Segue da la vera Luce 3
di Silvano Danesi
https://www.casadellavita.eu/massoneria/la-vera-luce-3-il-male-e-il-bene-nellarchetipo-delluno/
La risposta di Hillman
La questione della compresenza degli opposti nel Tutto induce in Hillman una risposta all’interrogativo: “Tra gli umani esiste un cuore malvagio?”.
La risposta di James Hillman è sì, tra gli umani esiste il cattivo in quanto l’essenza umana (la ghianda angiosperma, come la chiama) può celare un cuore malvagio e corrotto e in questo caso il dáimon (spirito guida nella concezione platonica) si fa demonio.
Hillman preferisce daimon al Sé.
Nel “Codice dell’Anima” Hillman, sostenendo di voler usare il meno possibile termini della psicologia, scrive: “Ho anche cercato di evitare il termine più pernicioso di tutti: «il Sé». E’ un termine dalle grandi fauci, avrebbe potuto inghiottire senza lasciare traccia, nella sua illimitata capienza, tutte le più precise personificazioni: genio, angelo, daimon, destino”. [i]
Il “cattivo” esiste come esiste il male perché ambedue sono contemplati nelle infinite possibilità dell’esistenza e conseguentemente, anche nell’essere umano.
Nel mito platonico di Er, al quale si riferisce anche Hillman, all’anima è assegnata una parte da recitare nel vasto palcoscenico della vita.
Nel mito platonico le anime scelgono un daimon e i modelli di vita che devono realizzare. La scelta è del tutto responsabilità delle anime stesse.
Scrive Hillman: “La teoria della ghianda dice (e ne porterò le prove) che io e voi e chiunque altro siamo venuti al mondo con un’immagine che ci definisce. L’individualità risiede in una causa formale, per usare il vecchio linguaggio filosofico risalente ad Aristotele. Ovvero, nel linguaggio di Platone e di Plotino, ciascuno di noi incarna l’idea di se stesso. E questa forma, questa idea, questa immagine non tollerano eccessive divagazioni. La teoria, inoltre, attribuisce all’immagine innata un’intenzionalità angelica, o daimonica, come se fosse una scintilla di coscienza; non solo, afferma che l’immagine ha a cuore il nostro interesse perché ci ha scelti per il proprio”.[ii]
Cosa sono i componenti che insieme “sostanziano la «teoria della ghianda», l’idea, cioè, che ciascuna persona sia portatrice di un’unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di poter essere vissuta”?. [iii] La risposta di Hillman è: “la vocazione, il destino, il carattere, l’immagine innata”. [iv]
“Per scoprire l’immagine innata – scrive Hillman – dobbiamo accantonare gli schemi psicologici generalmente usati – e per lo più usurati”. [v]
Detto in altri termini, dobbiamo essere esseri umani liberi, in quanto dotati di libero pensiero, non schiavi di pregiudizi, di ideologie, di morali determinate, di dogmi e, in quanto dotati di libero pensiero, aperti alla ricerca di quella “Vera luce” che è l’immagine innata.
“Se accetto l’idea di essere l’effetto di un impercettibile palleggio tra forze ereditarie e forze sociali, io mi riduco a mero risultato. Quanto più la mia vita viene spiegata sulla base di qualcosa che è già nei miei cromosomi, di qualcosa che i miei genitori hanno fatto o hanno omesso di fare e alla luce dei miei primi anni di vita ormai lontani, tanto più la mia biografia sarà la storia di una vittima. La vita che io vivo sarà una sceneggiatura scritta dal mio codice genetico, dall’eredità ancestrale, da accadimenti traumatici, da comportamenti inconsapevoli dei miei genitori, da incidenti sociali”. [vi]
In questo passaggio c’è tutto il significato della schiavitù. La sceneggiatura non è scritta nel codice genetico. Il codice genetico, il Dna, è all’origine della maschera, della persona, della parte materiale nel quale l’immagine innata si è proiettata incarnandosi.
Scambiare il codice dell’anima con il codice del Dna è scambiare un effetto con la causa e rendersi schiavi dell’effetto.
