di Silvano Danesi
Il miserevole spettacolo offerto da alcuni ambienti della Massoneria italiana, sul quale non mi soffermo, in quanto argomento profano, pone al mondo iniziatico l’urgenza di un ritorno alle origini.
Il profano, ossia colui che non è iniziato, è fuori dal fanum e il fanum non è necessariamente, come si vuole far credere, un solenne edificio carico di simboli e di decori, ma un luogo sacro generico, un recinto sacro, un luogo consacrato e, nel caso sia un edificio, un sacellum, diminutivo di sacro, un recinto sacro: piccola area recintata senza copertura con al centro un’ara.
È per questo motivo che la copertura della Loggia massonica è il cielo stellato.
La Loggia, a sua volta, è una piccola capanna, una stanza, il cui nome deriva dal latino lubia, equivalente del greco schené (σκηνή), costruzione in legno provvisoria o molto leggera, uno spazio scenico dove si svolge l’evento che, nella fattispecie, è la riunione degli iniziati alla Massoneria, la quale avviene secondo un canone.
Nel 32° grado del Rito scozzese antico ed accettato si parla di campo, ossia di un insieme di tende, di padiglioni e non di edifici.
La fondazione della Gran Loggia di Londra, nel 1717, con la quale gli inglesi sostengono essere nata la Massoneria moderna, è avvenuta con quattro logge riunite in una taverna.
La loggia, in epoca medievale e rinascimentale, era la parte dell’edificio comunicante con l’aperto: luogo di riunioni, motivo per il quale il riunirsi era detto “far loggia”.
Riguardo più specificatamente al mondo massonico, la loggia era una capanna adiacente alla costruenda cattedrale, luogo di riunione e di custodia e, per estensione, si dice loggia anche l’assemblea dei massoni.
Tutta questa premessa etimologica per arrivare al cuore del problema: il tempio, divenuto, con le sue adiacenze e pertinenze, l’oggetto delle dispute profane sulla proprietà di beni materiali che hanno ridotto la Massoneria ad un’immobiliare rissosa.
Accade così che i templi, oggetti di dispute immobiliari e di potere, sono vuoti di idee e di ricerca spirituale, tradizionale e mancano all’appuntamento con l’odierna stagione straordinaria che vede la metafisica coniugarsi con la fisica in un balzo conoscitivo epocale.
Si sono confusi i mattoni della conoscenza con quelli dell’edilizia, trasformando i simboli in banale materiale da costruzione.
Da queste considerazioni nasce l’esigenza di tornare alle origini, ai mattoni della conoscenza, per costruire un percorso conoscitivo, di sé stessi e del mondo, nel fanum, luogo sacro della ricerca che non necessita di niente altro che della volontà dei Fratelli e delle Sorelle e di un essenziale rispetto del canone per garantire la sacralità tradizionale della libera ricerca.
I massoni non si riuniscono in un tempio, ma in una loggia, in un fanum, in un sacellum, in un’area sacra che non è necessariamente un edificio complesso e che, anzi, deve essere un luogo semplice, essenziale, dove solo i simboli, il canone e il lavoro ermeneutico e creativo sono caratterizzanti quell’eteria iniziatica che è la Massoneria.
Un esempio di essenzialità, di amore per la conoscenza, di rispetto della ritualità, è contenuto nel testo di Christian Jacq, l’Architetto.
L’area sacra può essere fissa o mobile, così come lo era la Loggia Campale, meglio se definita “Castrense” o Itinerante, in quanto ha la capacità e l’autorità di spostarsi e di riunirsi in località diverse in base alle esigenze.
Il punto geometrico noto solo ai Figli della Vedova si trova laddove la Loggia Castrense, Campale o Itinerante si riunisce.
La Loggia Castrense consente di esperire la ritualità massonica e il lavoro dei Liberi Muratori anche in assenza di un’Area Sacra completa in tutte le sue parti, così come può anche essere un’Area Sacra fissa, utilizzando la simbologia essenziale e lasciando alla consapevolezza dei Fratelli e delle Sorelle di “immaginare”, ossia di mettere in immagini, la restante parte.
Come scrive Christian Jaq, nel suo saggio: “L’Architetto”: “Il luogo in cui ci troviamo è diventato il nostro Tempio (Area Sacra). Non serve nient‘altro. Uniamo i nostri cuori in fraternità. Abbiamo modificato i nostri metodi di lavoro, purificandoli dalle degenerazioni profane e tornando alle origini dell’arte muratoria. Anche se non costruiamo più delle cattedrali di pietra, i progetti di lavoro che abbiamo in corso non sono meno importanti”.
Sia essa fissa o campale, itinerante o castrense, l’Area Sacra è il luogo nel quale si svolgono a pieno titolo i lavori massonici, secondo canone rituale, riferimento alla tradizione e capacità ermeneutica e di attualizzazione delle radici sapienziali, con un unico obiettivo: la conoscenza.
