di Silvano Danesi
Le origini e lo Statuto albertino
Le associazioni di volontariato, tra le quali quelle che si specializzeranno nel soccorso sanitario, traggono origine in Italia dallo Statuto albertino del 1848, con il quale il re sabaudo offrì la possibilità ai cittadini di potersi riunire in assemblea e di poter formare delle associazioni di qualsiasi tipo, stante il fatto che fino a quel momento erano permesse soltanto le associazioni di derivazione ecclesiastica, quali le compagnie e le misericordie, dedite essenzialmente al culto divino e alla carità. Quando l’Italia divenne unita, lo Statuto albertino venne adottato dal nuovo Stato e dal 1860 si formarono, in molte parti del Paese, società di mutuo soccorso, dedite alla mutualità tra le varie categorie di operai o di artigiani.
Le società di mutuo soccorso nacquero dall’iniziativa laica, repubblicana, socialista, massonica e, successivamente, cattolica e l’esempio bresciano, a tal proposito, è paradigmatico di uno sforzo comune e unitario.
L’Associazione di Mutuo Soccorso degli Operai di Brescia fu certamente fra le prime in Lombardia a nascere.[1] Il progetto dello statuto, che fu discusso dalla commissione eletta appositamente dall’Assemblea degli Operai, adunatasi il 15 aprile 1860 nei locali della Camera di commercio, venne dalla stessa commissione definitivamente approvato nell’adunanza che si tenne, sempre nella sede della Camera di commercio, il 5 ottobre 1860. Fra i componenti la rappresentanza provvisoria della Società troviamo la firma illustre di Giuseppe Zanardelli.
Dallo Statuto risulta che l’Associazione aveva per base l’unione e la fratellanza degli operai e tendeva allo scopo di promuovere la loro prosperità materiale e la loro “educazione intellettuale e morale per virtù di Mutuo Soccorso”. “In particolare – si legge – questa Società si propone di dare agli operai un soccorso di denaro ed anche di medicine nei casi di loro malattia o vecchiaia, che li renda impotenti al lavoro; di adoperarsi a mantenere forniti gli operai di lavoro, di provvedere alla cultura intellettuale e morale degli operai e dei loro figli mediante scuole serali e festive, e mediante la diffusione fra essi di appositi libri; infine di mantenere fra loro la stima e la concordia, curando la moralità della loro condotta e facendo opera di comporre ogni loro controversia” (Art. 2). La Società si componeva di soci effettivi e di soci onorari o contribuenti (Art. 5) e potevano essere soci effettivi i soli operai (intesi come lavoratori dipendenti, artigiani con due dipendenti al massimo, commercianti con un dipendente – Art. 6). Erano elettori ed eleggibili i soci effettivi (“esclusi quelli che non sanno leggere e scrivere”) e non erano elettori od eleggibili, salvo trascurabilissime accezioni, i soci onorari (Art. 47 e 48). I soci di ciascuna professione, arte o mestiere, o commercio eleggevano i propri rappresentanti (Art. 50) e un comitato di coordinamento doveva “con ogni sollecitudine adoperarsi a procurare lavoro ai soci”. (Art. 108). “La Società – si legge nello statuto – avrà cura di mettersi in relazione con le Società già esistenti in Italia e con quelle che vi si andranno costituendo in avvenire, ed aprirà trattative per stringere con le medesime un patto di fraterna solidarietà”. (Art. 138).
Al momento della sua effettiva costituzione la Società aveva all’incirca 300 soci effettivi al di sotto dei 36 anni e 100 soci onorari.
E’ dello stesso anno, 1860, la fondazione, fra una quarantina di associati, di una Società di Mutuo Soccorso fra lavoranti sarti con sartoria e negozio cooperativo e del 1861 la fondazione di una Società di Mutuo Soccorso fra commessi e negozianti. La prima, pur essendo formata da soli lavoranti, era più una cooperativa di produzione che un organismo sindacale. La seconda era mista fra lavoranti e proprietari. Comunque entrambe erano organizzazioni specializzate, poiché riunivano persone esercitanti uno stesso mestiere.