“Beninteso – avverte Hillman – ciascuna vita umana di giorno in giorno progredisce e regredisce, e noi vediamo svilupparsi svariate facoltà e le osserviamo decadere. E tuttavia l’immagine innata del nostro destino le contiene tutte nella compresenza di oggi ieri e domani. La nostra persona non è un processo o un evolversi. Noi siamo quell’immagine fondamentale, ed è l’immagine che si sviluppa, se mai lo fa. Come disse Picasso: «Io non mi evolvo. Io sono». Tale, infatti, è la natura dell’immagine, di qualunque immagine. L’immagine è presente tutta in una volta. Quando guardiamo una faccia di fronte a noi, o una scena fuori dalla finestra o un quadro alla parete, noi vediamo un tutto, una Gestalt[vii]. […]. Tutte le parti si presentano simultaneamente. Non c’è un pezzo che ne causa un altro o che lo precede nel tempo. Non ha importanza se il pittore ha inserito le macchie rosse per ultime o per prime, le striature grigie dopo un ripensamento o come struttura iniziale, o se magari esse sono segni residui di un’immagine precedente rimasti sulla tela: ciò che vediamo è esattamente ciò che c’è da vedere, tutto in una volta. È così anche per la faccia che ci sta di fronte: carnagione e lineamenti formano un’unica espressione, un’immagine sola, data tutta insieme. Lo stesso vale per l’immagine dentro la ghianda. Noi nasciamo con un carattere; che è dato; che è un dono, come nella fiaba delle fate madrine al momento della nascita. [viii]
Conoscere l’immagine innata è fondamentale per conoscere chi siamo e per quale motivo stiamo facendo le esperienze che facciamo in questo transito terreno.
“Perché – dice Hillman – è questo che in tante vite è andato smarrito e va recuperato: il senso della propria vocazione, ovvero che c’è una ragione per cui si è vivi”. [ix]
Armonia è figlia di Ares e di Venere
Ogni accadimento della vita ha un suo significato profondo e ogni accadimento viene da noi percepito secondo un significato che tende a collocarlo nel bene o nel male, ossia in ciò che riteniamo positivo e in ciò che riteniamo negativo, sia per noi, sia per la collettività, sia, più in generale, per quello che la nostra formazione ci ha insegnato a distinguere.
Spesso si identifica il male come disarmonia e il bene, come suo contrario, come armonia e troppo spesso si invoca l’armonia, confondendola con l’accomodamento, con il buonismo, con la rinuncia al confronto.
Creare armonia non è rinunciare alle proprie opinioni per evitare conflitti, non è fingere che non ci siano differenze, non è accomodarsi nel quieto vivere.
Armonia è figlia di Ares e di Venere.
Ares, dio della guerra, il cui nome significa rovina, distruzione, disgrazia è il compagno di Venere, dea dell’amore. E’ dall’unione di distruzione e di amore che nasce Armonia.
Qui ci sovviene la saggezza di Eraclito: “Pólemos di tutte le cose è padre, di tutte le cose è re: e gli uni rivela dèi, gli altri umani, gli uni rende schiavi, gli altri liberi”. Fr.22B53DK .
“Pólemos, il Conflitto perenne connaturato a phýsis – commenta Angelo Tonelli – domina su tutti i livelli del mondo fenomenico. A seconda delle differenti alchimie di Contesa, questo o quel centro individuale emerge rispetto agli altri, assurgendo alla dimensione divina, oppure soccombe, e sprofonda nella schiavitù. Il dio, il libero, si distinguono dall’umano, dallo schiavo, in virtù della capacità di cogliere il conflitto e, più in generale, le peripezie della vita, con assoluto distacco e sguardo giocoso, o come occasione evolutiva”. [x]-.
Sta in questo frammento eracliteo la differenza tra il libero e lo schiavo.
Se cristallizzi la Contesa non dai luogo ad armonia, ma a polarizzazione e schiavitù.
Se fuggi da Contesa non realizzi Armonia, ma inutile separazione.
Armonia non è l’arroccarsi tra simili o presunti tali, in una sorta di schieramento autocompiacente.
Scrive Eraclito: “Armonia non visibile, di quella manifesta più potente”. Fr. 22B54DK – Commenta Angelo Tonelli: “Il Regno del Visibile, dominato da Necessità e Contesa è manifestazione di un’Armonia Invisibile che, rispetto a esso, viene ritenuta dominante, e, a livello ontologico, più potente. Di tale armonia non visibile è consapevole il sapiente”.[xi]
E allora, “spossante fatica, sfinirsi per gli stessi e degli stessi essere schiavi”. Fr. 22B84b.