La tradizione è un archetipo, un modello originario, un modello dell’arché; è, secondo Jung, un’immagine primordiale contenuta nell’inconscio collettivo, la quale riunisce le esperienze della specie umana costituendo gli elementi simbolici delle fiabe, dei sogni, dei miti.
La tradizione, da tradĕre: consegnare, è anche una consegna, una trasmissione di un sapere accumulato nei secoli ed è memoria culturale, l’esatto opposto della cancel culture propria delle dittature che, volendo azzerare la storia, la cultura, le radici, azzerano l’essere umano.
“Quando una pratica mimetica assume lo status di «rito», ossia possiede una valenza significante in aggiunta a quella funzionale – scrive Jan Assmann – , si oltrepassa l’ambito della memoria del fare mimetico: i riti appartengono alla memoria culturale perché rappresentano una forma di trasmissione e di attualizzazione del senso culturale”.[i]
Come ben spiega sempre Assmann, “tutti i riti posseggono questo doppio aspetto di ripetizione e di attualizzazione”.[ii] Assmann chiama séder l’ordine e la ripetizione e haggadásh la raccolta di interpretazioni e l’attualizzazione ermeneutica.
Non c’è bisogno di strutture pompose per trasmettere e attualizzare la tradizione, ma di volontà e di amore per la conoscenza.
Importante, nella trasmissione, è il concetto di canone. “Con il concetto di «canone» – scrive Assmann – individueremo il principio che intensifica la struttura connettiva di una cultura nel senso della resistenza al tempo e dell’invarianza”. [iii]
Secondo Assmann, “il principio base di ogni struttura connettiva è la ripetizione” e “seguendo lo stesso «ordine» ogni celebrazione si ripete all’infinito come pattner [schema, ndr] ornamentale. Chiameremo questo principio «coerenza rituale»”. [iv]
La ripetizione rituale, inoltre, “assicura la coerenza del gruppo nello spazio e nel tempo”. [v]
Per canone, pertanto, come scrive Assmann, “intendiamo quella forma della tradizione in cui quest’ultima raggiunge il suo grado vincolante più alto rispetto al contenuto e la sua massima fissazione formale; non si può raggiungere, né levare, né cambiare nulla”. [vi]
Il rito, però, è anche “l’attualizzazione di un senso”[vii]
Ed è qui che interviene l’haggadásh, la raccolta di interpretazioni e l’attualizzazione ermeneutica e qui troviamo il senso del riunirsi insieme, dell’essere presenti personalmente, dello scambiare la ricerca e l’esperienza personale con le altre ricerche e con le altre esperienze personali, per far sorgere nuove domande.
Il valore della riunione dei massoni, del far loggia, è nella condivisione di conoscenza, esperienza, interpretazione ermeneutica; nel porsi domande e cercare risposte alle sfide dell’attualità, cercando il sostegno della tradizione.
Oggi più che mai, in un tempo nel quale metafisica e fisica si toccano fino a confondersi, la riflessione massonica dovrebbe essere propedeutica ad un impegno fattivo nella realtà, realizzando l’impegno a lavorare per il progresso dell’umanità.
Un grande valore, in un periodo di isolamento sociale, ha il ritrovarsi, il dialogare, il confrontarsi, non solo in Loggia, ma anche durante le agapi. Il ritrovarsi riporta l’essere umano alla socialità, allo scambio, alla formazione di un’eggregora che è il frutto di un confronto senza pregiudizi, volto alla sola ricerca della verità.
V’è, oltre a quanto sin qui esposto, un aspetto devastante che va risolto ed è la questione della legittimazione inglese, al quale si accompagna la ricerca ossessiva di patenti, certificazioni di discendenze, che sono, a ben vedere, vuote rivendicazioni di identità, quando l’identità iniziatica e tradizionale è stata perduta nella profanizzazione dell’eteria ridotta a immobiliare o club.
Un esempio eclatante, fonte di molti disastri, è la fondazione, nel 1717, della Gran Loggia di Londra propagandata come inizio della Massoneria moderna e speculativa, quasi che la Massoneria antica e operativa fosse un consesso di ignoranti operai della pietra. Nulla di più falso.
Lo stesso vale per la sostituzione degli Old Charges con i Landmarks scritti da un prete protestante al servizio della dinastia degli Hannover.
“Il passato consolidato e interiorizzato come storia fondante – scrive Assmann – è mito, del tutto a prescindere dal problema se esso sia fittizio o reale. […]. Il mito è il passato condensato in storia fondante”.
Gli Old Charges sono miti fondanti, che rimandano a personaggi fondanti come Euclide, Pitagora, Ermete Trismegisto. Il primo icona della scienza. Il secondo icona dell’iniziazione iatromantica. Il terzo icona della sapienza egizia, radice di tradizioni che si perdono nella notte dei tempi.
Le regole di un pastore protestante non hanno la dignità di un mito fondante.
