OSIRIDE, LA PSICOSTASIA E IL CORPO DI LUCE

Mag 27, 2023 | EGITTO

di Silvano Danesi

Il viaggio nella Duat dell’anima, così come è descritto nei vari testi dell’Egitto antico, quali il Libro del venire alla luce, comunemente detto Libro dei morti; il Libro delle ore della notte; il Libro dei Querert e il Libro di ciò che è nella Duat, alla luce dei documenti storici si propone, sempre più, come un rito iniziatico che determina la presa di coscienza, da parte dell’iniziato, della sopravvivenza dell’anima alla morte del corpo fisico, ma anche il conseguimento di uno stato di equilibrio che potremmo definire omeostatico.

Il viaggio nella Duat del rito osiriaco è il frutto di un’evoluzione sincretica che, all’origine ha fuso, in parte, il rituale della solarizzazione del faraone con quello osiriaco antico e rivolto ai comuni mortali.

A darcene conto è un conflitto dottrinale, che vede il contrasto, ricomposto in un sincretismo progressivo, tra l’antica mitologia osiriaca e quella solare, che fa di quest’ultima una ritualità di solarizzazione e divinizzazione del faraone, mentre quella osiriaca è riservata ad un pubblico più vasto e non riguarda la divinizzazione, ma la giustificazione e la conseguente sopravvivenza del corpo di luce.

Come spiega Franco Cimmino, nel suo “Storia delle piramidi”, nel corso della II dinastia, che si inquadra nel periodo della storia d’Egitto detto Periodo Arcaico (2925-2700 a.C.), si assiste ad un processo teologico tendente a stabilire la divinità del faraone. Già i sovrani thiniti affermavano col titolo di Horus il valore della loro essenza divina, ma, verso la fine della seconda dinastia, si verificò una violenta controversia, frutto dell’elaborazione del clero di Heliopolis (On), che coinvolse la religione solare di Ra e che sembrò stravolgere il culto osiriaco, meno elaborato, antico, di ampia diffusione popolare e già con forti connotazioni funerarie.

In questa teologia eliopolitana il faraone come figlio di Ra, quindi divino ed immortale, al momento del decesso saliva tra le stelle imperiture circumpolari per sedersi accanto al padre suo che sta nei cieli.

Il capolavoro del collegio sacerdotale eliopolitano fu di aver strappato il sovrano defunto al triste destino dell’oltretomba della gente comune. Il re sale direttamente al cielo per divenire un dio e per raggiungere questo destino celeste il sovrano si avvale dei rituali osiriaci, ma anche di altri rituali di purificazione connessi a mitologie non conosciute.

Il faraone continua a governare dal cielo ed è per questo motivo che il suo corpo è imbalsamato e protetto, affinché il suo ka (l’insieme delle forme vitali) stia presso di lui e lo renda vivo e operante.

Questa idea di un corpo morto mummificato che mantiene la sua vitalità grazie al permanere presso di esso del suo ka è all’origine della successiva generalizzazione della pratica, altrimenti incomprensibile, della mummificazione che, dal punto di vista dell’antico rituale osiriaco non ha alcun senso, in quanto il corpo è per la terra e l’anima è per il cielo e nella Duat è l’anima che si sottopone al viaggio di purificazione che porterà il cuore spirituale Jb (non il cuore fisico) alla psicostasia, ossia alla pesatura sulla bilancia di Maat e alla conseguente giustificazione.

Il rituale osiriaco è particolarmente descritto nel Libro dei Morti, il quale tuttavia compare solo a partire dal Nuovo Regno (XVIII, XIX e XX dinastia) e accoglie solo in minima parte le formule dei Testi delle Piramidi, anteriori di almeno mille anni (Cimmino[i]).