“Con ogni probabilità – commenta Tonelli – «gli stessi» indica la danza degli opposti, che variamente trascina gli individui ora in una direzione ora nell’altra, dominandoli e fiaccandone le energie. Eraclito sembra invitare a evitare di cadere in questa rete, e a cercare piuttosto di mantenere una posizione di illuminata equanimità”.[xii]
Poiché il fato in greco è moira, parte assegnata a ciascuno, spetta ad ognuno di noi comprendere che parte ci spetta e, anche, identificare a chi spetta la parte assegnata della malvagità e della corruzione.
Spetta ad ognuno di noi, esercitando il libero arbitrio e la conoscenza di noi stessi, identificare la parte che ci spetta ed eventualmente correggerla se ne siamo capaci, ma spetta a tutti noi, e soprattutto a chi ha responsabilità collettive, di identificare laddove allignano il male, la malvagità, la corruzione.
Nei rituali massonici si legge: “Per la Massoneria la morale è la scienza della concezione etica della vita, che riposa sulla ragione umana; la legge naturale, universale ed eterna che regge tutti gli esseri intelligenti e liberi: scienza ammirevole, che ci insegna i doveri e l’uso ragionato dei nostri diritti. Essa si rivolge ai più puri sentimenti del cuore per assicurare il trionfo della ragione e della virtù”.
La morale, che nell’accezione comune riguarda i mores, i costumi di un’epoca, di un luogo, di una popolazione, nell’accezione massonica acquista lo status di scienza della concezione etica della vita e si pone come conoscenza delle leggi, dei criteri, che presiedono alla manifestazione.
La ghianda e la piramide
Se pensiamo alle anime come appartenenti al mondo immaginale in quanto immagini, corpi di luce associati a un Sé o daimon, ossia ad un nucleo intelligente e cosciente di informazioni e se pensiamo ai modelli di vita del mito di Er come immagini del percorso di vita che avverrà nello spazio-tempo, dove agiscono energia e massa, possiamo pensare all’incarnazione come ad un processo di esatta corrispondenza tra le immagini-anime e le immagini-modelli di vita.
Una non esatta corrispondenza comporta un disagio esistenziale.
Essendo le immagini appartenenti al campo elettromagnetico le cui particelle/onde sono i fotoni che sono bosoni, le due immagini possono coesistere nello stesso spazio e nello stesso tempo pur rimanendo distinte, anche se unite.
Possiamo a questo punto pensare ad un quaternio come schema di “discesa” delle anime nel campo materiale.
L’insieme di anima immagine, più il modello di vita come immagine, più il Dna può essere pensato come la “ghianda” di Hillman che contiene in sé i criteri della ghianda di una grande quercia.
Così come la ghianda si nutre delle sostanze della terra, la “ghianda” unione di anima più modello di vita, più Dna, dà origine al sinolo forma-materia, ossia all’individuo umano, nutrendosi dell’energia-massa.
Rimanendo nel linguaggio del simbolo, possiamo ora pensare la “ghianda” come una doppia piramide o ottaedro particolare.
Con le piramidi dette di Cheope e di Chefren, abbiamo la presenza di numeri che rappresentano i codici della vita e che introducono alla geometria sacra.
La piramide detta di Cheope contiene proporzioni che riguardano il numero aureo Φ 1,618 e il pi greco π, 3,14.
La piramide di Chefren, secondo i calcoli pubblicati dall’archeologo Armando Mei, nelle sue proporzioni contiene il numero 137 che riguarda la costante di struttura fine.
La costante di struttura fine, o costante di Sommerfeld, indicata con la lettera greca αe, è la costante di accoppiamento dell’interazione elettromagnetica; dà l’intensità dell’interazione elettrone-fotone ed è inoltre una grandezza fondamentale nella comprensione delle costanti fisiche e nelle misure degli spettri atomici.
L’elettrodinamica quantistica è una teoria che ha un grande successo nel descrivere l’interazione luce-materia.
A questo proposito un necessario cenno va fatto al termine ebraico Kabbalàh, קַבָּלָה , che significa ricevuta e tradizione e mette in corrispondenza il mondo materiale con quello spirituale e l’uomo col divino.
