di Silvano Danesi
I tre pilastri degli Old Charges
Prima che un prete protestante, James Anderson, scrivesse nel 1723 le Costituzioni della Massoneria, ad usum degli Hannover, che avevano esiliato il ramo Stuart, autentico ramo della tradizione regale celtica e custode della Massoneria, questa, negli Old Charges, identificava, tra i suoi riferimenti fondamentali, Euclide, Pitagora ed Ermete Trismegisto.
Euclide (circa 300 a.C.) è stato un matematico greco dell’antica Alessandria, noto soprattutto per il suo trattato Elementi, una delle opere più influenti della storia della matematica.
Gli elementi sono un’opera in 13 libri che sistematizzano le conoscenze matematiche dell’epoca, coprendo geometria piana e solida, aritmetica e teoria dei numeri.
La geometria euclidea ha formalizzato la geometria piana, definendo concetti come punti, linee, angoli e figure geometriche, ancora oggi alla base dell’insegnamento della geometria.
Inserire Euclide tra le figure di riferimento significa affermare la razionalità come metodo. Infatti Euclide ha introdotto un approccio logico-deduttivo che è diventato il modello per la matematica moderna e altre discipline scientifiche.
Euclide, pertanto, è la scienza.
Ermete Trismegisto è il riferimento alla conoscenza ermetica, alchemica, gnostica. Conoscenza che affonda le sue radici nella tradizione egizia.
I testi attribuiti a Ermete Trismegisto (in greco Ἑρμῆς Τρισμέγιστος, “Ermete il tre volte grande”) costituiscono il corpus della letteratura ermetica, una raccolta di scritti filosofici, teologici, mistici e alchemici che si sviluppò principalmente tra il II e il III secolo d.C. in ambito ellenistico, in particolare ad Alessandria d’Egitto.
Ermete Trismegisto è una figura sincretica che unisce il dio greco Ermes (messaggero degli dèi e guida delle anime) al dio egizio Thot (dio della sapienza, della scrittura e della magia).
Considerato un leggendario maestro di sapienza, a Ermete Trsimegisto sono attribuiti numerosi testi che combinano elementi di filosofia greca (soprattutto platonismo e stoicismo), misticismo, astrologia, alchimia e teologia egizia.
Il più famoso dei testi è il Corpus Hermeticum. Si tratta di una serie di trattati filosofici e religiosi, redatti in greco, che esplorano temi come la natura di Dio, l’origine del cosmo, la relazione tra l’uomo e il divino, e il percorso verso la gnosi (conoscenza spirituale). I testi sono datati tra il I e il III secolo d.C. e furono riscoperti in Occidente nel Rinascimento grazie alla traduzione di Marsilio Ficino (1471).
I trattati (circa 17 o 18, a seconda delle edizioni) sono dialoghi tra Ermete Trismegisto e vari discepoli, come Asclepio, Tat (figlio di Ermete) o Ammon. Dio è concepito come un principio trascendente, infinito e inconoscibile, ma anche immanente nel cosmo (“Tutto è Uno”). Il cosmo è un riflesso del divino, ordinato secondo principi razionali. L’uomo ha una natura divina e può raggiungere la salvezza attraverso la conoscenza di sé e di Dio. La salvezza si ottiene attraverso una conoscenza intuitiva e mistica, non solo razionale.
La figura di riferimento di Ermete Trismegisto, pertanto, introduce un insieme di tradizioni che attengono all’intuizione, alla conoscenza spirituale, alla sapienza egizia interpretata in chiave ellenistica.
Con Pitagora entriamo nel cuore del processo iniziatico che porta, dopo un cammino di conoscenza e di purificazione, ad accedere allo sguardo noetico, laddove il “noũs è la dimensione del profondo che ci mette in contatto con la verità, e conduce, “occhio” esso stesso, gli “occhi dell’anima” a “ottenere il nutrimento che le è proprio”, che è la “contemplazione delle realtà che veramente sono”. [1]
Giamblico, nel suo “Vita di Pitagora”, ci dice che “senza il noũs nessuno può apprendere o intuire alcunché di sano o di vero, a prescindere di quale intensità di percezione sia dotato”.
