinistro del cervello umano, ossia le sedi del pensiero razionale e di quello intuitivo, mentre il pellicano quello dell’intelligenza suprema che si determina nel cuore dell’essere umano (la Sia egizia).

Nel cuore c’è il Sé. Nella testa la razionalità e l’intuizione.

Per comprendere lo sviluppo rituale del 18° grado è necessario approfon­dire il significato della parola ritrovata, nonché dove è stata rinvenuta e qua­le significato può avere per i Liberi Muratori.

Il 18° grado è strettamente connesso con il 17°, in ragione del fatto che i due gradi pongono l’attenzione sul confronto con alcuni dei percorsi carsici che la Tradizione ha compiuto nei secoli, per riemergere successivamente dal Rinascimento in poi e proporsi ad una riunificazione.

La leggenda del 17° grado riguarda la conquista di Gerusalemme da parte dei Romani. Gli israeliti lasciarono la Giudea e si rifugiarono nel deserto mettendosi alla ricerca di una terra ove il rispetto dei diritti dell’uomo fosse una realtà.

Non trovandola fondarono le società dei Terapeuti e dei Joaniti (Giovanniti).

Siamo dunque in presenza di due importanti filoni esoterici da riscoprire, ai quali si aggiunge quello dello gnosticismo.

Il 18° grado, per la sua complessità rituale, offre la possibilità di apprezzare in uno degli aspetti più significativi, della ritualità iniziatica: la drammatizzazione del rito.

La ritualità e la liturgia

Prima di entrare nel vivo dell’argomento, è necessaria una precisazione.

Rito, dal latino ritus, è vocabolo che deriva da una radice indoeuropea *are-, la stessa della voce greca arithmós (numero), in sanscrito ritis e *ri- scorrere. Il rito si collega semanticamente al ritmo, rhyitmós e introduce una ripetizione che induce alla non linearità e, conseguentemente, alla circolarità, al cerchio, allo zero, l’eternamente immobile che è perennemente in movimento. Il rito, se così inteso, attiva, pertanto, la circolarità in uno spazio, connotato da un orientamento e da una scansione temporale che non è la scansione temporale lineare.

Da qui la necessaria distinzione del rito dalla liturgia (greco leiturgía = servizio pubblico da léiton = popolare e érgon = lavoro), che si occupa di allestimenti e aspetti cerimoniali.

Il teatro dell’antichità è il luogo del mito.

“I riti di una civiltà – scrive Campbell – riproducono i miti a essa sottostanti. Si potrebbe definire, come ho fatto, il rituale come la possibilità di partecipare direttamente al mito. Il rito mette in atto una situazione mitica; partecipando al rito, si partecipa direttamente al mito”. [ii] E aggiunge: “Ciò che il mito fa per noi è mostrare il trascendente oltre il campo fenomenico”. [iii]

Ognuno di noi, secondo Campbell, ha “un proprio mito individuale, che lo sappia oppure no”[iv] e in effetti “l’individuo deve imparare a vivere secondo il proprio mito”. [v]

“L’intera concezione degli archetipi della psiche umana – sostiene il grande antropologo – si basa sulla nozione che nel cervello umano, nel sistema nervoso simpatico, ci siano strutture che creano la predisposizione a rispondere a certi segnali. Sono strutture condivise da tutta l’umanità, con variazioni individuali, ma essenzialmente allineate”.[vi] Tuttavia, ognuno di noi ha “i propri favoriti; ognuno è pronto a un’esperienza diversa rispetto a chiunque altro. I simboli, per cui siamo già pronti, evocano in noi la risposta”.[vii]

“Un rituale – afferma Campbell – non è altro che la manifestazione o la rappresentazione drammatica, visiva e attiva di un mito. Partecipando a un rito, ci impegniamo in un mito e il mito opera su di noi, posto naturalmente che siamo catturati dall’immagine”.[viii]

Quattro, secondo Campbell, le funzioni del mito:

  • La prima riguarda la ricerca di un ordine e di un senso, che renda cosciente un certo significato dell’esistenza. La mente va sempre in cerca di un ordine e di un significato.
  • La seconda (funzione cosmologica) riguarda la presentazione di un’immagine del cosmo e dell’universo circostante.
  • La terza riguarda la convalida e il sostegno ad un sistema sociale.
  • La quarta è psicologica.

La prima funzione, teleologica, appartiene più propriamente all’ordine di indagine filosofica e religiosa. La seconda trova risposta in un orizzonte scientifico che ormai si discosta necessariamente dal positivismo e che lambisce tangenzialmente l’orizzonte metafisico. La quarta, quella psicologica ci induce a sperimentare ciò che attiene alla psiche.

L’itinerario iniziatico massonico, che è anzitutto conoscenza di sé, conoscenza del Tempio dell’Uomo, sembrerebbe comprendere la prima, la seconda e la quarta funzione del mito.

Mito e rito, pertanto, sono gli strumenti, con il corredo archetipico e simbolico, per una conoscenza di sé che è, conseguentemente, conoscenza del divino e del mondo.