Il termine Kabbalàh, secondo la gematria vale 137. Arie Ben Nun ז”ל [xiii] definisce il valore 137 «come il rapporto tra la velocità della luce e quella dell’elettrone in orbita intorno al nucleo dall’atomo d’idrogeno o, meglio, esso governa il legame esistente tra materia e luce». Interessante il suo collegare la parola קַבָּלָה 137 a קול (Kol) suono 136 e a חֶלֶק (Chèlek) particella 138 e riconosce che queste tre forze in effetti sono una.
Le “ghiande” della geometria sacra
La vesica piscis (fig.1), elemento primario della geometria sacra, detta anche mandorla o occhio di Ra, evidenzia, in sezione, l’ottaedro. Nella vesica piscis è riscontrabile (fig2) il profilo della piramide di Cheope, la quale contiene il numero aureo (fig.3).
Lo sviluppo della vesica piscis porta al fiore della vita che troviamo nel tempio egizio di Abydos.
Nei criteri costruttivi della piramide di Cheope ricorrono i numeri 11 e 7.
Nella piramide di Micerino, sempre secondo Armando Mei, ricorrono i numeri 5 e 11.
Sulla piramide è posto il piramidion, con l’occhio di Horus, che contiene il numero 64, associabile al Dna.
Piramide, luce di pietra
La piramide egizia di Cheope è stata chiamata così dai greci essendo totalmente rivestita di calcare bianco e avendo sulla sua cima il piramidion di elettro, o rame dorato.
La piramide era, dunque, alla vista dei greci, fuoco (πῦρ πυρός), luce. Una luce che rivestiva una struttura di pietra.
Nell’antico Egitto “tim” è completo, perfetto e “tam” è svelarsi. Ritroviamo questo concetto in Tum-Atum, Colui che è, Colui che non è, la cui forma originale egizia è Tmw, che racchiude tm, ossia ciò che è completo, perfetto, concluso. Tmw è il creatore dell’Enneade. Tmw crea Shu, (aria, atmosfera, ma anche dio della luce che rompe le tenebre primordiali) e Tefnut (l’umidità). Shu e Tefnut danno origine a Nut (volta celeste) e Jeb (terra), i quali danno origine ai fratelli Wsir (Osiride, dio della morte e della rinascita e della fecondità della terra in quanto frumento), Ast (Iside, sede, maternità, fertilità), Neb het o Neb – Hwt (Nefthis, Nbt signora-Hwt della casa, utero, matrice all’interno della quale si sviluppa qualcosa, ma anche signora del Recinto del Tempio) e Swth (Seth, il caos e la secchezza). Da Iside e Osiride nasce, con un atto magico Hr (Horus il Giovane, il Sole, da non confondere con Horus l’Antico).
Tmw è pertanto sia all’origine dell’universo creato, sia l’universo creato e il mito che lo riguarda sostiene che si è manifestato e realizzato in forma di piramide.
Mr è piramide ed è canale (anche tomba) e Mri è amare, volere, desiderare. Tum- Atum, così, come nei miti vedici, amando e desiderando si manifesta in Mr (chiamata, come s’è visto, dai greci piramide, da pyr, fuoco, per la sua lucentezza infuocata) e Mr, in quanto forma del manifestato, è il paradigma matematico e geometrico delle misure e dei loro rapporti che, nel loro insieme, danno origine alla geometria sacra, contenente il segreto della realtà.
Dato che Mr vuol dire piramide, ovvero la forma prescelta da Tum-Atum per concretizzare sé stesso, potremmo anche valorizzare il secondo significato dello stesso termine, cioè canale. In questo senso si potrebbe intendere che il Tutto si canalizza (focalizza) nella realtà concreta, cioè nell’universo (l’Uno).
Alla luce di quanto sin qui scritto è possibile considerare l’ottaedro, nella sua dimensione piramidale egizia, come una “ghianda” della vita, una sorta di summa di criteri riguardanti la modalità con la quale la luce si connette con la massa, secondo criteri o leggi immutabili.
Le antiche conoscenze, arrivate a noi tramite miti, simboli e archetipi, sembrano sempre più anticipare quanto andiamo oggi scoprendo con i metodi della scienza.
