LA MASSONERIA SPECULATIVA E IL PROBLEMA DELL’INIZIAZIONE VIRTUALE – PARTE IV

Ott 13, 2025 | MASSONERIA

Saul Tanazot

VII. La complementarità indispensabile fra lavoro individuale e lavoro collettivo. VII.1 La dialettica del particolare e dell’universale
Giunti a questo punto della nostra esposizione, pare necessario affrontare esplicitamente una questione che potrebbe sorgere nell’intelligenza del Lettore: qual è, esattamente, il rapporto fra le pratiche operative individuali che abbiamo descritto e il lavoro rituale collettivo che si svolge in Loggia? Le prime sostituiscono il secondo? Lo rendono superfluo? O entrambi esistono, invece, in una relazione di complementarità indispensabile?

La risposta a siffatta interrogazione risulta di capitale importanza per evitare due deviazioni opposte ma ugualmente dannose: da un lato, la riduzione della vita massonica alla mera partecipazione ai lavori di Loggia, senza alcuna pratica individuale (errore caratteristico della Massoneria speculativa moderna); dall’altro, l’illusione che il lavoro individuale possa di fatto sostituire la partecipazione alla vita collettiva della Loggia (errore caratteristico di certe derive individualiste di stampo “neo-spiritualista”).
La verità si situa in una posizione intermedia, che trascende questa contrapposizione apparente riconoscendo la complementarità essenziale di entrambi gli aspetti. Il lavoro rituale collettivo in Loggia e le pratiche operative individuali non rappresentano due vie alternative fra cui l’iniziato debba scegliere, ma costituiscono piuttosto due momenti necessari di un unico processo iniziatico, ciascuno dei quali risulta insufficiente senza l’altro.

VII.2 Il rito collettivo come fonte dell’influenza spirituale
Il lavoro rituale collettivo che si svolge nelle tornate di Loggia possiede una funzione primaria e insostituibile: esso costituisce il canale mediante il quale l’influenza spirituale dell’Ordine viene trasmessa, rinnovata e mantenuta viva. Come Guénon ha ripetutamente sottolineato, la trasmissione iniziatica richiede necessariamente un contatto effettivo con l’organizzazione iniziatica in questione e tale contatto non può essere sostituito da alcuna pratica individuale, per quanto elevata essa possa essere.
Durante i lavori rituali, quando i Fratelli si riuniscono “regolarmente costituiti” sotto la presidenza del Maestro Venerabile, si produce un fenomeno di ordine sottile che – pur cercando attentamente di evitare ogni possibile confusione tra psichico e spirituale – la terminologia tecnica designa sovente come attivazione dell’eggregora. Tale termine, benché talvolta surrettiziamente abusato nella letteratura occultista, designa una realtà oggettiva: l’insieme delle influenze spirituali che si concentrano quando un gruppo di iniziati opera secondo le forme ortodosse. È questa concentrazione di influenze che rende il lavoro rituale efficace e che conferisce o rinnova nell’iniziato le virtualità che egli dovrà poi attualizzare mediante la pratica individuale.
Un iniziato che cessasse di partecipare ai lavori di Loggia, pur continuando a praticare individualmente i metodi operativi, constaterebbe progressivamente un indebolimento e infine una cessazione dell’efficacia di tali pratiche. Privato del contatto vivente con la catena iniziatica, separato dall’eggregora della Loggia, egli diverrebbe simile a un ramo tagliato dall’albero: per quanto vigoroso possa essere stato, esso è destinato a inaridirsi progressivamente, privato della linfa che lo nutriva.