Il coraggio di tornare alle origini è anche il coraggio di tornare ai miti fondanti, andando oltre le regole di Anderson che sono quelle di una casa reale che si è appropriata della tradizione massonica con la stessa logica con la quale si è appropriata del cristianesimo, con la pretesa di essere fonte autentica, relegando ad una sorta di preistoria operativa quella che era ed è la vera, autentica, tradizione massonica.
Il surrogato si è fatto origine.
Nella storia del 1717 quale anno fondativo e nella pretesa di distribuire legittimità da parte della Massoneria inglese c’è una profana logica coloniale che nulla ha a che fare con l’universalità dell’eteria iniziatica alla quale ci riferiamo.
Tornare alle origini significa anche uscire dalle logiche profane e geopolitiche di conquiste territoriali per essere nuovamente loggia operante in un cantiere di costruzione di capolavori di conoscenza.
Tornare alle origini significa abbandonare denaro e potere, patenti e inchini a presunte autorità, per riconoscere l’unica vera autorità: l’amore per la ricerca della conoscenza di sé stessi e dell’universo e delle leggi che lo regolano e che ci regolano.
[i] Jan Assmann, La memoria culturale, Einaudi
[ii] Jan Assmann, La memoria culturale, Einaudi
[iii] Jan Assmann, La memoria culturale, Einaudi
[iv] Jan Assmann, La memoria culturale, Einaudi
[v] Jan Assmann, La memoria culturale, Einaudi
[vi] Jan Assmann, La memoria culturale, Einaudi
[vii] Jan Assmann, La memoria culturale, Einaudi
by Silvano Danesi
The profane, that is, one who is not initiated, stands outside the fanum, and the fanum is not necessarily, as some would have us believe, a solemn building laden with symbols and decorations, but rather a generic sacred place, a sacred enclosure, a consecrated space and, if it is a building, a sacellum—a diminutive of sacred—a small, uncovered, fenced area with an altar at its center.
This is why the ceiling of a Masonic Lodge is the starry sky.
The Lodge, in turn, is a small hut, a room, whose name derives from the Latin lubia, equivalent to the Greek schené (σκηνή), a temporary or very lightweight wooden structure, a scenic space where the event takes place—in this case, the gathering of those initiated into Freemasonry, which occurs according to a canon.
In the 32nd degree of the Ancient and Accepted Scottish Rite, reference is made to a camp, that is, a collection of tents or pavilions, not buildings.
The founding of the Grand Lodge of London in 1717, which the English claim marks the birth of modern Freemasonry, occurred with four lodges meeting in a tavern.
In medieval and Renaissance times, the lodge was the part of a building open to the outdoors: a meeting place, which is why gathering was called “making lodge.”
More specifically, in the Masonic world, the lodge was a hut adjacent to a cathedral under construction, a place for meetings and safekeeping, and by extension, the term lodge also refers to the assembly of Freemasons.
Thus, it happens that temples, the subjects of property and power disputes, are empty of ideas and spiritual, traditional inquiry, failing to meet the extraordinary demands of this era, which sees metaphysics merging with physics in an epochal leap of knowledge.
The bricks of knowledge have been confused with those of construction, turning symbols into mere building materials.
From these considerations arises the need to return to the origins, to the bricks of knowledge, to build a path of understanding—of oneself and the world—within the fanum, the sacred place of inquiry that requires nothing more than the will of the Brothers and Sisters and an essential adherence to the canon to ensure the traditional sanctity of free inquiry.
Freemasons do not gather in a temple but in a lodge, in a fanum, in a sacellum, in a sacred area that is not necessarily a complex building and, indeed, must be a simple, essential place where only the symbols, the canon, and the hermeneutic and creative work define that initiatic community which is Freemasonry.
An example of simplicity, love for knowledge, and respect for ritual can be found in Christian Jacq’s text, The Architect.
The sacred area can be fixed or mobile, as was the case with the Field Lodge, better defined as “Castrense” or Itinerant, as it has the capacity and authority to move and convene in different locations according to need.
The geometric point known only to the Sons of the Widow is located wherever the Castrense, Field, or Itinerant Lodge gathers.
The Castrense Lodge allows the experience of Masonic ritual and the work of Free Masons even in the absence of a fully equipped Sacred Area, just as it can also be a fixed Sacred Area, using essential symbolism and leaving it to the awareness of the Brothers and Sisters to “imagine”—that is, to visualize—the remaining parts.
As Christian Jacq writes in his essay The Architect: “The place where we find ourselves has become our Temple (Sacred Area). Nothing else is needed. We unite our hearts in fraternity. We have modified our working methods, purifying them of profane degenerations and returning to the origins of the masonic art. Even if we no longer build stone cathedrals, the work projects we are undertaking are no less important.”
Whether fixed, field, itinerant, or castrense, the Sacred Area is the place where Masonic work is fully carried out, according to ritual canon, reference to tradition, and hermeneutic capacity and updating of wisdom’s roots, with a single goal: knowledge.