Una statistica pubblicata dall’Almanacco Provinciale Bresciano registra nel 1869: n. 6 società di Mutuo Sussidio cittadine, per un totale di 2060 soci e ben 10 società in provincia con 1689 affiliati. Esse sorgono nei paesi di Breno (scomparirà presto, sostituita dalla Società Operaia Federativa Cattolica della Valle Camonica), Carpenedolo, Chiari, Desenzano, Iseo, Lonato, Montechiaro, Palazzolo, Rovato e Salò. Si aggiungono successivamente a queste, nel breve tempo di due, tre anni, quelle di: Bagnolo Mella, Gardone V.T., sezione femminile di Montechiaro e Orzinuovi, con un totale di 415 associati.
Nel 1878 le società cittadine sono 13 e 38 quelle della provincia, fra le quali sempre più numerose quelle esclusivamente composte di contadini o miste di contadini ed artigiani.
Nel 1888 si registra la presenza delle prime organizzazioni cattoliche. Il 15 maggio 1892 la Rerum Novarum precisò i compiti dei cattolici e diede nuovo impulso alle società di mutuo soccorso cattoliche, le quali nel momento di loro maggior fioritura, arrivarono al numero di 75, con un totale di soci 7096. L’11 maggio 1896 “Il Cittadino” annunciava la costituzione, avvenuta il 7 maggio, del Segretariato del popolo, che coordinò l’attività della società e l’attività dei cattolici in campo sociale. IL 25 giugno 1905 si inaugurò la bandiera dell’U.C.L (Unione cattolica lavoratori) e il 12 ottobre 1907 una statistica pubblicata dalla “Voce” dava presenti a Brescia ben 21 sezioni professionali industriali, con 1156 soci e 3 agricole con 393 soci . In provincia erano innumerevoli le unioni che superavano i 500 inscritti e la più forte, quella di Palazzolo, ne contava ben 1600.
E’ in questo quadro di fermento associativo, del quale il caso bresciano è un interessante esempio, che nascono anche le prime realtà associative di volontariato dedite al soccorso in campo sanitario, anche se le radici ispirative provengono dal Risorgimento e, ancora una volta, in un’area geografica prossima a Brescia.
A San Martino e Solferino nasce la Croce Rossa
Il 24 giugno del 1859 a Solferino e a San Martino fu combattuta fra l’esercito austriaco e quello franco-sardo una decisiva battaglia che pose fine alla seconda guerra di indipendenza italiana. In realtà si trattò di un insieme di battaglie distinte, che si svilupparono autonomamente e quasi simultaneamente su un fronte di oltre 20 chilometri. Quella di San Martino e Solferino fu la più grande battaglia dopo quella di Lipsia del 1813, avendovi preso parte, complessivamente, oltre 230.000 effettivi e costituì un significativo e concreto passo verso l’unità nazionale italiana.
La battaglia di San Martino e Solferino è conosciuta in tutto il mondo per aver ispirato ad Henry Dunant la creazione della Croce Rossa Internazionale. Prodromico all’iniziativa del Dunant è un episodio significativo per la storia della società di soccorso e di assistenza e paradigmatico della capacità di quei tempi di collaborare indipendentemente dalla collocazione ideale e ideologica.
“Nel 1859 – scrive in proposito Arnaldo D’Aversa – dopo la battaglia di S.Martino e Solferino, la più sanguinosa del Risorgimento italiano, Brescia con l’assistenza medica collabora per prima alla nascita della Croce Rossa Internazionale, qui proposta dal Dunant e che aveva avuto un precedente locale nell’assistenza che nel 1848-49 suor Maria Crocifissa di Rosa e le sue Ancelle avevano prodigato ai feriti a Valeggio ed a Montichiari, seguendoli poi nelle cure al S. Domenico ed al S. Luca[2] riaperto per l’emergenza”. [3]
Brescia, “Leonessa d’Italia”, così definita per il coraggio dei patrioti delle 10 giornate del 1849, si può dunque, a ragione, indicare come una delle principali realtà ispiratrici, grazie all’opera di Santa Maria Crocifissa Di Rosa, della formazione della Croce Rossa Internazionale, della quale è ricorso, nel 2009, il 150° anno dell’idea della sua costituzione. Nel 2009 è stato celebrato anche il 90° anno della nascita della Federazione Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (FICR) e il 60° anno dell’adozione delle Quattro Convenzioni di Ginevra, corpo giuridico fondante del diritto internazionale umanitario e il 50° anno della fondazione del Museo Internazionale di Croce Rossa di Castiglione delle Stiviere.
