di Silvano Danesi
Il 30° grado del Rito Scozzese costituisce la sintesi dell’intero percorso massonico e conduce l’iniziato alla soglia dell’Assoluto, simbolizzato da quel fuoco misterioso che è il Lógos e che nel linguaggio moderno è chiamato energia.
Dopo aver conosciuto scienze e virtù, l’iniziato si rende conto che è sulla soglia dell’Assoluto e che è “un Oceano per il quale non abbiamo né barca, né vela, ma del quale la chiara visione è altrettanto salutare che formidabile”.
La chiara visione è l’epopteia degli antichi riti eleusini, della quale nulla si può dire, perché è indicibile e ognuno ne deve fare esperienza in proprio.
L’iniziato è di fronte ad un “focolare misterioso che non si rivela se non per i suoi raggi. Tale è probabilmente il miglior simbolo della realtà assoluta della quale la logica proclama l’esistenza, quando a mezzo del pensiero si sopprimono tutti i limiti di durata e di spazio”.
Nel Rituale, di questo focolare, è scritto: “E’ ciò che noi chiamiamo Lógos; è ciò che nel linguaggio simbolico della filosofia contemporanea viene chiamato energia. Anche qui noi siamo impotenti a scoprire la natura intima di questo primo fattore; tuttavia, ciò che è più importante, noi possiamo stabilire che l’Energia opera secondo leggi fisse accessibili al nostro intelletto. Noi la simboleggiamo a mezzo di una corona luminosa, come quella che rivela agli astronomi, nelle eclissi di sole, la gloria dell’astro invisibile”.
Ancora una volta siamo di fronte al rapporto Archè- Lógos che si è incontrato sin dai primi passi all’apertura dei lavori al primo grado di Apprendista, nel Prologo del Vangelo di Giovanni aperto sull’Ara, dove arde il fuoco centrale del Tempio.
Se porgiamo attenzione alle varie culture presenti nella storia dell’umanità ritroviamo questo rapporto tra ciò che è nascosto e nascosto rimane e ciò che del nascosto si evidenzia nel rapporto Amon (nascosto) Ra (la sua manifestazione luminosa).
L’oceano primordiale, dal quale sorge Tum Atum, è il Nun egizio.
Nell’indoeuropeo le acque primordiali Na hanno in sé Ka, la luce interiore, il fuoco o l’ardore, che si evidenzia in Eka.
Troviamo in Egitto il rapporto tra Sia (intelligenza) e Hu (il verbo, l’azione) che abbiamo in Arché- Lógos.
Nel mito greco Latona (la notte) è madre di Apollo (la luce) e di Artemide (la natura).
Dalla notte il corpo di luce e il corpo materiale, che coesistono.
Siamo di fronte al più grande dei misteri: l’Assoluto che diviene.
Qui ci soccorre Eraclito.
“Questo cosmo non lo fece nessuno degli dèi né degli uomini, ma sempre era, ed è, e sarà, Fuoco semprevivente, che con misura divampa e con misura si spegne”. (Fr.DK 22B30).
“Tutte le cose contraccambio del Fuoco, e il Fuoco contraccambio di tutte le cose, come le ricchezze dell’oro, e l’oro delle ricchezze”. (Fr. DK22B90).
“Sapiente è il Fuoco” (Fr. DK 22B64).
“Ma tutto governa la folgore”. (Fr. DK22B64).
Anche lo stoico Zenone, per fare un altro esempio di come la filosofia greca si sia accostata al mistero, concepiva l’universo come dotato di un principio attivo, igneo, intelligente.
“Il fuoco interno al mondo, affermava Zenone, è del tutto diverso dal fuoco elemento comune: un calore vivificante e costruttivo; una mente intelligente e provvidenziale”. [i]
L’epopteia, l’apertura al rapporto con l’Assoluto (Atman-Brahman) introduce uno degli approdi più significativi del percorso massonico: il dovere per il dovere, il quale è correlato al libero arbitrio.