Tradition, from tradĕre (to hand down), is also a delivery, a transmission of knowledge accumulated over centuries, and cultural memory—the exact opposite of the cancel culture typical of dictatorships that, by seeking to erase history, culture, and roots, erase the human being.
“When a mimetic practice assumes the status of a ‘rite,’ that is, it possesses a signifying value beyond its functional one,” writes Jan Assmann, “it transcends the realm of mimetic memory: rites belong to cultural memory because they represent a form of transmission and actualization of cultural meaning.”
As Assmann further explains, “all rites possess this dual aspect of repetition and actualization.” Assmann calls séder the order and repetition and haggadásh the collection of interpretations and hermeneutic actualization.
There is no need for pompous structures to transmit and actualize tradition, but rather the will and love for knowledge.
In transmission, the concept of canon is crucial. “With the concept of ‘canon,’” writes Assmann, “we identify the principle that strengthens the connective structure of a culture in terms of resistance to time and invariance.”
According to Assmann, “the basic principle of every connective structure is repetition,” and “following the same ‘order,’ every celebration repeats itself infinitely as an ornamental pattern. We will call this principle ‘ritual coherence.’”
Ritual repetition, moreover, “ensures the group’s coherence in space and time.”
Thus, by canon, as Assmann writes, “we mean that form of tradition in which it reaches its highest degree of binding content and its utmost formal fixation; nothing can be added, removed, or changed.”
Yet the rite is also “the actualization of meaning.”
And here enters haggadásh, the collection of interpretations and hermeneutic actualization, and here we find the meaning of gathering together, of being personally present, of sharing personal research and experience with others’ research and experiences, to give rise to new questions.
The value of Freemasons gathering, of “making lodge,” lies in the sharing of knowledge, experience, and hermeneutic interpretation; in asking questions and seeking answers to the challenges of the present, drawing support from tradition.
Now more than ever, in a time when metaphysics and physics touch and even blur into one another, Masonic reflection should be a precursor to active engagement in reality, fulfilling the commitment to work for humanity’s progress.
In a period of social isolation, coming together, dialoguing, and engaging has great value—not only in the Lodge but also during agapes. Coming together restores the human being to sociality, exchange, and the formation of an egregore that is the fruit of unprejudiced confrontation aimed solely at the pursuit of truth.
A glaring example, the source of many disasters, is the founding of the Grand Lodge of London in 1717, promoted as the beginning of modern, speculative Freemasonry, as if ancient, operative Freemasonry were a mere assembly of ignorant stone workers. Nothing could be further from the truth.
The same applies to the replacement of the Old Charges with the Landmarks, written by a Protestant pastor in the service of the Hanover dynasty.
“The past, consolidated and internalized as foundational history,” writes Assmann, “is myth, entirely regardless of whether it is fictitious or real. […] Myth is the past condensed into foundational history.”
The Old Charges are founding myths, referring to foundational figures like Euclid, Pythagoras, and Hermes Trismegistus: the first an icon of science, the second an icon of iatromantic initiation, the third an icon of Egyptian wisdom, the root of traditions lost in the mists of time.
The rules of a Protestant pastor lack the dignity of a founding myth.
The courage to return to the origins is also the courage to return to founding myths, moving beyond Anderson’s rules, which belong to a royal house that appropriated Masonic tradition with the same logic it used to appropriate Christianity, claiming to be the authentic source and relegating to a sort of operative prehistory what was, and is, the true, authentic Masonic tradition.
The surrogate has become the origin.
In the narrative of 1717 as a founding year and in the English Masonic claim to distribute legitimacy lies a profane colonial logic that has nothing to do with the universality of the initiatic community we refer to.
Returning to the origins also means stepping out of profane and geopolitical logics of territorial conquest to once again become a lodge operating in a workshop crafting masterpieces of knowledge.
Returning to the origins means abandoning money and power, patents and bows to supposed authorities, to recognize the only true authority: the love for the pursuit of knowledge of oneself, the universe, and the laws that govern it and us.
MASSONNERIE, RETOUR AUX ORIGINES
par Silvano Danesi
Le profane, c’est-à-dire celui qui n’est pas initié, se trouve hors du fanum, et le fanum n’est pas nécessairement, comme on veut le faire croire, un édifice solennel chargé de symboles et de décorations, mais un lieu sacré générique, un enclos sacré, un espace consacré et, s’il s’agit d’un bâtiment, un sacellum, diminutif de sacré, un petit enclos sacré : une petite aire délimitée sans couverture, avec un autel en son centre.
C’est pour cette raison que le plafond de la loge maçonnique est le ciel étoilé.
La loge, quant à elle, est une petite cabane, une pièce, dont le nom dérive du latin lubia, équivalent du grec schené (σκηνή), une construction en bois temporaire ou très légère, un espace scénique où se déroule l’événement qui, en l’occurrence, est la réunion des initiés à la franc-maçonnerie, laquelle se tient selon un canon.
Au 32e degré du Rite écossais ancien et accepté, on parle de camp, c’est-à-dire d’un ensemble de tentes, de pavillons, et non de bâtiments.