“Nell’Ospedale e nelle Chiese di Castiglione – scrive Henry Dunant – sono stati depositati, fianco a fianco, uomini di ogni nazione. Francesi, Austriaci, Tedeschi e Slavi, provvisoriamente confusi nel fondo delle cappelle, non hanno la forza di muoversi nello stretto spazio che occupano. Giuramenti, bestemmie che nessuna espressione può rendere risuonano sotto le volte dei santuari. Mi diceva qualcuno di questi infelici: “Ci abbandonano, ci lasciano morire miseramente, eppure noi ci siamo battuti bene!”. Malgrado le fatiche che hanno sopportato, malgrado le notti insonni, essi non riposano e, nella loro sventura, implorano il soccorso dei medici e si rotolano disperati nelle convulsioni che termineranno con il tetano e la morte…”. [4]
La Croce Rossa costituisce un movimento internazionale basato sui principi di umanità, imparzialità, neutralità, universalità, unità, indipendenza e volontariato.
Ispirata dalla sofferenza dei campi di battaglia risorgimentali e sull’esempio di quella internazionale voluta dal Dunant, la Croce Rossa Italiana viene a sua volta fondata, con il nome di Comitato dell’Associazione Italiana per il soccorso ai feriti ed ai malati in guerra, a Milano, il 15 giugno 1864, ad opera del Comitato Medico Milanese dell’Associazione Medica Italiana, ben due mesi prima della firma della Convenzione di Ginevra. Il Comitato iniziò subito la sua attività sotto la presidenza del dottor Cesare Castiglioni, il quale, due mesi dopo la costituzione del Comitato, venne chiamato a Ginevra, insieme ad altri delegati italiani, per esporre quanto fatto a Milano e cosa pensava di fare in avvenire in favore dei feriti e dei malati in guerra.
Il 22 agosto 1864 venne sottoscritta, anche dall’Italia, la Convenzione di Ginevra e l’11 dicembre dello stesso anno si tenne, a Milano, un congresso in cui si approvò il regolamento del Comitato di Milano come Comitato Centrale per il coordinamento delle attività dei costituendi nuovi comitati. In seguito, nel 1872 la Croce Rossa Italiana venne trasferita a Roma, dove si costituì il Comitato Centrale.
Durante la sua storia recente la CRI venne prima classificata tra gli enti pubblici parastatali (1975), fino a diventare, nel 1980, ente privato di interesse pubblico.
L’associazionismo volontario volto al soccorso sanitario si può, dunque, ben dire figlio, al contempo, del mutuo soccorso che si stava organizzando nei primi anni dell’unità del Paese e del sacrificio di molti uomini che hanno contribuito alla fase risorgimentale, prodromica alla costituzione della Stato italiano.
La Croce Rossa Italiana si è occupata, tra le molte sue attività, della lotta alla tubercolosi e alla malaria, ha creato stazioni, ambulatori e ambulanze antimalariche nelle Paludi Pontine, in Sicilia e in Sardegna, è stata presente su tutto il territorio nazionale dall’alluvione nel Polesine del 1951 alla frana che ha colpito Sarno nel 1998.
La Croce Bianca di Brescia
E’ con lo stesso spirito che nasce a Brescia, laddove l’esempio di Santa Maria Crocifissa di Rosa ispirò il Durant, e per opera del dottor Tullio Bonizzardi, (massone, responsabile della salute pubblica per conto del Comune di Brescia, studioso, innovatore, organizzatore indefesso di associazioni, di nuove strutture, di nuovi metodi di cura e di assistenza) la Croce Bianca, figlia di una temperie culturale, progettuale e innovativa che ha espresso uomini come Giuseppe Zanardelli, autore di un codice penale che ha abolito la pena di morte, Teodoro Pertusati, provveditore all’istruzione, che ha accresciuto la scolarizzazione popolare, combattendo l’analfabetismo ed elevando la qualità delle professioni e dei mestieri, di Paola di Rosa, Santa Maria Crocifissa, fondatrice delle Ancelle della Carità, che diedero alle strutture ospedaliere, carenti di mezzi e di addetti, la professionalità di donne dedite all’assistenza e Giuseppe Guerzoni, garibaldino, massone e propugnatore di una legge fondamentale a difesa dei fanciulli e contro la tratta dei bambini.
