di Augusto Vassselli
Con il termine alchimia si intende l’insieme delle teorie e le connesse tecniche operative che si riferiscono a ciò che può consentire la trasmutazione dei metalli in oro, e, soprattutto, allegoricamente le metodologie volte all’ottenimento della pietra filosofale, ovvero la trasformazione e l’elevazione dell’essere umano. Con la parola alchimia si intende, altresì, la tecnica atta a trasformare gli elementi.
Il vocabolo alchimia origina da kīmiyā’, che in arabo è il nome dato al reagente necessario alla trasformazione dei metalli, che è chiamato nel mondo occidentale anche lapis philosophorum o pietra filosofale.
Nozioni e conoscenze analoghe a quelle dateci dalla alchimia sono rilevabili anche nella civiltà cinese e in quella indiana, ma l’influenza diretta arrivata a noi è originata nell’antico Egitto, che mediante la cultura alessandrina e siriaca arriva alla anche a quella islamica, il cui esponente di rilievo fu Geber (Giābir ibn Ḥayyān).
Infatti, proprio attraverso la cultura araba, l’occidente riscopre l’alchimia, ovvero la tradizione espressa mediante la metodologia alchemica, riportando la stessa, in particolare nel tardo medio evo e nel rinascimento, all’attenzione degli eruditi e di coloro che ricercano la propria evoluzione, soprattutto interiore.
L’alchimia nasce in epoca ellenistica allorchè si uniscono elementi del pensiero greco con elementi derivati della religiosità egiziana. Lo stesso termine, “alchimia” è appunto anche etimologicamente derivato, oltre che dal nome arabo di un reagente, anche da un attributo di Iside, “la nera” (kemia in egiziano).
Non a caso il ciclo riferito all’operatività alchemica ripete, nei suoi significati, il ciclo di Osiride, così come tramandatoci da Plutarco. Ciclo di morte-rinascita, tipico dei culti agrari originatisi nel neolitico, presenti ovunque nel Mediterraneo e rimasti alla base dei cicli misterici ed iniziatici noti in epoche remote, come è stato splendidamente sottolineato anche dal punto di vista psicologico da Erich Neumann.
L’alchimia, ovvero il metodo da essa offerto, può essere quindi considerato un lavoro di ampliamento della coscienza; attraverso una discesa (descensus) nel buio della materia informe, seguito da una successiva ascesa (ascensus, sublimatio) che libera la “anima del mondo” (anima mundi, identificabile con l’imago Dei, vinum ardens, spiritus mercurialis, la quintessenza, ecc.).
Il processo alchemico, come ogni ambito tradizionale, si rifà pertanto al senso originario dei cicli iniziatici, che ricercano anche il superamento della paura di morire, attraverso la partecipazione alla ciclicità della natura, riferita spesso all’allegoria connessa alla crescita del grano (basta ricordare la ostensione della spiga a Eleusi), che rinasce dopo la morte (la putrefazione e la germinazione del seme).
Le fasi del processo alchemico sono descritte in modo vario e diverso a seconda degli autori, anche se i significati analogici restano gli stessi, al di là dell’infinita varietà dei nomi. L’enorme varietà descrittiva è infatti da attribuirsi alla interiorizzazione operata dagli alchimisti, che ha dato luogo a termini, personalissimi e per di più volutamente oscuri, per alludere appunto a fenomeni naturalmente analoghi.
Il numero delle fasi, riguardanti la il processo alchemico, è legato ai significati attribuiti ai numeri riferiti alle fasi stesse; esse sono, a seconda degli autori, 4,3,7, o addirittura12. Tuttavia si può considerare il processo riferito a 4 fasi, che poi furono ridotte a 3 in epoca cristiana, per assimilare il numero delle fasi alla analogia riferita alla trinità.
Le 4 fasi dell’alchimia devono la loro origine all’importanza che la tetrade ha avuto nel pensiero sapienziale e greco in particolare, ove esse presero il nome dai 4 colori che nella pittura greca erano fondamentali (nero, bianco, giallo, rosso).
Le fasi furono, altresì, riferite ai 4 elementi, alle 4 stagioni e alle 4 fasi del giorno, secondo il seguente schema:
la melanosi (nigredo, opera al nero), riferita alla terra, all’inverno e alla notte;
la leucosi (albedo, opera al bianco) riferita all’acqua, alla primavera e all’aurora;
la xantosi (citrinitas, opera al giallo) riferita all’aria, all’estate e al giorno);
la iosi (rubedo, opera al rosso) riferita al fuoco, all’autunno e al tramonto.
Come già accennato la xantosi, non avendo una marcata caratterizzazione, scompare, anche per consentire un “allineamento” con il concetto di trinità. Rimangono le tre fasi che corrispondono, con riferimento ai cicli agresti, alla semina (inverno), alla germinazione (primavera), e alla raccolta (autunno).
Anche riguardo l’alchimia, appare fondamentale per conseguire l’obiettivo (opus) il confronto con la morte e con la conseguente ‘’putrefactio’’, simboleggiata dalla semina (ove il seme si macera nella terra), fase questa corrispondente alla ״nigredo״ e all’inverno: il “regime di Saturno”, la fase “al nero” che copre da sola la metà del ciclo, così come la notte copre la metà del ciclo solare giornaliero.
Al “regime di Saturno” segue il “regime di Giove״; che molti autori descrivono dopo la “nigredo”, con il termine “cauda pavonis”, caratterizzata dai 7 colori dell’Iride (Iride è anche la messaggera di pace inviata da Giove), ove i 7 colori insieme danno il bianco.