Dall’XI dinastia compaiono i Testi dei sarcofagi ed è probabile che la trasfigurazione dell’essere umano in un essere divino, ossia nell’akh, appartenga ad una fase nella quale una prerogativa che era solo del faraone o degli dèi, come trasfigurazione dell’umano, sia stata inserita nel percorso osiriaco che, indubbiamente è in relazione con una divinità antichissima, che ebbe somiglianze con gli dèi della fertilità dell’Asia Anteriore. Dèi che, come Osiride, erano morti e resuscitati (Cimmino). [ii]

Durante il Periodo Intermedio, che vede diminuita la funzione faraonica centrale, viene meno anche l’importanza del culto di Ra, che viene associato alle divinità locali e a partire dalla X dinastia (2160-2040 a.C.) “si afferma una certa preminenza di Osiride come divinità sovrana dell’oltretomba; verso la fine dell’XI dinastia, infatti – scrive Cimmino – troviamo per la prima volta attestato l’epiteto di «giustificato» o «giusto di voce», collegato al nome del defunto per dimostrare il diritto ad una serena immortalità”. [iii]

Durante il Periodo Intermedio fa la sua apparizione nei testi religiosi il serpente Apopi che non compare nei Testi delle Piramidi ed è probabilmente da collegare con Tiamat, il serpente babilonese sconfitto da Marduk, all’origine del mondo, e incatenato nel Pozzo dell’Abisso (Cimmino). [iv]

Va, infine, tenuta nella dovuta considerazione l’influenza del sincretismo religioso del periodo ellenistico.

Fatte queste premesse, è interessante affrontare il percorso iniziatico osiriaco in rapporto a quello massonico come un percorso soteriologico, ossia come percorso di liberazione da una condizione non desiderata. Un percorso che, alla luce della biologia e nella neurofisiologia attuali, ha una stretta connessione con l’omeostasi.

Diventare un maa hereu

La Massoneria rivendica un’origine egizia e, conseguentemente, l’orizzonte a cui un massone deve tendere è quello di conformarsi allo “Spirito di Maat”, ossia di diventare un maa hereu, un retto di voce, un giustificato.

E’ quanto indicato nel percorso iniziatico osiriaco, così come si evince da alcuni testi dell’Egitto antico, quali il Libro del venire alla luce, comunemente detto Libro dei morti; il Libro delle ore della notte; il Libro dei Querert e il Libro di ciò che è nella Duat.

Come ci si muove verso quell’orizzonte osiriaco?

Un’indicazione è nel primo passo sulla via del sacro che dal fuori porta al dentro: “Conosci il tuo sé”.

E’ il primo passo che decide la direzione di marcia e il suo senso. E’ il primo passo che orienta. La luce non è nell’oriente fisico, ma nell’orientamento che il primo passo ci dà verso quell’Oriente eterno che non è raggiungibile solo con la morte fisica, ma verso il quale è possibile incamminarsi anche con la morte iniziatica. E’ il primo passo che ci indica la via della Duat che porta all’Amenti, la cui radice è quella di Amon: mn, nascosto. E’ il primo passo che ci conduce laddove si cela la Vera Luce. La via orientante è dentro.

La Duat risiede nel corpo di Nut, non è un Aldilà, ma un Dentro. “Più che una zona «inferiore» – scrive Jeremy Naydler –, è una zona interiore: un mondo sprofondato nell’interno….. è più esattamente una «condizione di vita» propria delle cose dopo essere uscite dalla realtà fisica fino al loro ritorno nell’esistenza fisica. E’ la condizione in cui si recano i defunti, la stessa da cui vengono i viventi. … Tutte le cose che vengono alla luce nel mondo visibile provengono dalla Duat, dove preesistono alla loro nascita e dove tornano quando hanno abbandonato le loro forme fisiche”. [v]

La Duat, “circoscritta da Osiris – aggiunge Jeremy Naydler – è la centrale elettrica spirituale, cioè la sorgente di tutte le forme, e delle forze creatrici e distruttrici cui tutte le forze sono soggette. … ; in quanto mondo dei defunti, è anche un luogo di entità psichiche”.

La Duat è il mondo delle anime disincarnate, il mondo dei viventi in modalità non corporale, come afferma in modo esplicito il Libro dei morti.

“Ed ecco! Anche se mi sono unito alla terra e sono nella più grande e profonda parte del cielo ed anche [se] giaccio sulla terra, io non sono morto nell’Amenti poiché io sono uno Spirito glorificato per l’eternità”. (Per em Ra, detto comunemente Libro dei morti).

La Duat è una Camera di mezzo, una terra di mezzo, un luogo di energie informate e di energie informanti.