Oggi la Croce Bianca[5], figlia di quel tempo che ha traguardato il Novecento all’insegna dell’impegno umano e civile e della qualità professionale, alle soglie del terzo millennio ha saputo essere coerente con il motto impostole dai padri fondatori: le sue lettighe, adibite sostanzialmente al trasporto, sono ora dei centri tecnologicamente avanzati per il primo soccorso e i suoi militi, da barellieri sono diventati dei soccorritori esecutori. Durante gli ultimi vent’anni, nella continuità della dedizione volontaria dei militi, si è registrato un salto tecnologico di notevoli proporzioni. La Croce Bianca ha traguardato il XXI secolo nello spirito dei padri: innovazione, professionalità, umanità. Un segno evidente del cambiamento è nell’equipaggiamento dei mezzi di trasporto, che da lettighe si sono trasformati, in pochi anni, in centri mobili di primo soccorso. La vecchia lettiga, figlia diretta dei primi mezzi di trasporto utilizzati, era equipaggiata con un lettino e una cassetta di pronto soccorso. Oggi i centri mobili sono ambulanze tecnicamente sofisticate nelle attrezzature e nelle procedure di utilizzo. La checklist, ossia l’elenco esaustivo di cose da fare o da verificare per eseguire un soccorso, ne è l’emblematica evidenza.
Se Croce Rossa Italiana, come è stato scritto, nel tempo si è occupata della lotta alla tubercolosi e alla malaria, ha creato stazioni, ambulatori e ambulanze antimalariche nelle Paludi Pontine, in Sicilia e in Sardegna, è stata presente su tutto il territorio nazionale dall’alluvione nel Polesine del 1951 alla frana che ha colpito Sarno nel 1998, lo stesso spirito ha mosso anche l’istituzione bresciana. La Croce Bianca, nata il 6 ottobre 1890, aveva come scopo l’attivazione e la gestione di una guardia medica notturna, la dispensa a domicilio, ai poveri e ai bisognosi, di medicine e materiale di medicazione e l’organizzazione di un Corpo Volontari per una rapidissima, valida assistenza in caso di eventuali infortuni isolati e di pubblica calamità. Tullio Bonizzardi operava, nel quadro della sensibilità di una classe dirigente, quella liberale post unitaria degli “zanardelliani”, che guardava al popolo con l’intento di elevarne le condizioni e in una tensione professionale e innovativa, che hanno fatto, in quei lontani anni, non solo nel campo sanitario, la qualità di Brescia.
Bonizzardi prese accordi con il locale comitato della Croce Rossa per fondare la “Croce Bianca”: un fatto che mette in evidenza una sorta di continuità e di contiguità tra la Croce Rossa e la Croce Bianca, i cui volontari si chiamano “militi” e la cui organizzazione ha avuto sin dall’inizio e conserva una rigore dal sapore militare nell’efficienza, accompagnato da uno spirito di solidarietà e di dedizione che è proprio anche della Croce Rossa.
La Croce Bianca di Arezzo
Un altro esempio significativo di istituzioni volontarie dedite alla pubblica assistenza, molto simile a quello bresciano, è quello della Croce Bianca di Arezzo.
E’ alla fine del 1800 e agli inizi del 1900 che la città di Arezzo compie il salto di qualità che gli permette di porre le basi per un sistema sanitario moderno, al passo con le nuove tendenze della medicina. In questi anni infatti sono presenti in città molti medici che si sono formati all’Università di Medicina di Parigi grazie al “lascito Sabatini”: tra questi occorre ricordare Ficai e Mascagni. Al primo spetta la creazione del Laboratorio di Igiene, al Mascagni e al Buonagurelli invece lo Uspedaletto dei bambini”, ossia il moderno Befotrofio. In questi decenni non solo si sviluppa un grande cantiere sanitario- viene anche scelto il nuovo sito dell’Ospedale del Ponte- ma si concentrano gli sforzi nell’educare la popolazione all’osservanza dell’igiene e della pulizia della persona, degli ambienti e della città nel suo insieme. E’ in questo clima salutistico che il dottor Alfredo Buonagurelli illustre pediatra, massone, nonché Presidente del “Circolo sempre Avanti Savoia”, politicamente di area liberale, il 28 Gennaio 1891, assieme al Consigliere Malvino Coleschi, lancia l’idea di istituire in Arezzo una squadra di pubblica assistenza.