La fondation de la Grande Loge de Londres, en 1717, dont les Anglais prétendent qu’elle marque la naissance de la franc-maçonnerie moderne, s’est faite avec quatre loges réunies dans une taverne.
La loge, à l’époque médiévale et renaissante, était la partie d’un bâtiment en communication avec l’extérieur : un lieu de réunions, raison pour laquelle se réunir était appelé « faire loge ».
Plus spécifiquement dans le monde maçonnique, la loge était une cabane adjacente à la cathédrale en construction, lieu de réunion et de conservation, et, par extension, on appelle aussi loge l’assemblée des maçons.
Toute cette prémisse étymologique pour arriver au cœur du problème : le temple, devenu, avec ses annexes et dépendances, l’objet de disputes profanes sur la propriété de biens matériels qui ont réduit la franc-maçonnerie à une immobilière querelleuse.
Il arrive ainsi que les temples, objets de conflits immobiliers et de pouvoir, soient vidés d’idées et de recherche spirituelle, traditionnelle, et manquent le rendez-vous avec la saison extraordinaire que nous vivons aujourd’hui, où la métaphysique se conjugue avec la physique dans un bond cognitif historique.
On a confondu les briques de la connaissance avec celles de la construction, transformant les symboles en vulgaire matériau de bâtiment.
De ces considérations naît le besoin de revenir aux origines, aux briques de la connaissance, pour construire un parcours cognitif, de soi-même et du monde, dans le fanum, lieu sacré de la recherche qui n’a besoin de rien d’autre que de la volonté des Frères et des Sœurs et d’un respect essentiel du canon pour garantir la sacralité traditionnelle de la libre recherche.
Les maçons ne se réunissent pas dans un temple, mais dans une loge, dans un fanum, dans un sacellum, dans une aire sacrée qui n’est pas nécessairement un édifice complexe et qui, au contraire, doit être un lieu simple, essentiel, où seuls les symboles, le canon et le travail herméneutique et créatif caractérisent cette éthérée initiatique qu’est la franc-maçonnerie.
Un exemple d’essentiel, d’amour pour la connaissance, de respect de la ritualité, est contenu dans le texte de Christian Jacq, L’Architecte.
L’aire sacrée peut être fixe ou mobile, comme l’était la Loge Campale, mieux définie comme « Castrense » ou Itinérante, car elle a la capacité et l’autorité de se déplacer et de se réunir en différents lieux selon les besoins.
Le point géométrique connu uniquement des Fils de la Veuve se trouve là où la Loge Castrense, Campale ou Itinérante se réunit.
La Loge Castrense permet de vivre la ritualité maçonnique et le travail des Libres Maçons même en l’absence d’une Aire Sacrée complète dans toutes ses parties, tout comme elle peut être une Aire Sacrée fixe, en utilisant une symbologie essentielle et en laissant à la conscience des Frères et des Sœurs le soin d’« imaginer », c’est-à-dire de mettre en images, la partie restante.
Comme l’écrit Christian Jacq dans son essai L’Architecte : « Le lieu où nous nous trouvons est devenu notre Temple (Aire Sacrée). Rien d’autre n’est nécessaire. Unissons nos cœurs dans la fraternité. Nous avons modifié nos méthodes de travail, les purifiant des dégénérescences profanes et revenant aux origines de l’art maçonnique. Même si nous ne construisons plus des cathédrales de pierre, les projets de travail que nous menons ne sont pas moins importants. »
Qu’elle soit fixe, campale, itinérante ou castrense, l’Aire Sacrée est le lieu où se déroulent pleinement les travaux maçonniques, selon le canon rituel, en référence à la tradition et avec une capacité herméneutique et d’actualisation des racines sapientiales, dans un seul but : la connaissance.
La tradition est un archétype, un modèle originel, un modèle de l’arché ; selon Jung, elle est une image primordiale contenue dans l’inconscient collectif, qui réunit les expériences de l’espèce humaine en constituant les éléments symboliques des contes, des rêves, des mythes.
La tradition, du latin tradĕre : transmettre, est aussi une transmission, un legs d’un savoir accumulé au fil des siècles, une mémoire culturelle, l’exact opposé de la cancel culture propre aux dictatures qui, en voulant effacer l’histoire, la culture, les racines, annihilent l’être humain.
« Lorsqu’une pratique mimétique acquiert le statut de « rite », c’est-à-dire qu’elle possède une valeur signifiante en plus de sa fonction – écrit Jan Assmann –, on dépasse le domaine de la mémoire du faire mimétique : les rites appartiennent à la mémoire culturelle car ils représentent une forme de transmission et d’actualisation du sens culturel. »
Comme l’explique encore Assmann, « tous les rites possèdent ce double aspect de répétition et d’actualisation ». Assmann appelle séder l’ordre et la répétition, et haggadásh le recueil des interprétations et l’actualisation herméneutique.