Si ha quindi il “lavaggio” (purificazione/”baptisma”) che porta dalla “nigredo” alla “albedo”, che corrisponde all’elemento acqua, alla “luna” ovvero alla “regina” (si rammenti che la “rubedo” è il “Rex” della “unione degli opposti” o “nozze chimiche”). L’opera al bianco è quindi una fase animica, che non è comunque la fase finale dell’opera. Essa è però la fase fondamentale per la rinascita/resurrezione, ove la fase stessa è indicata “dall’umido” e della primavera. Fase questa che ha la sua equivalenza con la “benedicta viriditas”, ricordataci dalla grande mistica Ildegarda di Bingen, allorchè descrive il verde appunto, per riferirsi alla energia, alla forza vitale (vis, vir in latino) che il soffio divino immette nella creazione.
Non a caso il verde e il rosso sono i due colori del ”leone”, dello “zolfo” e del “mercurio”, quest’ultimo duplice e androgino, equivalente all’unione del “rex” e della “regina”, rosso e bianco. Il verde è peraltro il colore simbolo che ricorda la vegetazione che risorge: la pianta che nasce dalla roccia (dalla terra, ovvero dalla “nigredo”).
A prescindere dall’utilizzo dei vari colori simbolici, diversi da quelli che ormai sono considerati tradizionalmente “corretti” (nero, bianco, rosso), usati con grande libertà, il messaggio trasmesso dall’alchimia rimane importante per un utilizzo volto al perfezionamento spirituale e anche per comprendere l’evoluzione degli uomini anche dal punto di vista antropologico.
Come per gli uomini che vissero nel periodo neolitico il pane e il vino erano
il simboli dell’evoluzione umana, allo stesso modo la metallurgia, intesa come capacità di manipolare i metalli, ha dato un incipit, allorquando ne è derivata una sorta di trasmissione e intuizione dei vari aspetti che sono stati per così dire compendiati nell’alchimia, che e oltre che a aiutare la capacità dell’uomo a operare sulla natura, hanno aiutato l’essere umano stesso a “trasmutarsi” in senso spirituale.
Sempre riferendosi alle fasi dell’opera alchemica appare utile rammentare la natura delle operazioni condotte. Non si deve credere infatti che la pratica derivata dall’alchimia consista semplicemente in una serie di speculazioni più o meno enigmatiche o cifrate, a volte sconcertanti e incomprensibili. L’alchimia intesa cioè come sistema di pensiero o “filosofia naturale”, è una deformazione recente. In realtà l’alchimia comportava anche concrete operazioni, ed è forse utile sottolineare che, senza tali operazioni, l’alchimia stessa non avrebbe avuto origine ne sarebbe stata ipotizzabile.
Lo stesso Jung, che dell’alchimia ha dato una interpretazione storico psicologica, considerando la stessa come espressione di una proiezione di contenuti psichici, ribadisce l’impossibilità dell’esistenza del pensiero alchemico senza proiettare tali contenuti. Del resto gli alchimista occidentali hanno inteso percorrere un processo di “imitatio Christi” riferito alla redenzione, che proseguiva l’antica finalità alchemica di ripetere la cosmogonia come imitazione del divino per elevare l’essere umano, ovvero arrivare a una razionalizzazione consapevole (che è poi il fine del pensiero che viene per così dire definito magico, che la oggi viene tradotto nella tecnologia).
Certamente è anche spontaneo e doveroso chiedersi se il processo alchemico possa ancora costituire un’esperienza attuale, o debba considerarsi un fenomeno ormai riferibile a una curiosità appartenente alla storia.
Di fronte a tematiche di questa portata certamente è utile porsi in modo adogmatico.
Indubbiamente, posto che la base fondamentale del lavoro dell’alchimista è la fede nella propria opera, è difficile pensare che possa fruttuosamente proseguirsi questa “opera” là dove il terreno è stato ormai acquisito dalla scienza e razionalizzato, portato cioè al livello della coscienza, e soprattutto della conoscenza razionale o scientifica.
Tuttavia, se, come si può anche ritenere, il processo alchemico dà una spiegazione, forse anche un senso, riguardo la struttura stessa e più profonda dell’azione riferita agli esseri umani, al nostro modo di essere, al nostro agire nel mondo che li circonda, allora l’alchimia può avere un senso e la si può fare dovunque, oppure la si può fare inconsapevolmente, senza saperlo su un piano razionale, nei luoghi nei modi e in momenti più impensati. La si può fare non con una modalità meramente speculativa, quindi in modo per così dire razionale, ma anche e soprattutto con modalità meta razionali, utilizzando una particolare operatività che consente una sorta di reintegrazione dell’uomo con i piani che comunemente, pur appartenendogli, gli restano ignoti.
Perché immaginare la realtà, là dove essa è ancora tutto da comprendere, è costruire il proprio mondo: cosa che l’essere umano può fare solo nell’ambito delle proprie strutture mentali, ricercando all’interno di esse l’inesplorato, sul quale esse si proiettano mediante gli archetipi e i messaggeri (che i greci chiamano anghelos) . Un obiettivo che può sembrare irraggiungibile ma che può ma che può anche essere colto nell’umile e comune attività quotidiana: gli alchimisti sapevano che la pietra filosofale non è che la più comune delle pietre, non visibile ai più, gettata via e reperibile ovunque.