La cornice biblica è un velame storico contingente

Gran parte della ritualità massonica ha come riferimenti schemi narrativi e mitologici medio orientali e in particolare biblici, che nascondono, sotto un velame giudaico cristiano, radici molto più profonde e antiche.

Le radici libero muratorie, infatti, sono antiche e i «Muratori» non furono soltanto degli «esecutori» della volontà altrui (Bonvicini)[ix] “Essi – scrive Bonvicini – furono partecipi di una ricerca allegorico-simbolica di contenuto teologico che valicava gli angusti confini exoterici e che si richiamava a Tradizioni extra-cristiane che nell’età Umanistica erano intese come «anticipatrici» di un Cristianesimo interiorizzato che era in auge in quel tempo fra le persone di maggiore cultura”. [x]

“Riteniamo – scrive ancora Bonvicini – che quei lontani maestri siano stati, da uomini eclettici, dotati di una vasta cultura in quelle che erano le Arti liberali del tempo, degli uomini aperti alla «riscoperta» e alla «rivisitazione» dei tesori culturali del passato, non soltanto nelle «tecniche» dell’«Arte classica»”. [xi]

La cornice biblica e il riferimento costante alla lingua ebraica è, infatti, un dato storico, un modo di espressione dettato dalla contingenza.

Qui ci aiutano Arturo Righini e Umberto Gabriel Porciatti.

“Come è noto – scrive Righini – l’iniziazione Massonica conserva le caratteristiche della cerimonia sacrale propria delle antiche iniziazioni, e con essa si conferisce, nel nome del G.A.D.U., la facoltà di pervenire alla Conoscenza. Trattandosi di cerimonia sacra è naturale che le parole Sacre e di Passo, e non soltanto esse, ma anche gli elementi costituenti la liturgia del Rito, siano state tolte dall’ebraico poiché nell’epoca in cui la Massoneria prese l’attuale forma «l’ebraico era considerato una scrittura sacra in cui Iddio aveva parlato all’uomo nel Paradiso terrestre»”. [xii] “I dotti, a cominciare dai Padri della Chiesa – scrive Porciatti – hanno sempre ritenuto che la lingua ebraica fosse la prima lingua umana, quella parlata da Abramo. Questa più che una convinzione è stata una certezza sino alla seconda metà del secolo scorso [l’Ottocento, ndr], quando la scoperta del sanscrito e lo studio delle affinità grammaticali e lessicali delle varie lingue, portò un serio colpo alla teoria della monogenesi del linguaggio. Ma la Massoneria è sorta assai prima che la scienza avesse detto queste cose, che forse non saranno le ultime, e perciò il cerimoniale massonico si è inquadrato nella lingua sacra che nel contempo era ritenuta la più antica: l’ebraico”. [xiii]

La scelta dell’ebraico è, dunque, un fatto contingente.

I quattro piani di lettura e la libertà interpretativa

La ritualità massonica, per la sua natura simbolica, consente più piani di lettura, i quali conducono il libero pensatore, lungo i sentieri della Tradizione, a superare ogni assolutizzazione interpretativa.

Nel Convito Dante, che Réné Guénon (L’esoterismo di Dante, Atanor) considera affiliato all’Associazione della Fede santa, Terzo ordine di filiazione templare, avverte che tutte le scritture “si possono intendere e debbonsi sponere massimamente per quattro sensi”: letterale, filosofico-teologico, politico-sociale e iniziatico.

L’esercizio costante dell’ermeneutica è necessario per evitare l’illusione di essere giunti alla verità e, al contempo, per evitare che le interpretazioni di chi ci ha preceduto assurgano allo status di verità.

Il grado di comprensione di una realtà la determina, cosicché è l’osservatore, con la sua capacità cognitiva, a creare attorno a sé la sua realtà.

Conoscere se stessi e cambiare se stessi, in un processo evolutivo delle proprie capacità cognitive, è pertanto il punto essenziale di inizio di ogni mutamento della realtà.

L’esperienza lo insegna.

La Tradizione massonica necessita, pertanto, del costante lavoro di estrazione delle antiche radici, attraverso un percorso archetipico, simbolico e mitologico.

segue

[i] Angelo Tonelli, Eraclito, Dell’Origine, Feltrinelli

[ii] Joseph Campbell, Percorsi di felicità, Cortina

[iii] Joseph Campbell, Percorsi di felicità, Cortina

[iv] Joseph Campbell, Percorsi di felicità, Cortina

[v] Joseph Campbell, Percorsi di felicità, Cortina

[vi] Joseph Campbell, Percorsi di felicità, Cortina

[vii] Joseph Campbell, Percorsi di felicità, Cortina

[viii] Joseph Campbell, Percorsi di felicità, Cortina

[ix] Eugenio Bonvicini, Esoterismo nella Massoneria antica, Atanor

[x] Eugenio Bonvicini, Esoterismo nella Massoneria antica, Atanor

[xi] Eugenio Bonvicini, Esoterismo nella Massoneria antica, Atanor

[xii] Arturo Righini, I numeri sacri della tradizione pitagorica massonica, Atanor

[xiii] Porciatti, Simbologia massonica, Gradi Scossesi, Atanor

Silvano Danesi

Silvano Danesi

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