“Per il Sapiente di Elea [Parmenide, ndr] il noũs è quella dimensione dell’interiorità in grado di connettere, a livello sottile, gli individua apparentemente più dissimili e distanti. E la magia di Pitagora nasceva dalla devozione agli Dei e dal radicamento nel noũs, che è la parte divina dell’interiorità umana, ovvero dall’abitare quel luogo dell’anima mundi che soltanto gli iniziati e i meditanti possono abitare”. [2]
Con Pitagora abbiamo la geometria, la matematica, la musica ma, soprattutto, la ricerca spirituale che è l’aspetto fondamentale di ogni percorso iniziatico.
I fondamentali del percorso iniziatico
Angelo Tonelli, nel suo bel libro su Pitagora, ci rende in modo chiaro che “l’’iniziazione e l’educazione (paideía) pitagoriche consistevano nella purificazione dell’anima” dalle sue affezioni, in modo da “riattizzare e salvaguardare il divino che è in essa, volgendo in direzione dell’Intuibile l’occhio divino”, perché “soltanto allo sguardo di quest’occhio, rafforzato con tutti gli ausili opportuni e ben connesso, è possibile scorgere la verità riguardo a tutte le cose che sono”.[3]
“L’indiamento degli iniziati pitagorici, come accade anche nel misticismo sapienziale e meditativo d’Oriente, e di altre tradizioni ancora – ci dice Tonelli – , era frutto della coltivazione adeguata dei molteplici componenti – emozionale, razionale, sentimentale e soprattutto noetico – dell’interiorità”.[4]
Coloro che erano ammessi alla Scuola venivano divisi in due gruppi principali: gli “acusmatici” e i “mathematici”.
I primi venivano detti anche “esoterici” o “Pitagorei”; i secondi “essoterici” o “Pitagoristi”: questi ultimi si dedicavano alle “scienze”, mentre gli “acusmatici” erano impegnati in pratiche ascetiche e morali.
Ecco di nuovo i due aspetti della ricerca iniziatica: quello scientifico, che ricerca la verità come orthotes, esatta corrispondenza e quello che si apre alla verità come aletheia, disvelamento.
Così, ci spiega Tonelli, la “philosophía contemplativa delle cose più belle si tramuta in capacità di cogliere la connessione del cosmo con il Principio, che prende il nome di Intuibile, perché può essere conosciuto o, meglio, esperito soltanto attraverso il radicamento nel noũs, e di Primo, in quanto Origine di tutto ciò che è espressione di esso, e ha strutturazione numerica e unità armonica”.[5]
La connessione del cosmo con il Principio, in altri termini la relazione (lógos) della Physis con l’Archè, è intuibile, ossia accessibile alla conoscenza e può essere esperita attraverso il radicamento nel noũs, che possiamo identificare con il Sé.
Nel percorso iniziatico c’è anche un aspetto taumaturgico.
Il termine taumaturgico deriva dal greco thaumaturgós (θαυματουργός), composto da tháuma (θαῦμα, “meraviglia”, “prodigio”) e érgon (ἔργον, “opera”, “azione”).
L’aspetto taumaturgico, pertanto, riguarda una pratica capace di produrre effetti eccezionali, spesso riferiti a rimedi, cure o azioni con risultati sorprendenti.
Il raggiungimento dell’armonia aveva connotati taumaturgici.
“Il pentagono stellato pitagorico, simbolo della compiutezza armonica del cosmo e dell’iniziato, vero e proprio talismano sapienziale e propiziatorio per gli adepti, veniva chiamato – ci ricoda Tonalli – hyghíeia, “salute”, riferita sia a quella della psyché che a quella del sõma”.
Il processo di individuazione
Con Euclide, Ermete Trismegisto e Pitagora abbiamo tutti i riferimenti essenziali ad indicare la via da seguire e in particolare con Pitagora viene indicata la via del processo di individuazione che collega il nostro Io al nostro Sé e ci consente di ri-conoscerci e di ri-diventare noi stessi.
C’è una profonda differenza tra il percorso psicologico e quello iniziatico.