La Pubblica Assistenza è una nuova forma di associazionismo le cui origini risalgono agli anni dell’unità d’Italia, ma che si radica nella zona della Versilia e nella Liguria verso il 1890, per poi espandersi sul finire del secolo anche all’interno della Toscana. In quel periodo solo le Misericordie sono presenti nel territorio e lo Stato, ancora in fase di crescita, è del tutto assente nell’assistenza sanitaria. Le Pubbliche Assistenze entrano quindi da soggetti protagonisti nella storia della sanità toscana, portatrici di grandi novità e, proprio per questo, il Buonagurelli preferisce fondare questo tipo di associazione perché più adatta agli scopi che si era proposto. Le Pubbliche Assistenze sono infatti associazioni i cui soci appartengono a tutte le categorie, senza alcuna distinzione, sia reddito, sia di credo religioso o politico; si autogovernano attraverso libere votazioni tra i soci e, con la sovranità dell’assemblea composta da tutti i soci, diventano delle officine di democrazia fino ad allora sconosciuta, sia nella vita civile, sia in quella delle confraternite; credono sia necessario educare la popolazione all’osservanza delle norme igieniche per evitare malattie.
Le nuove associazioni non nascono come contraltari alle esistenti Misericordie e neppure sono sostenute da una vena anticlericale. Tuttavia, poiché il momento storico che vive la Chiesa italiana dopo la perdita, prima dello Stato pontificio e poi della città di Roma, è molto delicato e tutto ciò che di nuovo viene alla luce è visto con estremo sospetto, come opera del nemico, le neonate Pubbliche Assistenze avranno una vita piuttosto difficile. Il dottor Buonagurelli compie la sua scelta consapevole di voler operare nel sanitario in modo nuovo e originale, e sa che dovrà lottare contro il perbenismo e contro la Chiesa stessa, ma sa anche che i soci, che provengono da molte famiglie influenti che hanno fatto la storia aretina, sono persone specchiate e talvolta anche legate al mondo ecclesiastico. Dalle parole si passa ai fatti, e il 28 Gennaio 1891 viene deciso di fondare la Croce Bianca e, al tempo stesso di fare una lotteria per reperire i fondi necessari ad acquistare le attrezzature per il soccorso. Contemporaneamente viene costituito un Comitato di Signore con il compito di portare a compimento la lotteria.
“Nelle nostre zone – si legge in una ricostruzione storica della Croce Bianca di Arezzo – diverse sono le formazioni mutualistiche cattoliche, ma al contempo prendono vita anche formazioni laiche, queste ultime con lo scopo principale di assistenza, pronto soccorso e trasporto di feriti o ammalati all’ospedale per il ricovero. Affrontano il soccorso sanitario con una nuova ottica: i soccorritori devono essere persone preparate e capaci non solo a soccorrere, ma anche a intervenire sulle lesioni con fasciature, steccaggi, medicazioni. Questi volontari infatti hanno ottenuto una idoneità tramite i corsi e gli esami. Ritengono l’igiene, sia della persona, sia degli ambienti e della città indispensabile per migliorare la qualità della vita e debellare molte malattie. Queste associazioni inoltre, nei rispettivi statuti, prevedono che la religione e la politica siano tenute fuori dalle sedi, pur essendo gli aderenti quasi tutti di fede cattolica e politicamente protesi verso l’ambito liberale, radicale, talvolta anche socialista. Ma fin dal loro nascere le nuove associazioni incontrano difficoltà ad essere accettate perché hanno un modo nuovo di operare e guardano essenzialmente al cittadino che sta soffrendo e ad esso vogliono offrire aiuto, senza sapere quale dio prega o in quale leader politico ripone la sua fiducia. La guerra maggiore viene comunque mossa dal mondo cattolico e in modo particolare dal vescovo Volpi che, in molte occasioni e in lettere pastorali mandate alle varie chiese della Diocesi, le indica come rifugio di massoni, quindi grande pericolo per il mondo cattolico. L’accusa maggiore è quella di non aver portato gli statuti presso l’autorità ecclesiastica per la necessaria autorizzazione, ma chiaramente le Associazioni di Mutuo Soccorso e Pubblica Assistenza non vogliono avere sul capo nessun cappello. Vogliono essere libere di fare il bene secondo il dettame degli statuti. In provincia di Arezzo, nell’arco temporale dal 1892 al 1913, vedono così la luce Pubbliche Assistenze in Val di Chiana (otto, compreso Tegoleto), (sette) in Valdarno e due ad Arezzo. Terminata la battaglia con il vescovo e in piena fase di espansione arriva la grande guerra e per le associazioni si tratta di un periodo di grandi sacrifici,di lutti,di difficoltà dell’esistere quotidiano nel reperire gli uomini per i servizi”.