Nul besoin de structures pompeuses pour transmettre et actualiser la tradition, mais de volonté et d’amour pour la connaissance.
Dans la transmission, le concept de canon est essentiel. « Avec le concept de « canon » – écrit Assmann –, nous désignons le principe qui renforce la structure connective d’une culture dans le sens de la résistance au temps et de l’invariance. »
Selon Assmann, « le principe de base de toute structure connective est la répétition » et « en suivant le même « ordre », chaque célébration se répète à l’infini comme un motif ornemental. Nous appellerons ce principe « cohérence rituelle ». »
La répétition rituelle, en outre, « assure la cohérence du groupe dans l’espace et dans le temps ».
Par canon, donc, comme l’écrit Assmann, « nous entendons cette forme de la tradition dans laquelle elle atteint son degré le plus contraignant quant au contenu et sa fixation formelle maximale ; on ne peut ni y ajouter, ni en retrancher, ni la modifier. »
Le rite, cependant, est aussi « l’actualisation d’un sens ».
Et c’est là qu’intervient le haggadásh, le recueil des interprétations et l’actualisation herméneutique, et c’est là que réside le sens de se réunir, d’être présents personnellement, d’échanger la recherche et l’expérience personnelle avec les autres recherches et expériences, pour faire naître de nouvelles questions.
La valeur de la réunion des maçons, du « faire loge », réside dans le partage de la connaissance, de l’expérience, de l’interprétation herméneutique ; dans le fait de poser des questions et de chercher des réponses aux défis de l’actualité, en s’appuyant sur la tradition.
Aujourd’hui plus que jamais, à une époque où métaphysique et physique se touchent jusqu’à se confondre, la réflexion maçonnique devrait être un prélude à un engagement concret dans la réalité, concrétisant l’engagement à travailler pour le progrès de l’humanité.
Dans une période d’isolement social, retrouver, dialoguer, se confronter, non seulement en loge mais aussi lors des agapes, a une grande valeur. Se retrouver ramène l’être humain à la socialité, à l’échange, à la formation d’une égrégore issue d’une confrontation sans préjugés, visant uniquement la recherche de la vérité.
Il existe, outre ce qui a été exposé jusqu’ici, un aspect dévastateur à résoudre : la question de la légitimation anglaise, accompagnée d’une quête obsessive /
Un exemple frappant, source de nombreux désastres, est la fondation en 1717 de la Grande Loge de Londres, présentée comme le début de la franc-maçonnerie moderne et spéculative, comme si la franc-maçonnerie ancienne et opérative n’était qu’un rassemblement d’ouvriers ignorants de la pierre. Rien n’est plus faux.
Il en va de même pour le remplacement des Old Charges par les Landmarks, écrits par un prêtre protestant au service de la dynastie des Hanovre.
« Le passé consolidé et intériorisé comme histoire fondatrice – écrit Assmann – est un mythe, indépendamment du problème de savoir s’il est fictif ou réel. […] Le mythe est le passé condensé en histoire fondatrice. »
Les Old Charges sont des mythes fondateurs, qui renvoient à des figures fondatrices comme Euclide, Pythagore, Hermès Trismégiste. Le premier, icône de la science. Le second, icône de l’initiation iatromantique. Le troisième, icône de la sagesse égyptienne, racine de traditions qui se perdent dans la nuit des temps.
Les règles d’un pasteur protestant n’ont pas la dignité d’un mythe fondateur.
Le courage de revenir aux origines est aussi le courage de revenir aux mythes fondateurs, en dépassant les règles d’Anderson, qui sont celles d’une maison royale ayant accaparé la tradition maçonnique avec la même logique qu’elle a utilisée pour s’approprier le christianisme, prétendant être une source authentique et reléguant à une sorte de préhistoire opérative ce qui était et reste la véritable tradition maçonnique authentique.
Le substitut s’est fait origine.
Dans l’histoire de 1717 comme année fondatrice et dans la prétention de distribuer une légitimité par la franc-maçonnerie anglaise, il y a une logique profane et coloniale qui n’a rien à voir avec l’universalité de l’éthérée initiatique à laquelle nous nous référons.
Revenir aux origines signifie aussi sortir des logiques profanes et géopolitiques de conquêtes territoriales pour redevenir une loge opérante dans un chantier de construction de chefs-d’œuvre de connaissance.
Revenir aux origines signifie abandonner l’argent et le pouvoir, les patentes et les courbettes à des prétendues autorités, pour reconnaître la seule véritable autorité : l’amour pour la recherche de la connaissance de soi-même, de l’univers et des lois qui le régissent et nous régissent.
El profano, es decir, aquel que no está iniciado, se encuentra fuera del fanum, y el fanum no es necesariamente, como se quiere hacer creer, un solemne edificio cargado de símbolos y decoraciones, sino un lugar sagrado genérico, un recinto sagrado, un espacio consagrado y, en caso de ser un edificio, un sacellum, diminutivo de sagrado, un recinto sacro: una pequeña área delimitada sin cubierta, con un altar en el centro.