Prima di accostarci alla questione fondamentale del processo di individuazione dobbiamo, con Emilio Servadio, considerare l’utilità “per chi intenda percorrere la via muratoria, o altro iter iniziatico, di avere una conoscenza abbastanza precisa di taluni meccanismi essenziali e fondamentali dell’apparato psichico umano, poiché solo tale premessa potrà dargli da un certo punto in poi, la sicurezza di muoversi a determinati livelli sapienziali e di non scambiare per realtà metafisiche i prodotti delle sue fantasie inconsce, se non dei suoi complessi non risolti”. [6]
Emilio Servadio, dopo aver sostenuto l’utilità dello studio della psicologia e del simbolismo psicologico anche in rapporto alla via iniziatica scrive: “E’ chiaro che chi consideri in qualche modo l’uomo come «caduto» e la via iniziatica come quella di un possibile riscatto e rigenerazione, la utlizzazione dei processi simbolici, dai più elementari ai più elevati, non può essere considerata se non come un faticoso e lento rinnovamento di verità smarrite”[7]
Vediamo cosa ci dice la psicologia sul rapporto tra Io e Sé e sul processo di individuazione.
Il Sè, suggerisce M.L.von Franz, si cala nella materia per sperimentare l’Io, si annega nel mare dell’inconscio, sperimenta la complessità della materia (piacere, dolore, felicità, angoscia, paura, ecc.), aumenta la propria conoscenza attraverso l’esperienza.
Possiamo vivere a lungo senza mai porci domande, scivolando sulla vita, oppure fare di ogni esperienza un’occasione di conoscenza, ponendoci, mentre percorriamo la via, lunga o breve che sia, dell’esistenza terrena, la domanda: “Chi sono io?”.
Alla domanda la risposta è nel processo di individuazione, nel riconoscere chi veramente siamo. Il processo di individuazione, scrive M.L.von Franz, “consiste nel diventare sé stessi”. [8]
Il processo di individuazione è sentire la voce del Sé, “voce centrale dell’inconscio”: voce difficilmente non ascoltabile, in quanto “la spinta all’individuazione, essendo lo stimolo più forte esistente nell’uomo, riesce sempre ad aprirsi la strada in ogni essere umano”. [9]
Chi sono io? Un essere terrestre, fatto di solo corpo materiale, dotato di mente razionale, di sentimenti, emozioni o sono anche altro: un essere di luce che può vivere in un corpo di luce?
Se la risposta del processo di individuazione è che non sono solo un Io, ma anche un Sé, ecco che la nascita, l’entrata nella vita terrena, è il trasferirsi del Sé nella materia (fermioni in una forma corporea umana) e la morte è il trasferirsi dal corpo materiale al corpo di luce, al diamante. A quel diamante che oggi, grazie alla scienza, può esistere come sostanza di luce (fotoni) e mantenere una forma eternamente.
Quando siamo in questa terra il Sé convive con l’Io e l’Io, se ascolta la voce centrale dell’inconscio, convive coscientemente con il Sé.
Questa convivenza cosciente è sorridere alla vita.
L’essere umano pensa e crea
Una delle caratteristiche più significative del nostro essere “umani” è, la capacità di pensare, di simbolizzare, di creare.
Eduard O. Wilson, nel suo “Le origini della creatività” (Cortina) scrive che “l’Homo Sapiens è l’unica specie superstite dotata di intelligenza simbolica” che “ha il potere di immaginare” e che la “creatività è il carattere distintivo della nostra specie”. Wilson aggiunge: “Gli esseri umani pensano”.
Sempre Eduard O. Wilson ci avverte che “siamo per lo più animali audio-visivi e per quanto riguarda la vista, tuttavia, l’unica particella cui reagiamo è il fotone”.
Vivendo facciamo esperienza assumendo informazioni che portiamo a coscienza.
Le informazioni portate a coscienza sono ora definite dalle neuroscienze qualia (plurale del latino quale, aspetto qualitativo dell’attività mentale).
L’informazione è fondamentale, non solo per l’idea che hanno alcuni filosofi della scienza (es. Ervin Laszlo) che sia il fondamento di tutto, ma anche per il fatto che l’informazione misura il contenuto o l’incertezza (entropia) di un sistema.
In termodinamica l’entropia rappresenta il disordine di un sistema, ma può essere anche vista come misura della mancanza di informazioni al sistema.