Nel rituale di iniziazione a Cavaliere Kadosch (30° grado del Riro Scozzese) si legge: “Voi dovete fare il vostro dovere perché è il vostro dovere: questa è l’ultima parola della Libera Muratoria”.
L’unica certezza che ci consegna questa affermazione ultimativa è che essa è l’ultima parola della Libera Muratoria ma, come ben si addice ad ogni parola ultimativa, essa, mentre chiude una fase della conoscenza, ne apre un’altra, riconducendo chi abbia intelletto per intendere, al dubbio, alla domanda, al punto interrogativo, lieviti di ogni divenire cosciente.
Cosa significa, dunque, dovere?
Il dovere, dal latino de habére, è possedere qualcosa avendolo ricevuto da altri e introduce il concetto di restituzione e la conseguente domanda: ricevuto da chi?
Ricevuto dal proprio Sé, dal proprio daimon, da quel dio personale che i Sumeri indicavano come il creatore della propria personalità umana.
Nel mazdeismo potremmo riferirci alla Fravashi “il più alto ed eterno principio inerente un essere umano”.
La risposta è: ricevuto da se stessi, in quanto aperti all’Assoluto.
Non a caso l’affermazione segue la citazione dell’imperativo categorico, il quale è “assoluto o non lo è”.
Assoluto, in quanto libero, indipendente, prosciolto da vincoli e da limitazioni. Caratteristiche, queste, proprie del Libero Pensiero e del Puro Pensiero, ossia dell’Arché.
Non a caso l’affermazione è seguita anche da quella che il bene più grande è il libero arbitrio, ossia l’operare in proprio secondo proprio giudizio.
Si aprono interrogativi fondamentali.
Kant, a proposito dell’imperativo categorico scrive: “Agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere nello stesso tempo come principio di legislazione universale”.
Principio di legislazione universale è la Regola che, racchiusa nell’Arché, si esplicita per l’azione del Lógos nella legislazione universale, ossia nelle regole che presiedono al determinarsi del Logos come zoé: vita naturale universale.
Siamo tornati all’apprendistato, al primo riferimento sapienziale, non riferibile ad una singola religione, che ci è offerto dal rituale sin dal primo grado con la squadra e il compasso sovrapposti al Prologo di Giovanni.
Siamo chiamati, con quel gesto e quel testo, ad essere co-artefici di una manifestazione dell’Arché che avviene e diviene per opera del Lógos, il quale materializza (gravitazione, cristallizzazione, vita) il Puro Pensiero, essendo Arché Tek-ton, artefice o, meglio: Grande Artefice.
Qui si apre un altro interrogativo fondamentale relativo agli appellativi Pantokrator e Kosmocrator. L’Arché Tek-ton è artefice o dominatore?
Dobbiamo realizzare il richiamo del Sé secondo coscienza, ossia secondo quell’interiore conoscimento che deriva dal conoscere cum, ossia con. Con chi? Con il Lógos che è “luce degli uomini” e dal quale apprendiamo (afferriamo appigliandoci) l’imperativo categorico che si presenta come lampo illuminante, Ziza, così come è stato indicato sin dai primi passi nel percorso del Rito Scozzese.
Concetti come dovere, imperativo categorico, libero arbitrio, ispirazione, conoscenza hanno occupato il lavoro e la riflessione di intere generazioni e non sono, pertanto, che marcatori di nuove esperienze intellettuali e spirituali che ognuno dovrà fare per diventare Santo (Kadosch) Cavaliere e dovrà fare, in seguito, nella sua vita iniziatica.
Un Santo Cavaliere non è un cavaliere erede di questo o di quell’ordine cavalleresco e tanto meno l’erede di bande armate di cavalieri medievali. Il proliferare di mantelli di sedicenti cavalieri è semplicemente ridicolo. Su questo essenziale punto vale la pena di soffermarci.
segue
[i] Margherita Isnardi Parente, Lo stoicismo ellenistico, Laterza