Es por esta razón que la cobertura de la Logia masónica es el cielo estrellado.
La Logia, a su vez, es una pequeña cabaña, una habitación, cuyo nombre deriva del latín lubia, equivalente al griego schené (σκηνή), una construcción provisional de madera o muy ligera, un espacio escénico donde se desarrolla el evento que, en este caso, es la reunión de los iniciados en la Masonería, la cual se lleva a cabo según un canon.
En el grado 32 del Rito Escocés Antiguo y Aceptado se habla de campo, es decir, un conjunto de tiendas, de pabellones, y no de edificios.
La fundación de la Gran Logia de Londres, en 1717, con la que los ingleses sostienen que nació la Masonería moderna, tuvo lugar con cuatro logias reunidas en una taberna.
La logia, en la época medieval y renacentista, era la parte del edificio que comunicaba con el exterior: lugar de reuniones, razón por la cual reunirse se denominaba “hacer logia”.
Más específicamente en el mundo masónico, la logia era una cabaña adyacente a la catedral en construcción, lugar de reunión y custodia y, por extensión, se denomina logia también a la asamblea de los masones.
Toda esta premisa etimológica para llegar al núcleo del problema: el templo, que, con sus adyacencias y pertenencias, se ha convertido en el objeto de disputas profanas sobre la propiedad de bienes materiales que han reducido a la Masonería a una inmobiliaria conflictiva.
Sucede así que los templos, objetos de disputas inmobiliarias y de poder, están vacíos de ideas y de búsqueda espiritual, tradicional, y faltan a la cita con la extraordinaria temporada actual, que ve a la metafísica unirse a la física en un salto cognoscitivo epocal.
Se han confundido los ladrillos del conocimiento con los de la construcción, transformando los símbolos en banal material edilicio.
De estas consideraciones surge la necesidad de volver a los orígenes, a los ladrillos del conocimiento, para construir un camino cognoscitivo, de uno mismo y del mundo, en el fanum, lugar sagrado de la búsqueda que no necesita de nada más que de la voluntad de los Hermanos y las Hermanas y de un esencial respeto del canon para garantizar la sacralidad tradicional de la libre investigación.
Los masones no se reúnen en un templo, sino en una logia, en un fanum, en un sacellum, en un área sagrada que no es necesariamente un edificio complejo y que, por el contrario, debe ser un lugar simple, esencial, donde solo los símbolos, el canon y el trabajo hermenéutico y creativo caracterizan esa hetería iniciática que es la Masonería.
Un ejemplo de esencialidad, de amor por el conocimiento, de respeto por la ritualidad, está contenido en el texto de Christian Jacq, El Arquitecto.
El área sagrada puede ser fija o móvil, como lo era la Logia Campal, mejor definida como “Castrense” o Itinerante, ya que tiene la capacidad y la autoridad de desplazarse y reunirse en diferentes lugares según las necesidades.
El punto geométrico conocido solo por los Hijos de la Viuda se encuentra allí donde la Logia Castrense, Campal o Itinerante se reúne.
La Logia Castrense permite experimentar la ritualidad masónica y el trabajo de los Libres Muradores incluso en ausencia de un Área Sagrada completa en todas sus partes, así como puede ser también un Área Sagrada fija, utilizando la simbología esencial y dejando a la conciencia de los Hermanos y las Hermanas “imaginar”, es decir, poner en imágenes, la parte restante.
Como escribe Christian Jacq en su ensayo El Arquitecto: “El lugar en el que nos encontramos se ha convertido en nuestro Templo (Área Sagrada). No necesitamos nada más. Unimos nuestros corazones en fraternidad. Hemos modificado nuestros métodos de trabajo, purificándolos de las degeneraciones profanas y volviendo a los orígenes del arte masónico. Aunque ya no construyamos catedrales de piedra, los proyectos de trabajo que tenemos en curso no son menos importantes”.
Sea fija o campal, itinerante o castrense, el Área Sagrada es el lugar donde se desarrollan plenamente los trabajos masónicos, según el canon ritual, la referencia a la tradición y la capacidad hermenéutica y de actualización de las raíces sapienciales, con un único objetivo: el conocimiento.
La tradición es un arquetipo, un modelo originario, un modelo del arché; es, según Jung, una imagen primordial contenida en el inconsciente colectivo, que reúne las experiencias de la especie humana constituyendo los elementos simbólicos de los cuentos, los sueños, los mitos.
La tradición, del latín tradĕre: entregar, es también una entrega, una transmisión de un saber acumulado durante siglos y es memoria cultural, lo opuesto exacto a la cancel culture propia de las dictaduras que, al querer borrar la historia, la cultura, las raíces, anulan al ser humano.
“Cuando una práctica mimética adquiere el estatus de ‘rito’, es decir, posee una valencia significativa además de la funcional – escribe Jan Assmann –, se trasciende el ámbito de la memoria del hacer mimético: los ritos pertenecen a la memoria cultural porque representan una forma de transmisión y actualización del sentido cultural”.