Ervin Laszlo, nel suo “La scienza e il piano akashico (Feltrinelli), introducendo la teoria integrale del Tutto (Integral Theory of Everything) scrive della “scoperta rivoluzionaria che alle radici della realtà non vi sono soltanto materia e energia ma anche un fattore più sottile ma egualmente fondamentale, che possiamo descrive al meglio come informazione attiva ed efficace: «in-formazione»”.
L’informazione, veicolata dall’energia, dà origine alle forme.
Un codice in attività (vedi Dna) crea forme.
I sistemi biologici come il Dna, elaborano informazioni e richiedono energia per processi come la replicazione e la trascrizione. Anche il pensiero, che è informazione in azione, richiede energia.
L’elaborazione dell’informazione richiede energia e l’energia è la capacità di un sistema di compiere lavoro.
Il nostro corpo fornisce l’energia necessaria all’elaborazione delle informazioni che derivano dall’esperienza (esteriore o interiore), alla quale contribuisce come recettore di informazioni (cinque sensi, attività respiratoria, attività nutritiva, attività sessuale, ecc.).
E l’immaginazione? È mettere il pensiero, che è informazione in azione, in immagine.
Immaginare è mettere l’informazione in un’immagine che si realizza per fotogrammi, ossia in scritture di luce, fatte di fotoni, i quali non hanno massa, non sono materia, ma sono reali.
L’immaginazione, pertanto, non è materiale, ma è reale. Un’immagine contiene informazione, trasportata dall’energia fotonica, in modalità iconica e simbolica.
L’anima e il suo linguaggio
Gli psicologi, come il grande C.G. Jung, ci dicono che i simboli sono il linguaggio dell’anima, sostantivo che è stato usato in molti modi e che nell’antichità ha evocato la sopravvivenza di un corpo di luce dopo la fine del nostro corpo materiale.
Guido Tonelli, nel suo ultimo libro: “L’eleganza del vuoto” (Feltrinelli), ci spiega che anche se noi fossimo in grado di togliere tutto quello che c’è, fino a creare un vuoto totale, assoluto, rimarrebbero le leggi della fisica. Cosa sono le leggi? Informazioni strutturate in codici.
Anche l’anima, rimasta per secoli appannaggio delle religioni e della filosofia, sembra aver trovato posto nella scienza moderna.
L’anima, infatti, oggi acquista una sua possibile valenza scientifica grazie al fatto che un team di ricercatori italiani è riuscito per la prima volta a trasformare la luce in un supersolido, ossia in un materiale unico che possiede una caratteristica sorprendente: la viscosità zero, simile a un superfluido, combinata con una struttura ordinata, paragonabile a quella dei cristalli convenzionali.
Gli scienziati sono riusciti a trasformare particelle di luce in un “cristallo” che scorre come un liquido, ma che è allo stesso tempo un solido: è l’incredibile stato della materia chiamato supersolido.
Un “supersolido” a livello quantistico è uno stato della materia che combina la rigidità strutturale tipica dei solidi con quella di fluire senza attrito dei superfluidi.
Dal punto di vista di una possibile riflessione sull’anima, il supersolido risolverebbe la questione di come possa un corpo di luce (l’anima) mantenere coerenza e, allo stesso tempo, non avendo attrito e durare all’infinito.
In altri termini, quanto hanno fatto gli scienziati del Cnr permette di ipotizzare che la Natura consenta all’essere umano di avere un corpo biochimico (bios), materiale, che ha massa e quindi attrito e un corpo di luce, che non ha massa, non ha attrito e, tuttavia, ha coerenza.
L’annuncio della trasformazione della luce in un supersolido paragonabile ad un cristallo convenzionale ha immediatamente riportato alla mente quanto afferma il fisico Carlo Rovelli, quando scrive: “I miti si nutrono di scienza e la scienza si nutre di miti”. [10]
Un corpo di luce è fatto di fotoni, ossia di quanti del campo elettromagnetico. Come può essere che un corpo di fotoni mantenga coerenza in una forma? Come può essere che quanto ci raccontano alcuni miti e alcune tradizioni sapienziali abbia un riscontro scientifico?
Ecco che improvvisamente, con un lampo di luce, la fisica quantistica risponde al quesito.