Il numero sette, ad esempio, racchiude il segreto del Dna, un segreto a conoscenza degli antichi, come dimostra l’ottimo lavoro della matematica e sinologa Katya Walter[xiv], nel quale, a proposito degli I Ching, dimostra quanto asserito la Marie Louise Von Franz, la quale, come scrive Antonio Vitolo nell’introduzione a Psiche e Materia, “ha compiuto una «scoperta» non trascurabile, la constatazione dell’omologia tra le combinazioni, disposizioni e ripetizioni dei 64 esagrammi I Ching e le 64 differenti triplette formate dalla base quaternaria (adenina, timina, guanina e citorina) dell’acido desossiribosonucleico, come si sostiene in Zahl und Zeit (1970)”.
“L’aspetto affascinante – scrive Marie Louise Von Franz – è l’identità, persino nei dettagli, tra l’aritmetica degli I Ching e quella del codice genetico. Ci troviamo dinnanzi a una cosa stupefacente: i Cinesi, in base alla sola visione interiore, sperimentando in un certo modo il proprio stato psichico, sono pervenuti a un sistema di numeri – che per loro ha un significato informativo – che hanno poi ampliato filosoficamente. Ora, lo stesso sistema di numeri è stato scoperto dalla scienza occidentale come base fisica di ogni informazione. Oggi, cioè, si è rivelato che l’immagazzinamento e la trasmissione di «informazione» nelle cellule del nostro corpo e, in particolare, nella base materiale dei nostri processi cognitivi vengono attuati dall’Rna (acido ribonucleico) e dai messaggi dell’Rna. Questi acidi, che come il Dna (desossiribonucleico) si trovano alla base di ogni sostanza ereditaria, soggiacciono a un codice matematico, la cui struttura numerica di base corrisponde esattamente a quella in esagrammi I Ching. Come è noto, sono sessantaquattro. Analogamente, esistono 43 (64) combinazioni possibili di segnali di codice per l’elaborazione di venti aminoacidi nel codice Rna e nel codice Dna. La trasmissione dell’informazione avviene in un codice tripletta, simile ai segni I Ching, che constano di due triplette”. [xv] Quattro Dna, letti da 3 Rna sono un settenario.
L’egittologo inglese John Edgar scoprì che il perimetro di base della Grande Piramide equivale ad una circonferenza che abbia come raggio l’altezza della piramide stessa (fig.1).
• Perimetro piramide in metri: 230,38 x 4 = 921,52
• Circonferenza: (146,60 x 2) x 3,1416 = 921,11 (scarto 0,05%). Quindi la Grande Piramide contiene innegabilmente il concetto e il valore di Pi Greco.
Riassumendo, nella “ghianda” piramide abbiamo, con sufficiente approssimazione, il π (pi greco, 3,14), il ϕ (numero aureo 1,618), il 64 (relativo al DNA) e il 137 (relativo alla costante di struttura fine).
Il cerchio e il quadrato sono i simboli della parte spirituale e di quella materiale che, come insegna Leonardo, coesistono nell’essere umano.
Il numero aureo riguarda il campo morfogenetico, il 64 il Dna e il 137 il rapporto metamorfico luce-materia.
segue
[i] James Hillman, Il codeice dell’anima, Adelphi
[ii] James Hillman “Il codice dell’anima”, Adelphi.
[iii] James Hillman “Il codice dell’anima”, Adelphi.
[iv] James Hillman “Il codice dell’anima”, Adelphi.
[v] James Hillman “Il codice dell’anima”, Adelphi.
[vi] James Hillman “Il codice dell’anima”, Adelphi.
[vii] Importante indirizzo della psicologia moderna sorto agli inizi del XX sec., secondo il quale ogni percezione si presenta all’esperienza come un tutto unico, come una struttura definitiva avente una sua forma individuale, e non come una giustapposizione di unità elementari.
[viii] James Hillman “Il codice dell’anima”, Adelphi.
[ix] James Hillman “Il codice dell’anima”, Adelphi.
[x] Angelo Tonelli, Eraclito, Feltrinelli.
[xi] Angelo Tonelli, Eraclito, Feltrinelli.
[xii] Angelo Tonelli, Eraclito, Feltrinelli
[xiii] A.Ben Nun, Ghimatria. Chiave della Cabbalà א” p. 48.
[xiv] Katya Walter, Il Tao del caos, Piemme.
[xv] Marie Louise Von Franz, Psiche e Materia, Boringhieri