di Silvano Danesi
“Situati al confine tra mente e materia – scrive Massimo Teodorani – gli archetipi catalizzano sincronicità operando con una specie di relazione speculare tra lo stato psichico e l’universo obiettivo esteriore”. [1]
Questa definizione degli archetipi ci induce a ritenere possibile che le leggi e i criteri con i quali è realizzata ogni cosa in questo universo da noi abitato e solo in minima parte conosciuto, siano sincronicamente percepiti da noi esseri umani in modalità che secondo i criteri della scienza positivista non possono essere ritenute scientifiche e che, tuttavia, alla luce delle scoperte scientifiche, che di volta in volta sopravvengono, rivelano la loro validità.
Intendo dire che le intuizioni degli antichi sapienti, giunte a noi con il linguaggio simbolico, proprio degli archetipi, possono assumere una valenza scientifica quando la scienza giunge ad un grado di conoscenza tale da consentirci di interpretare le intuizioni come sincroniche con leggi e criteri scientificamente ritenuti validi.
La Tradizione, in questo ambito di ragionamento, veicola antiche intuizioni sincroniche che possono essere studiate con criteri scientifici man mano scoperti e applicati da chi ha usato, a sua volta, la capacità intuitiva, attivando un’ermeneutica che si avvale della conoscenza del linguaggio simbolico.
Un esempio interessante è quello fornitoci dai costruttori di cattedrali del Medioevo, riguardante l’asimmetria, o deviazione dell’asse della navata, che secondo Christian Jacq, è già attestato nel tempio di Luxor. [2]
“La deviazione dell’asse – scrive Christian Jaq – è una sorta di rottura, una frontiera invisibile tra i due ordini della realtà. […]. La simmetria è morte, la dissimmetria è vita, afferma l’insegnamento pitagorico; la deviazione dell’asse è una delle manifestazioni più caratteristiche di questa dissimmetria creatrice, che nega il motivo della linea dritta”. [3]
Nelle moderne teorie, la rottura della simmetria è all’origine della nascita dell’universo. Dal campo quantico emergono particelle e antiparticelle che si annichiliscono fino a quando un evento asimmetrico fa si che una particella, chiamata per questo inflatone, si espande in un batter d’occhio, dando origine a tutto quanto esiste nell’universo nel quale viviamo.
Un’antica intuizione, probabilmente frutto di una relazione tra stato psichico e universo obiettivo esteriore, ha captato una legge che ora è codificata scientificamente.
Proviamo, ora, ad applicare lo stesso metodo all’immagine della dea sumera IN.AN.NA, nel cui nome è il cielo (AN), non prima di aver specificato che i miti non sono altro che gli archetipi junghiani, i quali sono una riserva di profonde e nascoste verità che vengono comunicate con un linguaggio del simbolo e che sono portali, come gli archetipi, dell’inconscio collettivo.
Inconscio collettivo che è una sorta di coscienza superiore alla quale sono connesse le nostre coscienze personali.
I vari miti che riguardano IN.AN.NA sono l’evidente paradigma dei miti successivi che ritroviamo in varie culture.
Il mito di IN.AN.NA che scende negli inferi, ad esempio, è lo schema sul quale sono costruiti tutti i miti della resurrezione, della permanenza periodica nel mondo superiore e in quello inferiore, dei viaggi nell’Ade o nell’inferno. Miti che riconducono alla natura e alla sua ciclicità e anche alla domesticazione della vite e del frumento, alla quale sono relativi riti osiriaci e isiaci, eleusini, dionisiaci, fino a giungere alla simbologia cristiana del pane e del vino come corpo del Chritsós, l’Unto del Signore, termine che è traduzione diretta dell’ebraico מָשִׁיחַ (māšīaḥ, da cui “Messia”).
Il Messia è persona attesa come protagonista di un miracoloso rinnovamento e, in questo senso, le varie divinità dei miti che hanno portato agli umani la conoscenza della domesticazione di vite e frumento sono dei messia, dei comunicatori di conoscenza che rinnova.