Oltre la Duat, oltre l’Amenti c’è il Nun , il vasto oceano, privo di forma e di moto: la tenebra. Nun è la potenzialità della vita non realizzata. Nun è l’equivalente dell’Arché, l’infinito abisso, sorgente di ogni cosa. In un testo egizio il Nun è così descritto:

“L’oscurità totale, sorgente degli dèi…

Come la parte superiore di questo cielo esiste nell’oscurità totale,

i limiti meridionale, settentrionale, occidentale e orientale

della quale sono ignoti,

essendo stati fissati nelle acque, nell’inerzia,

non c’è la luce dell’Ariete,

egli qui non compare,

una regione in cui il sud, il nord, l’ovest e l’est

non sono noti né agli dèi né agli spiriti,

non essendoci qui alcuna luce”. [vi]

 Un viaggio di purificazione

 Il viaggio attraverso la Duat è un viaggio di purificazione, durante il quale il Ba deve lasciare tutti gli aspetti che non sono in armonia con Maat. Aspetti che sono rappresentati dagli ostacoli e da animali mostruosi e terribili che oggi potremmo definire come contenuti dell’inconscio, sia nella sua accezione personale, sia in quella collettiva.

Nella Duat si respira l’aria di Maat, l’aria divina che permea l’universo e che alimenta lo spirito.

L’acqua rappresenta il bagno rituale, lo stesso che i sacerdoti compivano nel laghetto antistante il tempio, ogni mattina. E’ l’acqua che la dea Hathor trae dal sicomoro, il cui nome è Nehet, dalla radice Neh, che significa protezione ed essere profittevole. La dea versa dall’albero l’acqua per l’anima del defunto (iniziato) in un laghetto di purificazione: uno stagno a forma di T, che è evocato dal tau che ritroveremo nelle simbologie successive. Dal lago il defunto (iniziato) attinge l’energia vitale dell’acqua celestiale. L’acqua è quella di Qhobu o Noun, l’abisso liquido primordiale.

I Laghi di Fuoco che il defunto (iniziato) incontra, sono attraversati da coloro che ne cercano e sopportano il bruciante calore purificatore. Il fuoco è quel fuoco che è nel Nun e che agendo produce Tum, la collina primordiale che sorge dal Nun. Questo fuoco e Tum stesso.

L’iniziato, che ha già conosciuto l’iniziazione della terra (la tomba), conosce il respiro di Maat, il vento della Verità e della giustezza, si bagna nelle acque della vita e si brucia nel fuoco creatore.

L’equilibrio è soteriologico.

Il defunto (iniziato), prima di incontrare Osiride, giunge al rituale della pesatura del cuore. Su un piatto della bilancia, retta da Anubis, c’è il cuore e sull’altro la piuma di Maat.

La pesatura non ha significati morali, ma di equilibrio. Se il cuore è in equilibrio i piatti della bilancia saranno anche loro equilibrati. “Il cuore equilibrato – spiega Jeremy Naydler – è quello in cui le forze della psiché sono entrate in armonia con l’essenza spirituale dell’individuo, simbolizzata dal cuore”. [vii]

La moderna neurofisiologia ci dice che il cuore è un cervello che comanda il cervello della testa e il cervello delle viscere. Un cuore equilibrato equilibra l’insieme del corpo. Il cuore equilibrato dell’Antropocosmo equilibra l’insieme dell’Antropocosmo e l’equilibrio è direttamente connesso con la legge vitale dell’omeostasi.

L’equilibrio è soteriologico, è fonte di salute.

Maat è verità, giustizia e ordine. L’affermazione che gli dèi vivono di Maat ne indica la vera qualità di forze immanenti della natura che agiscono in armonia con l’ordine creato.

Maat è la “sposa” di Thoth, patrono delle scienze esatte. L’antitesi di Maat è Asfet, il disordine.

Maat è l’ordine, un concetto che oggi potrebbe essere definito neghentropia.

Asfet è il disordine, un concetto che oggi potrebbe essere definito entropia.

Ordine e disordine sono due spetti della realtà del vivente che sono direttamente connessi con l’omeostasi.

Nella sala Maaty (della doppia Maat: verità e giustizia), alla presenza di Osiride, seduto su uno zoccolo a forma di cubito (segno distintivo anche della dea Maat), avviene la psicostasia, ossia la pesatura del cuore sulla bilancia a due piatti: su uno c’è il cuore JB, ossia il cuore animico e sull’altro la piuma di Maat. Equilibrio tra il principio psichico simboleggiato dal cuore e la giustizia divina simboleggiata dalla piuma.

Se il cuore è leggero, è in ordine, è giustificato. L’iniziato ha raggiunto l’equilibrio e può dire di se stesso: “Ink is maa heru tep ta (Io fui veramente giustificato sulla terra)”.