Como explica también Assmann, “todos los ritos poseen este doble aspecto de repetición y actualización”. Assmann llama séder al orden y la repetición, y haggadásh a la recopilación de interpretaciones y la actualización hermenéutica.
No se necesitan estructuras pomposas para transmitir y actualizar la tradición, sino voluntad y amor por el conocimiento.
Importante, en la transmisión, es el concepto de canon. “Con el concepto de ‘canon’ – escribe Assmann – identificaremos el principio que intensifica la estructura conectiva de una cultura en el sentido de la resistencia al tiempo y de la invariancia”.
Según Assmann, “el principio básico de toda estructura conectiva es la repetición” y “siguiendo el mismo ‘orden’, cada celebración se repite infinitamente como un patrón ornamental. Llamaremos a este principio ‘coherencia ritual’”.
La repetición ritual, además, “asegura la coherencia del grupo en el espacio y en el tiempo”.
Por canon, por lo tanto, como escribe Assmann, “entendemos esa forma de la tradición en la que esta alcanza su grado más alto de vinculación respecto al contenido y su máxima fijación formal; no se puede añadir, quitar ni cambiar nada”.
Sin embargo, el rito es también “la actualización de un sentido”.
Y aquí interviene el haggadásh, la recopilación de interpretaciones y la actualización hermenéutica, y aquí encontramos el sentido de reunirse juntos, de estar presentes personalmente, de intercambiar la búsqueda y la experiencia personal con las otras búsquedas y experiencias personales, para dar lugar a nuevas preguntas.
El valor de la reunión de los masones, del “hacer logia”, está en la compartición del conocimiento, la experiencia, la interpretación hermenéutica; en plantearse preguntas y buscar respuestas a los desafíos de la actualidad, buscando el apoyo de la tradición.
Hoy más que nunca, en un tiempo en el que metafísica y física se tocan hasta confundirse, la reflexión masónica debería ser propedéutica a un compromiso activo en la realidad, realizando el compromiso de trabajar por el progreso de la humanidad.
Un gran valor, en un período de aislamiento social, tiene el encontrarse, el dialogar, el confrontarse, no solo en la Logia, sino también durante las ágapes. El encontrarse devuelve al ser humano a la socialidad, al intercambio, a la formación de una egregora que es el fruto de un confronto sin prejuicios, orientado únicamente a la búsqueda de la verdad.
Hay, además de lo expuesto hasta aquí, un aspecto devastador que debe resolverse, y es la cuestión de la legitimación inglesa, acompañada de la búsqueda obsesiva de patentes, certificaciones de linajes, que son, a fin de cuentas, vacías reivindicaciones de identidad, cuando la identidad iniciática y tradicional se ha perdido en la profanación de la hetería reducida a inmobiliaria o club.
Un ejemplo evidente, fuente de muchos desastres, es la fundación, en 1717, de la Gran Logia de Londres, propagandizada como el inicio de la Masonería moderna y especulativa, como si la Masonería antigua y operativa fuera un conjunto de ignorantes obreros de la piedra. Nada más falso.
Lo mismo ocurre con la sustitución de los Old Charges por los Landmarks, escritos por un sacerdote protestante al servicio de la dinastía de los Hannover.
“El pasado consolidado e interiorizado como historia fundacional – escribe Assmann – es mito, independientemente del problema de si es ficticio o real. […] El mito es el pasado condensado en historia fundacional”.
Los Old Charges son mitos fundacionales, que remiten a personajes fundacionales como Euclides, Pitágoras, Hermes Trismegisto. El primero, ícono de la ciencia. El segundo, ícono de la iniciación iatromántica. El tercero, ícono de la sabiduría egipcia, raíz de tradiciones que se pierden en la noche de los tiempos.
Las reglas de un pastor protestante no tienen la dignidad de un mito fundacional.
El coraje de volver a los orígenes es también el coraje de regresar a los mitos fundacionales, yendo más allá de las reglas de Anderson, que son las de una casa real que se apropió de la tradición masónica con la misma lógica con la que se apropió del cristianismo, con la pretensión de ser fuente auténtica, relegando a una especie de prehistoria operativa lo que era y es la verdadera, auténtica tradición masónica.
El sucedáneo se ha hecho origen.
En la historia de 1717 como año fundacional y en la pretensión de distribuir legitimidad por parte de la Masonería inglesa hay una lógica profana colonial que nada tiene que ver con la universalidad de la hetería iniciática a la que nos referimos.
Volver a los orígenes significa también salir de las lógicas profanas y geopolíticas de conquistas territoriales para ser nuevamente una logia operante en un taller de construcción de obras maestras del conocimiento.
Volver a los orígenes significa abandonar el dinero y el poder, las patentes y las reverencias a supuestas autoridades, para reconocer la única autoridad verdadera: el amor por la búsqueda del conocimiento de uno mismo y del universo y de las leyes que lo regulan y nos regulan.