Passato il periodo della prima guerra mondiale, non appena queste associazioni riprendono le piene funzioni, portano il soccorso agli infortunati, assistono alle corse ciclistiche, medicano i feriti nei loro ambulatori, investono in attrezzature (carrini da volata, carrini per il traino di cavalli, e anche le prime autoambulanze, le Torpedo Fiat).
Il regime fascista fa crescere in tutta Italia la Croce Rossa a spese delle Associazioni di Pubblica Assistenza, con l’intento di accentrare sulle sue mani tutti gli aspetti della vita dei cittadini: infanzia (opera maternità), il tempo libero (dopolavoro), ecc. Lo stesso vale anche per l’apparato di sostegno al servizio sanitario, con la crescita della Croce Rossa. Così il 19 febbraio 1931 tutte le Pubbliche Assistenze d’Italia che da diverso tempo svolgono il ruolo della mutualità con il Mutuo Soccorso, ad eccezione di poche (Arezzo e Brescia sono fra queste),vengono sciolte e i loro beni passano alla Croce Rossa. Le misericordie, anche in virtù del vivere quieto instaurato dal patti Lateranensi del 1929, non vengono toccate dal fascismo e rimangono così le uniche associazioni che operano nel soccorso sanitario nei nostri paesi. Solo dopo la seconda guerra mondiale,caduto il regime, molte persone hanno voluto riprendere l’iniziativa, fondando o riorganizzando una serie di associazioni che ormai coprono l’intero territorio nazionale.
A Milano la Croce è verde
Nel 1899 nasce a Milano la Croce Verde A.P.M. (Pubblica Assistenza Milanese), oggi associazione onlus senza fini di lucro. All’origine della Croce Verde c’è un curioso avvenimento: in via Canonica a Milano scoppiò, nell’inverno del ’99, una rissa in seguito alla quale due persone rimasero gravemente ferite a terra.
La gente del posto s’ingegnò per soccorrerle e improvvisò una lettiga con un carretto e un materasso per poter trasportare i feriti all’ospedale. Purtroppo, come si legge in una ricostruzione storica della stessa Croce Verde, tali sforzi non valsero a nulla, ma questo episodio spinse alcuni amici, tra i soccorritori più intraprendenti quella notte, a porsi il problema di costituire un gruppo di volontari che fosse sempre pronto a far fronte alle esigenze di trasporto all’ospedale per persone bisognose o in caso di incidenti improvvisi.
Nel 1900 questa piccola organizzazione locale si diede un nome: Assistenza Pubblica Milanese. Si costituisce in questo modo la prima associazione volontaria di soccorso su strada a Milano, nata quindi su iniziativa di alcuni amici, abitanti nella zona di via P. Sarpi-Canonica. Sui primi cinque anni di vita dell’Associazione si hanno scarsissime documentazioni. Si sa solamente che erano 19 giovani volenterosi e che la prima sede fu un locale di una bottega di riso di via Rosmini 5, messo a disposizione dal negoziante stesso, primo benefattore.
Nel 1905, sempre a Milano, nasce ad opera di un gruppo di immigrati toscani la Società Volontaria di Soccorso Croce Verde, con sede in un modesto locale di via S. Antonio, 18. Questa società elabora uno statuto in cui si dichiara che la società deve essere composta da elementi di ogni ceto sociale e deve prestare opera di soccorso gratuitamente, in favore degli ammalati ed infortunati bisognosi, e che la Società non ha carattere politico né religioso ed è puramente umanitaria. La Società Volontaria di Soccorso Croce Verde entra ben presto nelle simpatie della cittadinanza e i milanesi vedono con affetto e riconoscenza l’opera dei militi e li aiutano con oblazioni o entrando a far parte dell’organico dei volontari.