Iniziati erano coloro che grazie al rituale di iniziazione misterica avevano vinto la morte.

Scopo dei misteri: affrancarsi dalle catene della trasmigrazione animica “fissandosi” nello stato di pura individualità non soggetta ad ulteriori modifiche oppure unendosi, se tale è la via prescelta, all’essere stessa della divinità.

Raggiunto l’equilibrio del cuore, equilibrante dell’insieme dell’essere umano, l’iniziato si presenta al cospetto di Osiride.

Così come Osiride risorge in Horus, l’iniziato risorge a sua volta, concludendo il suo viaggio e salendo alla Luce.

Nel rituale massonico, l’Osiride egizio, trasformato nel leggendario Hiram, vede il Compagno morire, compiere il viaggio iniziatico e risorgere, così come Osiride, nel corpo di Luce di Hiram risorto. Il Ba del Compagno, attinta l’energia dello spirito puro, si trasforma in Akh, in spirito splendente. Il Compagno, divenuto Maestro, ha raggiunto la consapevolezza del suo essere Akh, corpo di luce e, pertanto, della sua immortalità.

Possa io risplendere come Ra,

dopo aver messo da parte ogni falsità.

Tramite me, possa Maat stare alle spalle di Ra.

Possa io risplendere ogni giorno,

come colui che è all’orizzonte del cielo.

Da Oriente a Occidente per rinascere in Oriente

Il Libro egiziano delle due vie, raccolta di testi rinvenuti su vari sarcofagi, ci rende edotti delle due vie legate alla Duat, il mondo interno, dove il defunto percorre i sentieri di Rastau (sotterranei di Giza) e le bocche di passaggio, che sono “dentro l’estremità del cielo”.

Il passaggio dal mondo terreno a quello celeste non riguarda solo la morte fisica, ma anche la “morte” iniziatica. In un testo infatti si legge: “Se qualche uomo prende egli conoscenza di questa formula, e scende (giù) dentro i loro (sentieri), (qui e ora) Egli è dentro un Neter, è un Santo dentro gli accompagnatori di Thoth”.

I testi narrano di una generazione celeste e di una generazione terrena, che imita quella celeste, e di una nascita divina.

“Tu fosti generato (costituito, partorito) – è scritto in un testo – dentro Rastau di Pe”, dove Pe è il mondo animico.

I testi narrano di una trasfigurazione iniziatica, dovuta ad un atto consapevole, che rende l’iniziato uno Spirito raggiante (“Io sono uno spirito raggiante”): “Uno Spirito io ho fatto, qui e ora è Lui, (Egli) viene l’esistenza; uno spirito io ho trascurato, non è lui (che) viene all’esistenza”.

Nella Duat sono posti gli esseri trasfigurati: “Un essere trasfigurato ho posto, un Signore di entrate dentro di essa, fra gli accompagnatori di Osiris. Qui e ora gli accompagnatori che sono in essa, sono questi Spiriti trasfigurati (raggianti), loro stanno seduti dentro di essa, una posterità hanno protetto là, per i loro Signori”.

Nel percorso ci sono “porte di fuoco” e “porte di tenebre”: “Tenebre, tenebre, tenebre. Porta di tenebre. Fuoco, fuoco, fuoco”. “Questo – si legge in un altro testo – è il posto di uno Spirito raggiante che ha appreso a penetrare dentro il fuoco e ad utilizzare le tenebre”.

L’iniziato saluta i Portali: “Salve a voi, Portali, i cui nomi sono segreti, i cui luoghi sono consacrati”.

Se un qualche uomo prende conoscenza di questa formula – è scritto in un altro testo – Egli viene all’esistenza dentro al cielo, l’oriente, come Osiris, all’interno della Duat. Egli viene, Egli scende verso i circoli di fuoco”.

Recitare la giusta formula, come nei riti orfici, chiaramente debitori del pensiero faraonico, testimonia la sua conoscenza e l’essere “giusto di voce” attiva la sua potenza.

La potenzialità trasfigurante

La parola ha, pertanto, un ruolo importante.

“Questa è la parola, la quale è ciò che è all’interno delle tenebre”.

L’analogia del Prologo di Giovanni con il testo egizio è del tutto evidente: il Logos è in Archè.