La parte del mito relativo alla discesa negli inferi di IN.AN.NA è quella che vede la dea portare con sé nel Kur (l’infero mondo) sette Me.
Prima di affrontare la questione dei Me, è opportuno contestualizzare alcuni aspetti della dea, anche in relazione alle sue traduzioni successive nelle varie culture antiche.
Va anzitutto notato che Ishtar, altro nome della dea, è la venere mesopotamica e manifestava attributi sia maschili, sia femminili: in qualità di stella della sera era femmina, mentre come stella del mattino era maschio. [4]
Il riferimento simbolico evidenzia il succedersi enantiodromico delle due polarità che costituiscono il criterio della dualità energetica.
IN.AN.NA ha inglobato Attar (divinità semita maschile associata a Venere), poi divenuta Ashtar (maschile) e, infine, Ishtar (femminile). Attar aveva una sembianza femminile, denominata Attart, che diventerà in seguito Astart o Astoret, nome che i greci tradussero in Astarte, ossia Afrodite.
Troviamo gli echi di IN.AN.NA nella divinità sincretica più importante del pantheon egizio, che è stata a lungo adorata anche in Europa: Iside-Sirio-Sothis, dea dell’amore e della vita.
La forma maschile di Iside-Astarte-Venere-Afrodite è Afrodito dal volto barbuto e sotto tale aspetto era venerata ad Amatunte, nell’isola di Cipro.
Iside “La Regina”, la dea dai molti nomi è, come Ishtar o Ashtoret o Afrodite, dea dell’amore celeste e dell’amore terreno.
Vediamola nella sua forma greca: Afrodite, figlia della dispersione-castrazione di Urano, è dea che emerge dalle onde salate, nasce dal mare (come mor-gane – Morrigane – Morgana) e porta l’epiteto di Pelagia, la marina. Altri due epiteti, come riferisce Platone, ne caratterizzavano la distinzione tra l’amore terreno (Pandemia, ossia colei che ama tutto il genere umano) e quello celeste (Urania). Afrodite veniva inoltre chiamata Apostrophia, ossia colei che si volta da parte. Afrodite veniva anche chiamata Dione, forma femminile di Zeus. Siamo anche qui di fronte ad una divinità androgina, anche se in forma meno evidente che in altre tradizioni.
Ancora una volta: le polarità sono presenti in ciò che è manifesto.
Sotto il nome di Epitragia, Afrodite cavalcava un caprone (vedi in proposito, la divinità basca Mari, ma anche la rappresentazione medievale delle streghe). La sua isola preferita era Cipro, dove, come s’è detto, veniva adorata in forma di Afrodito, uomo barbuto.
Venere (associata a Sirio), ovvero Afrodite (associata a Iside) è stella del mattino e della sera (Stella matutina, Stella vespertina), così come IN.AN.NA.
A IN.AN.NA – Ishtar era associata la stella a otto punte e a lei era sacro il numero otto. Un elemento, questo, doppiamente significativo, in quanto troveremo l’ottagono nelle chiese templari e cistercensi e nel maniero di Castel del Monte, costruito da maestri costruttori legati al mondo templare e cistercense. L’otto è numero legato anche a Kemenw, la città di Thot e dell’Ogdoade.
IN.AN.NA, Ishtar, la stella della capra, è Venere e a Venere, come abbiamo, visto, corrisponde Sirio, ritenuta stella imperitura, come le polari. Nei Testi dei Sarcofagi viene invocata in riferimento all’anima: “ … o mia anima, Sothis, preparami una via, costruisci una scala che giunga a te, Grande Polo, tu che sei mia madre, che io possa andare dove sorge Orione … “.
Veniamo ora ai Me.
Va notato che Sirio, Kak.Si.Di in Babilonia, è la stella della direzione, la stella dell’orientamento “misura la profondità del mare”, la qual cosa ci consegna l’idea di una direzione nel cielo, ma anche di una direzione nel mare dell’inconscio.