VII.3 La pratica individuale come attualizzazione dell’influenza ricevuta
Reciprocamente, il lavoro rituale collettivo, per quanto ortodosso e regolare esso sia, rimane insufficiente se non viene completato da una pratica individuale costante. L’influenza spirituale trasmessa durante i lavori di Loggia conferisce possibilità reali, ma tali possibilità permangono allo stato virtuale qualora non vengano attualizzate mediante un lavoro metodico che soltanto l’iniziato è in grado di compiere per se stesso.
Possiamo ricorrere a un’analogia per chiarire questo punto: l’iniziazione va paragonata al seme che viene piantato nel terreno dell’essere individuale durante la cerimonia di recezione. I lavori rituali successivi sono simili alla pioggia che cade periodicamente, fornendo l’acqua necessaria alla germinazione. Ma affinché il seme germogli effettivamente e si sviluppi in pianta, è necessario che il terreno sia appropriato, che vengano rimosse le erbacce sotto cui soffocherebbe il germoglio, che venga fornita la luce necessaria alla fotosintesi. Tutto ciò corrisponde al lavoro individuale di purificazione, di concentrazione, di visualizzazione simbolica che l’iniziato è chiamato a compiere quotidianamente.
Un Maestro che partecipasse assiduamente ai lavori di Loggia ma non praticasse mai individualmente riceverebbe certamente l’influenza spirituale durante i lavori rituali, ma tale influenza rimarrebbe in lui allo stato latente, senza produrre quella trasformazione effettiva che costituisce la finalità del percorso iniziatico. Egli potrebbe acquisire una conoscenza teorica considerevole dei simboli e della dottrina, potrebbe eccellere nella conoscenza dei rituali e delle procedure, ma tutto ciò rimarrebbe al livello di un sapere esteriore che non avrebbe penetrato il suo essere profondo.

VII.4 La sintesi: una via integrale
La conclusione che s’impone è che l’iniziato deve praticare entrambi gli aspetti del metodo massonico: deve partecipare regolarmente ai lavori rituali della sua Loggia, mantenendo vivo il contatto con la catena iniziatica e ricevendo il rinnovamento periodico dell’influenza spirituale; e deve altresì praticare quotidianamente, nel silenzio e nella solitudine, quegli esercizi operativi che permetteranno l’attualizzazione delle virtualità conferite.
Questa esigenza di integralità non costituisce un ideale inaccessibile riservato a pochi iniziati eccezionali, ma rappresenta piuttosto la condizione normale di una pratica massonica ortodossa. È precisamente l’abbandono di tale integralità – la riduzione della vita massonica all’esclusiva partecipazione ai lavori rituali collettivi – che ha prodotto quella menomazione delle potenzialità iniziatiche della Massoneria moderna a cui abbiamo accennato nell’incipit del presente scritto.
Il ritorno a una Massoneria operativa nel senso pieno del termine – non nel senso anacronistico di un ritorno all’esercizio effettivo del mestiere di costruttore, ma nel senso di una riattivazione dei metodi operativi di realizzazione spirituale – richiede che ogni iniziato s’impegni con serietà in questa via integrale, equilibrando armoniosamente il lavoro collettivo con la pratica individuale, la ricezione periodica dell’influenza spirituale con la sua attualizzazione quotidiana.

VIII. Considerazioni sulla trasmissione e sulla gerarchia iniziatica
VIII.1 La questione della legittimità della trasmissione
Una questione delicata ma inevitabile che si pone riguardo ai metodi operativi di cui abbiamo trattato concerne le modalità della loro trasmissione. Chi risulta qualificato per insegnare tali metodi? A chi possono essere comunicati? Secondo quali modalità dovrebbe avvenire tale comunicazione? Si tratta di interrogativi che non possono essere elusi, giacché da essi dipende la preservazione dell’ortodossia e la prevenzione di deviazioni potenzialmente pericolose.
La risposta tradizionale a tali questioni è chiara: i metodi operativi di realizzazione spirituale devono essere trasmessi secondo le modalità che rispettano la gerarchia iniziatica e il principio della gradualità. In ambito massonico, ciò significa che un Maestro può legittimamente istruire un Apprendista ammesso o un Compagno d’Arte nei metodi appropriati al loro grado, ma deve rigorosamente astenersi dal comunicare metodi che presuppongono qualificazioni o conoscenze proprie di gradi superiori.
Tale principio non rappresenta una questione di segretezza arbitraria o di elitarismo spirituale, ma corrisponde a una ben precisa necessità di ordine tecnico. Come nell’insegnamento di qualunque altra arte o scienza, anche nell’istruzione iniziatica risulta necessario procedere secondo un ordine appropriato, fornendo a ciascuno unicamente le conoscenze e i metodi che corrispondono al suo livello di preparazione. Voler comunicare prematuramente metodi avanzati a chi non possieda le qualificazioni necessarie non soltanto si rivelerebbe inutile – giacché tali metodi rimarrebbero incompresi o mal applicati – ma potrebbe risultare perfino dannoso, producendo squilibri o deviazioni.