“Quanto ad ogni spirito trasfigurato il quale apprende essa [la parola], qui ed ora, egli vive tra i viventi. Qui e ora un fuoco circonda essa, la quale è sotto questo efflusso di Osiride. Quanto ad ogni uomo, il quale ha appreso essa, egli non è stato distrutto là in perennità, da che egli apprende, certo, essa dentro Rastau. Rastau è nascosto, da che egli cadde là”.

Va notato che l’anima egizia, della quale il Compagno si rende consapevole, contiene una parte trasfigurante: Sakhu, il primo involucro dello spirito divino che si incarna. L’essere umano ha, pertanto, in se stesso nella sua parte animica, la potenzialità trasfigurante.

Il giusto di voce, colui che si è regolato su Maat (“Io mi sono regolato su Maat”), può dire: “Davvero Ra ha fatto il nome mio, io ho fatto l’anima in favore di Ra”.

L’iniziato costruisce la propria anima rendendosi consapevole del suo nome e delle varie componenti del suo essere e può trasfigurarsi, ossia diventare Maestro (Osiride-Hiram) e può dire. “Io sono il risvegliato”; sono divenuto un iniziato del pane divino”.

La trasfigurazione hiramitica che sconta la morte del corpo (“la carne si stacca dalle ossa”) libera il corpo di fiamma, così come avviene per Lazzaro (rito di iniziazione) e per lo stesso Gesù, il quale avverte la Maddalena. “Non mi toccare”. Lei non lo può più toccarlo, perché il suo corpo non è più di carne ed ossa.

La conoscenza come Apocalisse

“L’anima ha in sé un essere spirituale che conosce”.

Meister Eckhart

Il Libro egizio degli inferi (Libro di Ciò che è nella Duat) è la descrizione di un viaggio iniziatico mediante il quale si realizza lo stato di Akh, il «divino nell’umano», il «corpo di gloria», il «corpo di fiamma».

“La conoscenza quindi – scrive Boris de Rachewiltz – che è richiesta dal testo, comporta già da vivi e sulla terra la realizzazione dello stato di Akh, in altre parole la conquista dell’immortalità”. [viii]

La via iniziatica offerta dalla Massoneria è una via di conoscenza. Percorrere tale via, senza essere determinati a conoscere, è tempo perso.

L’illuminazione, o epopteia, come conoscenza superiore, non è un’acquisizione teorica, concettuale, ma un’esperienza (la somma esperienza), ossia una conoscenza diretta, un provare su di sé

L’illuminazione è apocalisse, non nel senso storico fideistico della fine del mondo e del giudizio universale, ma nel senso proprio di “togliere il velo”.

“Apocalisse – scrive Umberto Galimberti – è, infatti, …svelamento, da apo-kalýpto: dis-occulto, scopro il celato. Il verbo kalýpto, infatti, risale alla radice indoeuropea kel, da cui il celo latino, che significa appunto occulto, copro, nascondo. L’apocalisse svela: in tal senso essa è compimento e fine poiché non concede ulteriorità, non c’è un dopo, non c’è più nulla da sapere o altro da aggiungere”. [ix]

I vari gradi della conoscenza passano dall’esteriorità all’interiorità e sono tutti legati all’esperienza, narrabile ma non trasmissibile, così come si può narrare il cammino che porta alla vetta di un monte, ma non si può raggiungere la vetta di un monte per delega ad un camminatore. Ognuno marcia per se stesso.

Nella lingua greca antica la parola esperienza era indicata con  ἐμπειρία (empeirìa), composta da  ἐν, ἦν (in, all’interno) e πεῖρα (prova) volendo significare che con l’esperienza il soggetto era in grado di saggiare all’interno la realtà, ossia era in grado di intus ligere.

Qui l’Egitto ci viene incontro con tutta la sua forza iniziatica. Per il pensiero faraonico il mondo metafisico (meglio: non materiale) si riversa in quello fisico (meglio: materiale) e lo impregna di significato. La consapevolezza egizia è quella di un mondo fisico (materiale) circondato da un mondo spirituale. La rappresentazione fisica del mondo (terra, atmosfera, cielo) è simbolica e presuppone la capacità di vedere attraverso il fisico, per penetrare nella sua interiorità. E’ l’intus ligere proprio dell’intelletto, che non è la ragione. L’iniziazione deve condurre ad una visione intuitiva, che “penetra nelle forze e negli esseri che esistono nello «spazio spirituale», e che cogliamo nelle raffigurazioni simboliche”. [x]

E’ la percezione tramite l’anima.

