di Filippo M. Leonardi
La ricerca dei fondamenti universali del linguaggio costituisce una impresa utopica paragonabile alla ricerca della mitica Atlantide. In entrambi i casi si tratta di un mistero che ha prodotto innumerevoli indagini, portando ispirazione, ossessione, accanimento e spesso discredito. In entrambi i casi si parte dai dialoghi di Platone. Di Atlantide se ne parla del Timeo e nel Crizia (1). Dell’origine del linguaggio se ne parla invece nel Cratilo (2), in cui si dibatte sul rapporto tra il suono e il significato dei nomi: se tale rapporto sia di tipo convenzionale, dunque arbitrario, oppure naturale, quindi universale.
Entrambi gli argomenti sono dei tabù nei rispettivi campi di indagine. Nessuno, fra storici ed archeologi, si azzarderebbe oggi a considerare l’esistenza di Atlantide per timore di cadere nel ridicolo. Allo stesso modo, le ricerche sull’origine del linguaggio umano sono state bandite dalla Société de Linguistique de Paris fin dal 1866 inserendo nello statuto il divieto di cui all’articolo 2: “La Société n’admet aucune communication concernant, soit l’origine du langage soit la création d’une langue universelle” (3).
Se dunque ognuno di questi argomenti è sufficiente per gridare all’eresia, figuriamoci se si pretende di trattarli insieme ovvero di spiegare l’uno con l’altro. Ma l’azzardo è consentito se si rimane nel campo, per così dire, della tradizione esoterica senza pretesa che si tratti di divulgazione scientifica.
Secondo Cratilo, così come riportato da Platone, il linguaggio umano non sarebbe fondato sulla convenzione, ma avrebbe una capacità espressiva naturale basata sull’imitazione dei significati mediante i suoni, così come un pittore dipinge un ritratto mediante i diversi colori. Più precisamente ogni fonema, che Platone chiama στοιχεῖον “elemento”, ha un significato proprio che deriva dal modo in cui è articolato. Di conseguenza le parole sono formate per combinazione di quei fonemi che meglio ne esprimono il significato.
A differenza dei linguisti “moderni” del XVIII e XIX sec. Platone non prende in alcuna considerazione le interiezioni e le onomatopee, ma precorre i tempi anticipando quella branca della linguistica che oggi chiamiamo fonosemantica, secondo la quale il rapporto tra significante e significato si fonda sulla naturale corrispondenza tra i suoni e i significati ovvero sull’imitazione di tipo geometrico o meccanico tra la forma acustica e la forma che si vuole rappresentare. Per esempio la vocale A è larga, la I è stretta, la O è rotonda, la L è liscia, la R esprime il movimento mentre la T è fissa (4).
In particolare ecco cosa dice Platone riguardo alle dentali e alla liquida laterale: «la forza che al delta (δέλτα) e al tau (ταῦ) deriva dalla compressione e dall’applicazione della lingua pare che egli [colui che ha posto i nomi] la considerasse utile all’imitazione del ‘legame’ (δεσμός) e della ‘sosta’ (στάσις). E accortosi che la lingua scivola particolarmente nel lambda, per assimilarle le denominò le cose lisce (λεῖος), e lo stesso ‘sdrucciolare’ (ὀλισθάνειν) e ‘untuoso’ (λιπαρός), e ‘vischioso’ (κολλώδης) e tutte le altre cose di questo genere» (5).