VIII.2 Il ruolo del Maestro istruttore
La figura del Maestro che istruisce un Fratello più giovane nei metodi operativi riveste un’importanza capitale nella trasmissione iniziatica. Tale ruolo non deve venire confuso con quello del “maestro spirituale” o “guru”, caratteristico di altre tradizioni: nella Massoneria, la relazione fra il Maestro istruttore e il discepolo conserva sempre un carattere fraterno e non implica alcuna dipendenza psicologica o sottomissione della volontà.
Il Maestro istruttore incarna, essenzialmente, tre funzioni: anzitutto, egli comunica i metodi operativi nella forma appropriata, verificando che il Fratello abbia compreso correttamente le modalità tecniche della pratica; in secondo luogo, egli ne guida i primi tentativi, correggendo eventuali errori di metodo e rispondendo ai dubbi che possono eventualmente sorgere; infine, egli mantiene una funzione di supervisione discreta, rimanendo disponibile per consigliare e indirizzare il Fratello lungo tutto il suo percorso.
È essenziale che il Maestro istruttore possegga egli stesso un’esperienza effettiva dei metodi che trasmette. La conoscenza puramente teorica, per quanto accurata, non risulta infatti sufficiente al fine di istruire efficacemente qualcun altro in pratiche operative. Soltanto chi abbia effettivamente praticato, chi abbia attraversato le difficoltà e superato gli ostacoli, chi abbia personalmente constatato l’efficacia dei metodi, è qualificato per guidare altri sulla medesima via.

VIII.3 L’adattamento alle qualificazioni individuali
Un aspetto cruciale della trasmissione dei metodi operativi è la necessità di adattarli alle qualificazioni individuali del Fratello che li riceve. La dottrina tradizionale riconosce che gli esseri umani non possiedono tutti le medesime disposizioni naturali, le medesime capacità, le medesime tendenze. Ciò che Guénon designa come “qualificazioni iniziatiche” (adhikāra nella terminologia hindū) varia considerevolmente da un individuo all’altro.
Un metodo che si rivela particolarmente efficace per un iniziato dotato di una costituzione contemplativa potrebbe risultare difficile o inadeguato per un altro iniziato di temperamento più attivo. Un esercizio che richieda capacità di visualizzazione molto sviluppate potrebbe essere inappropriato per chi possieda una costituzione mentale più astratta. È compito del Maestro istruttore valutare le disposizioni particolari del Fratello e adattare conseguentemente i metodi trasmessi.
Tale adattamento non costituisce affatto una concessione al relativismo o un’alterazione arbitraria dei metodi tradizionali. Al contrario, esso corrisponde a un principio profondo della pedagogia iniziatica: la verità spirituale è una e immutabile, ma i mezzi per accedervi possono e devono essere molteplici, adattati alla varietà delle nature umane. Come un medico prescrive rimedi differenti a pazienti diversi pur mirando sempre alla medesima finalità di ristabilimento della salute, così il Maestro istruttore propone metodi alternativi ai vari Fratelli pur orientandoli tutti immancabilmente verso l’unica meta della realizzazione spirituale.
segue

Silvano Danesi

Silvano Danesi

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