La creazione di un supersolido di luce rappresenta un entusiasmante punto di partenza per i ricercatori nel campo della fisica quantistica, ma anche un’interessante possibilità di comparare quanto ci consegna la ricerca scientifica con quanto ci ha consegnato la tradizione.
Quello che ci interessa sottolineare è che la luce diventa una sostanza impossibile: rigida come un cristallo ma fluida senza attrito.
Quanto è possibile ottenere in laboratorio lo è in quanto esistono leggi della Natura che lo consentono ed è del tutto possibile che nel grande laboratorio della Natura universale questo processo di cristallizzazione della luce avvenga, senza che ci sia l’intervento umano.
Una sostanza di luce
Proviamo ora ad affrontare la questione dal punto di vista della filosofia nel suo procedere alla definizione della sostanza.
Il termine latino substantia come del resto il termine subjectum è la traduzione del greco hypokeimenon, “ciò che sta sotto”.
Tuttavia nella tradizione filosofica il latino substantia è stato usato piuttosto come traduzione del termine greco ousia, drivante da ousa, participio presente femminile del verbo essere.
Aristotele, nella Metafisica, definisce la sostanza secondo due sensi fondamentali: come sostrato (hypokeimenon) e come essenza (to ti en einai; letteralmente: “che cos’era essere” ciò per cui una certa cosa è ci che è e non un’altra.
Sostanza come essenza dell’essente.
Per quanto riguarda il primo senso Aristotele ritiene che “la forma e il sinolo [siano] sostanza più autenticamente della materia”.
Per quanto riguarda il secondo senso, quello di essenza, Aristotele identifica la sostanza con ciò che è enunciato dalla definizione per genere prossimo e differenza specifica: in questo senso essa non è altro che la forma.
Decartes introduce il concetto di res cogitans, sostanza pensante.
La sostanza pensante, libero spazio di interiorità, viene distinta realmente dalla sostanza estesa (res extensa), pura esteriorità geometrica, e questa distinzione apre alla questione della comunicazione delle due sostanze, risolta da Descartes attraverso il concetto difficilmente dimostrabile di ghiandola pineale.
Leibniz ritiene che le sostanze siano create, individuali, infinite per numero e per gradi di perfezione, attive, spirituali e chiamerà queste sostanze spirituali con il termine “monade”.
Ora, dopo la scoperta dei fisici relativa all’ipersolido di luce, possiamo avanzare l’ipotesi che la sostanza, intesa come sinolo (unione) di forma e materia introdotto da Aristotele possa applicarsi al sinolo di forma e luce.
Se così fosse, avremmo una sostanza materiale e una sostanza di luce.
La materia è un’entità provvista di una propria consistenza fisica ed è dotata di peso e di misura. Nella sua unione con la forma si presenza come sostanza.
La sostanza materiale appartiene alla categoria dei fermioni.
La luce, composta di fotoni, non è materia. Un fotone è privo di massa, appartiene alla categoria dei bosoni e, poiché non decade spontaneamente, la sua vita è infinita.
Se consideriamo l’anima come corpo di luce, la vita infinita del fotone significa vita infinita dell’anima.
Se il ragionamento ha senso, siamo di fronte alla possibile prova scientifica della nostra immortalità.
Interessante quanto scriveva Marie Louise von Franz, allieva e collaboratrice di Jung nel suo: “Il filo di paglia, il tizzone e il fagiolo”: “Si credeva che i grandi saggi e gli alchimisti taoisti letteralmente non morissero; essi spostavano semplicemente la loro psiché nel corpo sottile, il corpo di diamante”. [11]
In altri termini, il corpo di diamante, il cristallo supersolido o corpo di luce, è l’anima.
Marie Louise von Franz, scrive che gli alchimisti “pensavano che il corpo di resurrezione fosse una specie di corpo sottile che si formava lentamente dentro il corpo materiale. […]. Nell’alchimia orientale o cinese – scrive sempre Marie Louise von Franz- il modello di base è simile, soltanto che essi chiamavano il corpo della resurrezione ‘corpo di diamante’”. [12]
Il diamante è il simbolo del Sé. “E’ un simbolo – scrive M.L. Von Franz – della totalità e dunque del Sé in cui le pulsioni animali dell’uomo si riconciliano con la spiritualità e fanno di nuovo un tutt’uno con essa”. [13]
Il diamante, il cristallo di luce, non è più una metafora, un simbolo, un’allegoria; è una realtà.