In dodici ore la discesa negli Inferi

Le esperienze di unione con il Sé trovano nella Tradizione un punto di riferimento assai interessante nelle iniziazioni dell’antico Egitto, così come ci vengono trasmesse dal Libro di Ciò che è nella Duat, altrimenti detto Libro degli Inferi, il quale è la descrizione di un viaggio iniziatico mediante il quale si realizza lo stato di Akh, il «divino nell’umano», il «corpo di gloria», il «corpo di fiamma».

“La conoscenza quindi – scrive Boris de Rachewiltz – che è richiesta dal testo, comporta già da vivi e sulla terra la realizzazione dello stato di Akh, in altre parole la conquista dell’immortalità”. [xi] Realizzazione che è lo scopo dei Misteri, dei quali quello del “Libro di Ciò che è nella Duat” rappresenta quelli aristocratici, connessi con il percorso del sole, Ra, mentre gli osiriaci rappresentano i Misteri democratici (successivi alla VI dinastia).

Della ritualità misterica egizia sono tributari i Misteri eleusini, i riti orfici e dionisiaci e quelli della celtica Keridwen.

Il percorso iniziatico descritto dal “Libro di Ciò che è nella Duat” si svolge in 12 ore. “Il viaggio notturno del dio Sole nell’Ade, la cosiddetta «discesa negli Inferi» – scrive Boris de Rachewiltz nell’introduzione alla sua traduzione del testo egizio – ci riporta al visita interiora terrae rectificando» della Porta Magica: è il viaggio cosciente del principio solare attraverso varie prove e pericoli «rectificando» ciò che è necessario affinché il «volatile», per dirla con termini alchemici, divenga «fisso» e il Sole possa nascere vittorioso al termine del periglioso viaggio. Gli inferi, quindi – aggiunge Boris de Rachewiltz – costituiscono la simbolica terra che deve essere «conosciuta» e il «Libro» che la descrive è la «guida» per tale viaggio che, come vedremo, può essere compiuto in via naturale dopo la morte oppure, in via eccezionale, già durante la vita. Donde il carattere di testo iniziatico propriamente detto…”. [xii] E’ evidente che il sole che sorge è il corpo di luce.

Il viaggio iniziatico è un avvicinarsi al numinoso centro profondo della psiché, dov’è il Sé, considerato come la manifestazione dell’essenza divina nell’essere umano e “il ruolo centrale dell’archetipo del Sé, il centro sacro della psicologia di Jung – scrive in proposito C. Michael Smith – viene identificato come la base per una vita sana”. [xiii]

Il primo effetto, pertanto, di un percorso iniziatico è la conquista di una vita psicologicamente sana, premessa essenziale per una vita sana anche del corpo, ossia per un equilibrio omeostatico.

Il percorso iniziatico riguarda anzitutto una guarigione spirituale e psicosomatica.

Non a caso le arti liberali, in numero di nove, contenevano, oltre all’architettura, anche la medicina.

©Silvano Danesi

[i] Vedi Franco Cimmino, Storia delle piramidi, Rusconi

[ii] Vedi Franco Cimmino, Storia delle piramidi, Rusconi

[iii] Franco Cimmino, Storia delle piramidi, Rusconi

[iv] Vedi Franco Cimmino, Storia delle piramidi, Rusconi

[v] Jeremy Naydler, Il tempio de cosmo, Neri Pozza

[vi] Citazione in:Jeremy Naydler, Il tempio de cosmo, Neri Pozza

[vii] Jeremy Naydler, Il tempio de cosmo, Neri Pozza

[viii] Boris de Rachewiltz, Il Libro egizio degli inferi, Edizioni della Terra di Mezzo

[ix] Umberto Galimberti, Cristianesimo. La religione del cielo vuoto, Feltrinelli

[x] Jeremy Naydler, Il tempio de cosmo, Neri Pozza

[xi] Boris de Rachewiltz, Il Libro egizio degli inferi, Edizioni della Terra di Mezzo

[xii] Boris de Rachewiltz, Il Libro egizio degli inferi, Edizioni della Terra di Mezzo

[xiii] C. Michael Smith, Jung e lo sciamanesimo, Edizioni Amrita

Silvano Danesi

Silvano Danesi

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