Dunque i fonemi di tipo dentale come T o D, articolati con la lingua che occlude il canale vocale battendo sui denti o più precisamente sugli alveoli, esprimono l’idea di stasi, stabilità, solidità. La cosiddetta liquida laterale invece, pur essendo articolata nello stesso punto, lascia defluire l’aria ai lati della lingua, per cui esprime l’idea di qualcosa di liscio, fluido, liquido, instabile. Ora, secondo la fonosemantica, la composizione dei fonemi implica la combinazione dei significati, cosicché la radice T+L essendo composta dalla T e dalla L esprime l’idea di qualcosa che è al tempo stesso solido e fluido, fisso e mobile, stabile e instabile. Questo è precisamente il concetto di “equilibrio” per cui non ci dobbiamo sorprendere se nelle lingue indoeuropee dalla radice T+L deriva il nome della “bilancia”, in sanscrito tulā, in greco τάλαντον. In generale esprime l’idea di ciò che è sospeso, appeso ad un punto fisso, in bilico, o che sostiene qualcosa sopra di sé. In latino tollere e tolerare significano appunto “sostenere”, “sopportare”. L’equivalente greco è τλάω / ἔτλην da cui il termine τελαμών con cui si indica una cariatide che ha funzione architettonica di sostegno, di solito raffigurante una figura maschile di notevoli dimensioni che sorregge un carico strutturale. Questo ci ricorda il mito di Atlante (in greco Ἄτλας), il titano condannato da Zeus a tenere sulle spalle il peso della volta celeste e infatti anche il suo nome deriva dalla stessa radice T+L come pure quello di Tantalo (in greco Τάνταλος) condannato a sopportare diversi supplizi fra cui il peso di un masso sopra il suo corpo. E proprio dal nome di Atlante deriva quello di Atlantide, l’isola leggendaria di cui narra Platone, che si trovava appunto nell’oceano Atlantico.
Tornando alla fonosemantica, poiché i suoni hanno un significato per natura e quindi universale, le radici fondamentali si ritrovano in tutte le lingue, anche quelle non direttamente imparentate. Perciò se finora abbiamo considerato la radice T+L nell’ambito della famiglia indoeuropea, possiamo constatare che anche in ebraico la radice assume lo stesso identico significato, come nel verbo talah che infatti significa “sospendere”, “appendere”. Di particolare interesse è il termine teli che in ebraico designa la “faretra” in quanto appesa alla cintola o alla schiena, ma indica anche la costellazione del Drago che è sospesa nel polo nord della sfera celeste. Questo termine compare nel Sepher Yetsirah: “Il drago nell’universo (teli be-‘olam) è come un re sul suo trono, la ruota nell’anno è come un re nella provincia, il cuore nell’anima è come un re in guerra” (6). Riguardo a questo versetto Georges Lahy spiega: “Il termine teli, drago, è il più enigmatico dei tre perché non è una parola di uso corrente, e si riscontra solo una volta nella Bibbia: – Or dunque, prendi le tue armi, la faretra (teli) e l’arco, va in campagna, prendimi della caccia – (Gen. 27:3). In questo testo teli ha il significato di “faretra”, termine che indica precisamente qualcosa di sospeso, poiché proviene dalla radice talah che è il verbo sospendere” (7).
Nel Libro di Giobbe il verbo talah è utilizzato in riferimento al polo nord e all’equilibrio della terra nello spazio vuoto: “Egli stende (natah) il settentrione sul vuoto, tiene sospesa (talah) la terra sul nulla” (8). Più precisamente, il termine ebraico natah significa “inclinare” perciò qui c’è un significativo riferimento all’inclinazione dell’asse terrestre: “Egli inclina il settentrione sul vuoto, tiene sospesa la terra sul nulla”. Aggiunge Lahy: “Nel Pardes Rimonim (21:8), Moses Cordovero afferma che teli è l’asse immaginario intorno al quale ruotano i cieli, una linea immaginaria che supporta la rotazione della sfera celeste. Ma vi sono due modi di interpretare teli, uno mistico e l’altro astronomico […] La via astronomica identifica teli con il “serpente fuggitivo” citato nel versetto: “Col suo soffio fece limpido il cielo; con la sua mano trafigge il serpente Bariach” (Giobbe 26:13), identificato con il Leviatano e spesso associato alla costellazione del Drago (9).
Dalla radice T+L in sanscrito deriva il nome della Bilancia tulā che, come ci fa notare René Guénon, in origine non indicava l’attuale costellazione zodiacale bensì la costellazione polare dell’Orsa o Carro Maggiore. Il nome Tula è stato anche usato per indicare il centro della Tradizione Primordiale che in origine si collocava al polo Nord, ma quando questo decadde, lo stesso nome si trasferì ai centri secondari posti a latitudini inferiori: “Cosí la Tula atlantica, il cui nome si è conservato nell’America centrale introdottovi dai Toltechi, dovette essere la sede di un potere spirituale che era come una emanazione di quello della Tula iperborea; e, poiché il nome Tula designa la Bilancia, la sua doppia applicazione è in stretta relazione con il trasferimento di questa stessa denominazione dalla costellazione polare dell’Orsa Maggiore al segno zodiacale che porta ancor oggi il nome di Bilancia” (10).