Possiamo dire che il Sé vive in un corpo di fotoni, così come l’Io vive in un corpo materiale.
Ecco allora che l’arrivo e la partenza dall’esistenza terrena non è più considerabile come un venire dal nulla e tornare nel nulla, ma un cambio di sostanza: dalla sostanza corporea alla sostanza di luce.
Vivere o essere vissuti?
Non ha importanza quanto vivi, ma quanto riesci a dare un senso alla tua vita, per contribuire a dare senso alla vita.
Scrive Emilio Servadio: “Il non iniziato – è stato detto – non tanto «vive», quanto è «vissuto». Ma secondo le vedute iniziatiche, all’origine il corpo, i processi organici, ed anche tutto l’assieme dei processi psichici che nell’uomo comune sfuggono […] al controllo dell’Io cosciente, hanno costituito, per dir così, un «prestito» dato ad un Io che nella sua più profonda e vera essenza era, e potenzialmente è, libero e incondizionato. L’uomo, pertanto, che vuol cominciare veramente a «vivere», sottraendo mano a mano il suo Io alla schiavitù dell’«essere vissuto», deve in primo luogo passare simbolicamente attraverso la «morte»: ossia sottrarre, per lo meno virtualmente, al non-Io (ossia al corpo), all’inconscio, e ai modi abituali di esperienza, la loro, in sostanza, usurpata «primarietà».[14]
In questo processo iniziatico, l’iniziato ritrova la sua anima e il suo nucleo essenziale, mette in relazione il suo Io con il suo Sé e acquisisce coscienza della sua esistenza nelle varie fasi della metamorfosi che costituiscono il passaggio dal corpo di luce al corpo materiale (nascita) e dal corpo materiale al corpo di luce (resurrezione).
In questo processo l’iniziato prende coscienza della realtà per la quale il “nostro più profondo Io supremo, o il Sé, – come scrive Servadio – rappresenta il fondamento metafisico dell’Io empirico contingente. E noi, come realtà ultima e costante, siamo proprio il Sé imperituro, immortale, di là della nascita e della morte”.[15]
L’iniziazione, pertanto, è un percorso che conduce l’essere umano verso la libertà ontologica.
“L’iniziazione, come noi possiamo concepirla – possiamo dire con Emilio Servadio – non è a guardar bene, se non il lento e faticoso addestramento che può portare grado a grado l’uomo a muoversi e a orizzontarsi nel territorio oltre lo specchio, nel mondo del potere e della libertà”.
Da quanto sin qui detto si desume che la Massoneria non è e non può essere un club.
segue
[1] Angelo Tonelli, Pitagora, Maestro segreto, Feltrinelli
[2] Angelo Tonelli, Pitagora, Maestro segreto, Feltrinelli
[3] Angelo Tonelli, Pitagora, Maestro segreto, Feltrinelli
[4] Angelo Tonelli, Pitagora, Maestro segreto, Feltrinelli
[5] Angelo Tonelli, Pitagora, Maestro segreto, Feltrinelli
[6] Emilio Servadio, Passi sulla via iniziatica, Edizioni Mediterranee
[7] Emilio Servadio, Passi sulla via iniziatica, Edizioni Mediterranee
[8] M.L.von Franz, L’individuazione nella fiaba, Bollati Boringhieri
[9] M.L.von Franz, L’individuazione nella fiaba, Bollati Boringhieri
[10] Carlo Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica, Adelphi
[11] M.L.von Franz, Il filo di paglia, il tizzone e il fagiolo, Moretti e Vitali
[12] M.L.von Franz, Il filo di paglia, il tizzone e il fagiolo, Moretti e Vitali
[13] M.L.von Franz, L’individuazione nella fiaba, Bollati Boringhieri
[14] Emilio Servadio, Passi sulla via iniziatica, Edizioni Mediterranee
[15] Emilio Servadio, Passi sulla via iniziatica, Edizioni Mediterranee