Si dovrà aspettare il 1916 perché le due associazioni, la Società Volontaria di Soccorso Croce Verde e l’Assistenza Pubblica Milanese, si riuniscano sotto il nome di Croce Verde A.P.M., entrambe da sempre profondamente apolitiche e aconfessionali.
Nel 1906 la Croce Verde presta servizio all’Esposizione Internazionale di Milano (la Fiera d’Aprile) e trasferisce la sua sede a via della Passione. Risale a questi anni il significativo intervento dei militi in occasione del gravissimo disastro ferroviario al bivio Acquabella.
Con enormi sforzi finanziari la Croce Verde fa costruire nel 1908 la prima autolettiga, utilizzata poi per i feriti del terremoto che sconvolse Reggio Calabria e Messina. In questa occasione il Ministro degli Interni assegna la prima medaglia di bronzo al valore civile alla Croce Verde.
Gli anni che seguono vedono impegnata la Croce Verde in numerosi interventi sul territorio milanese e a livello nazionale, per il soccorso alla popolazione colpita da gravi calamità, che le valgono diversi encomi di merito da parte delle autorità milanesi.
Nel 1930, per applicazione di un decreto ministeriale che rispondeva ad una politica accentratrice di controllo, la Croce Verde A.P.M., e con lei tutte le altre associazioni esistenti in Italia, viene sciolta e passa corpo e beni alla Croce Rossa Italiana. La Croce Verde A.P.M. è tenuta a consegnare alla Croce Rossa ben 10 autolettighe, la dotazione di biancheria e attrezzature, nonché trofei e registri. Soltanto 15 anni dopo, a guerra conclusa, quindi nel 1945, un gruppo di vecchi soci e militi rifonda l’Associazione il 5 giugno.
Il problema più impellente che i volontari si trovarono a dover affrontare per la ricostituzione fu quello delle spese di avvio. La Prefettura elargì al tempo 100.000 lire e i volontari si autotassarono per raccogliere fondi. Fu scelta la sede di piazza S. Sepolcro. Nel 1946 un generoso ex milite offrì un milione di lire, che servirono ad acquistare le prime due macchine: vecchi furgoni in legno trasformati in autoambulanza.
Nel 1949 il Comune di Milano cede alla Croce Verde A.P.M. un terreno tra le vie S. Vincenzo e S. Calocero, a Porta Genova. Tuttora sul quel terreno c’è la sede della Croce Verde A.P.M., costruita dal 1949 al 1951, come sempre grazie alle generose offerte dei milanesi.
Le Misericordie e l’Unione Federativa
Se la storia delle associazioni laiche costituisce uno dei vanti della solidarietà del popolo italiano, non meno meritoria è quella delle Misericordie, la cui Unione Federativa viene fondata a Pisa il 21 novembre 1899, con la delibera e l’approvazione dello statuto. La costituzione della Commissione per la stesura dello statuto è l’atto conclusivo dei lavori del congresso tenutosi a Pistoia il 24 e 25 settembre precedente (1899), nel corso dei quali, per la prima volta nella storia le Misericordie si riuniscono per discutere congiuntamente della loro esperienza e tracciare un cammino comune.
L’iniziativa della convocazione di un Congresso viene assunta dalla Misericordia di Pistoia, che inizialmente intendeva celebrarlo in occasione dei festeggiamenti per il proprio IV centenario (1500-1900), ma motivi di opportunità organizzativa ne consigliarono l’anticipazione. Per secoli erano mancati i contatti e ciascuna associazione aveva avuto una evoluzione autonoma, che si era misurata solo con la sua realtà locale. Ora la Commissione avrebbe dovuto ricercare e contattare le Misericordie disperse sul territorio e ricondurle in un luogo comune dove avrebbero potuto scoprirsi, nonostante la lontananza dei secoli, sorelle. Il compito apparve difficile e la Commissione riuscì ad assolverlo almeno in parte grazie alla collaborazione assicurata da alcune diocesi. Al termine dell’indagine vennero individuate 77 Misericordie a cui la Commissione inviò la circolare di invito. Risposero all’appello soltanto 45 di esse (di cui 9 soltanto per lettera).
Le riunioni del 24 e 25 settembre videro la partecipazione attiva di sole 36 Misericordie di cui 7 rappresentate per delega.