I Me sono associati alle Tavole del Destino, che comprendevano le conoscenze per edificare città, le tecniche dei carpentieri, dei fabbri e degli scribi, dei sacerdoti, dei giudici, degli agricoltori e molte altre ancora.
I Me, pertanto, in questa accezione, rappresentano le leggi, i criteri, la cui conoscenza consente di operare secondo natura e secondi i dettami celesti.
I Me, in altra accezione, definiscono energie, stati o azioni create da forze divine, capaci di mantenersi in esistenza ed in moto continuo grazie ad una forza propria, indipendente ed a sé stante. Hanno origine divina, e descrivono le regole e le leggi divine che stanno a fondamento dell’uomo, del suo divenire e della sua civiltà.
Nel saggio di Samuel Noah Kramer, in appendice al volume “Storia, cultura e letteratura sumera”, i Me sono un «complesso di regole e di limiti universali e immutabili», una sorta di cifra del vivente, la stessa lingua del mondo creata, sia per l’uomo, sia per gli dèi.
IN.AN.NA ha ricevuto i Me da Enki, il quale, donandoli a lei, l’ha resa dea della Conoscenza delle leggi universali, delle regole fondamentali.
Possiamo a questo punto, utilizzando l’intuizione che ci consente di sperimentare la sincronicità tra lo stato psichico e l’obbiettivo mondo esterno, proporre un’interpretazione dell’immagine di IN.AN.NA che ci arriva dagli scavi archeologici relativi all’antica civiltà sumera.

Il grande archetipo IN.AN.NA, nella sua rappresentazione iconica, contiene un messaggio fondamentale.
La dea ha in mano il nodo con il quale tesse la vita.
Posa i piedi su due leoni la cui voce, il ruggito, riporta alla consonante sonora R, che è vibrazione, ossia energia in azione.
Accanto alla dea ci sono due le civette, simbolo dell’intelligenza intuitiva e razionale.
I simboli sono doppi, perché siamo nella dualità, ma anche perché per comprendere è necessario usare i due emisferi della ragione e dell’intuizione.
Il messaggio criptato è che l’Intelligenza (il Tutto Uno) mettendosi in azione come energia (vibrazione, ruggito, parola) annoda l’energia stessa che si fa materia.
In sintesi, l’immagine ci consegna il processo in base al quale dall’Intelligenza in azione nasce la vita.
Non si può concludere senza un accenno all’anello egizio shen, lo stesso che vediamo nelle mani della dea IN.AN.NA.
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Il simbolo, che è anche un geroglifico che si legge “shen”, rappresenta una corda annodata a formare un cerchio ed è simbolo di eternità.
In forma allungata, contiene nelle iscrizioni geroglifiche il nome dei sovrani e prende il nome di “cartiglio”. Potremmo definirlo il campo di forma che contiene l’intelligenza (il nome) dell’essere umano.
IN.AN.NA., per concludere, ci si presenta come dea della Conoscenza di leggi fondamentali, alle quali la nostra intuizione, per sincronicità archetipica e per acquisizione del linguaggio simbolico, può giungere quando, come dice Teodorani, si instaura una relazione speculare tra lo stato psichico e l’universo obbiettivo esteriore o, se lo vogliamo dire in altro modo, quando entriamo in contatto con il centro del nostro inconscio (il nostro Sé), che è in contatto con l’inconscio collettivo.
Vale qui l’esortazione apollinea: “Gnoti seauton”, magistralmente tradotta da Angelo Tonelli con. “Conosci il tuo Sé”.
[1] Massimo Teodorani, Sincronicità, Macroedizioni
[2] Christian Jacq, Le message de costructeurs de chatédrales, J’ailu
[3] Christian Jacq, Le message de costructeurs de chatédrales, J’ailu
[4] Michael Baigent, Il cielo di Babilonia, Ed. Tropea, Milano