I lavori congressuali, che terminano il 25 settembre, confermarono il Conte Cesare Sardi, rappresentante della Misericordia di Lucca e della Misericordia di Borgo a Mozzano, quale primo Presidente delle Misericordie. Il Discorso conclusivo tenuto dal Conte Sardi tracciò la fisionomia della neocostituita Federazione e del nascente movimento.
La Confederazione riunisce oggi oltre 700 confraternite, alle quali aderiscono circa 670.000 iscritti, dei quali oltre centomila sono impegnati permanentemente in opere di carità (i confratelli cosiddetti “attivi”). Sono diffuse in tutta la Penisola e la loro azione è diretta, da sempre, a soccorrere chi si trova nel bisogno e nella sofferenza, con ogni forma di aiuto possibile, sia materiale, sia morale.
Le Misericordie sono presenti in tutte le regioni, ad eccezione della Valle d’Aosta, e rappresentano circa duecentocinquantamila iscritti e oltre sessantamila volontari attivi.
Attualmente le Misericordie operano in molteplici e complessi servizi nell’ambito socio-sanitario, avvalendosi di strutture moderne e di oltre 2500 automezzi. I principali settori di intervento sono: trasporti sanitari e sociali, emergenza/urgenza e pronto soccorso, operatività 24h/24, protezione civile, con gruppi attrezzati e specificamente addestrati in quasi tutte le Misericordie, onoranze funebri, gestione cimiteriale, gestione di ambulatori specialistici, gestione di case di riposo, servizi emodialisi autogestiti, assistenza domiciliare ed ospedaliera, telesoccorso e teleassistenza e altre varie.
La Confederazione opera a sostegno della progettualità, della consulenza e dell’innovazione verso le associate, anche con corsi di qualificazione e formazione, sia per i dirigenti delle Misericordie stesse (in molti casi vero e proprio management), sia verso i singoli confratelli.
Un denominatore comune: Protezione Civile
Attualmente associazioni nate dall’iniziativa laica, liberale, repubblicana, socialista, massonica e cattolica hanno un denominatore comune nella Protezione Civile, che in passato è stata legata essenzialmente al soccorso e che, più che una struttura, è una “funzione” che oggi si definisce come un complesso di attività finalizzate alla sicurezza e alla tutela dei cittadini, dei beni e dell’ambiente colpiti da eventi o calamità. Una “funzione” regolata dalla legge n. 225 del 1992 che ha formalizzato il Servizio Nazionale della Protezione Civile come “un sistema integrato”, ovvero un insieme di elementi o componenti che interagiscono tra loro e che costituiscono un unico insieme. Con la stessa legge il concetto di protezione civile ha assunto il significato di “cultura diffusa propria e della collettività” e ha affermato la responsabilità di tutti i cittadini a concorrere efficacemente alla tutela e salvaguardia del territorio, dell’ambiente e della società. Le caratteristiche principali del nostro sistema nazionale sono: la trasversalità e la sussidiarietà.
I compiti di protezione civile vengono assolti da più componenti che operano sul territorio, quali: Chi siamo1
lo Stato, le regioni, le province, i comuni;, le comunità montane e da strutture operative che sono: il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, le Forze Armate e di Polizia, il Corpo Forestale dello Stato, i Servizi Tecnici Nazionali, la Croce Rossa, le organizzazioni di volontariato, le strutture del Servizio Sanitario Nazionale, il Corpo Nazionale Soccorso Alpino.
Del sistema della Protezione Civile e, più nello specifico, del sistema di emergenza ed urgenza, è parte centrale ed essenziale il servizio 118.
[1] In proposito la tesi di laurea del dottor Mario Tambalotti, discussa alla Bocconi nell’ottobre del 1954, fornisce un quadro (uno dei pochi) delle prime associazioni di muto soccorso e dei primi vagiti del movimento operaio.
[2] Ospedali bresciani, ndr
[3] Arnaldo D’Aversa, Medici epidemie e ospedali a Brescia, Fondazione Civiltà Bresciana – 1990
[4] Da: “Un souvenir de Solferino” di Henry Dunant
[5] Vedi in proposito: Silvano Danesi, A Brescia la Croce è bianca, Edizioni Croce Bianca di Brescia Onlus