Dalla stessa radice sembra derivare anche il nome di un’isola leggendaria collocata all’estremo nord, chiamata Thule (Θούλη) dai greci e Tile da Olao Magno in una carta nautica del 1539 (11).
Guénon identifica la bilancia polare con l’orsa maggiore, ma se consideriamo anche l’orsa minore, insieme formano una bilancia a due piatti con il fulcro in posizione intermedia che ricade proprio su Thuban che è denominata anche alpha draconis, essendo la stella più luminosa della costellazione del Drago. Per la precessione degli equinozi Thuban è stata la stella di riferimento del polo Nord nel periodo dal 4000 a.C. al 1800 a.C. All’epoca era veramente il fulcro della bilancia polare, poi a seguito del movimento di precessione degli equinozi l’asse terrestre si è spostato rispetto alla volta celeste fino ad allinearsi con la stella polare.
Nella tradizione indù il nome dell’Orsa Maggiore è sapta-riksha, cioè “sette orsi”. Il sanscrito riksha è identico al greco ἄρκτος che significa letteralmente “orso”, poi usato per indicare la residenza degli orsi, cioè la regione polare detta appunto “artica” e di conseguenza il “nord” come punto cardinale.
Secondo Guénon: “In un determinato periodo, il nome sapta-riksha fu applicato non più all’Orsa Maggiore ma alle Pleiadi, che comprendono anch’esse sette stelle; tale trasferimento da una costellazione polare a una zodiacale corrisponde a un passaggio dal simbolismo solstiziale al simbolismo equinoziale, passaggio che implica un cambiamento nel punto di partenza del ciclo annuale, così come nell’ordine di prevalenza dei punti cardinali che sono in relazioni con le diverse fasi di questo ciclo. Tale cambiamento è qui quello dal nord all’ovest, che si riferisce al periodo atlantideo; e ciò risulta chiaramente confermato dal fatto che, per i Greci, le Pleiadi erano figli di Atlante e, come tali, chiamate anche Atlantidi” (12).
Ebbene anche Atlante ha a che fare con l’asse polare, non soltanto perché nel mito regge in equilibrio la volta celeste, ma anche per aver aiutato Prometeo ad uccidere il Drago che custodiva i pomi nel giardino delle Esperidi, dopodiché Era collocò il Drago come costellazione nel cielo. Le Esperidi, secondo alcune versioni del mito, erano anch’esse figlie di Atlante. Il nome delle Esperidi deriva da ἑσπέρα che significa “sera” per cui di solito il giardino delle Esperidi è collocato a occidente, tuttavia il termine potrebbe riferirsi anche alla regione artica, là dove si verifica il particolare fenomeno del crepuscolo polare, cioè della presenza di una certa luminosità crepuscolare anche nelle ore diurne della lunga notte di sei mesi. Anche per il giardino delle Esperidi potrebbe essersi verificata la stessa traslazione simbolica da nord a ovest cui si riferisce Guénon. Per il giardino dell’Eden, invece, potrebbe essere avvenuta una traslazione di segno opposto. Il versetto biblico gan be-‘eden mi-qedem fu tradotto nella LXX come “giardino dell’Eden in oriente” ma l’ebraico qedem indica qualcosa che è vicino al suo principio, quindi può significare sia “orientale” che “originario” per cui San Gerolamo, nella Vulgata, tradusse più fedelmente con paradisum voluptatis a principio (13).
Ricapitolando, la radice TL secondo i criteri della fonosemantica esprime il significato naturale e universale di qualcosa che sta sospeso in equilibrio, formando in sanscrito il nome tula che significa “bilancia” ed originariamente indicava la costellazione polare dell’Orsa Maggiore. In ebraico forma il nome teli che indicava la costellazione polare del Drago. In greco, oltre al nome della bilancia τάλαντον, forma anche il nome di Atlante che nel mito sosteneva il peso della volta celeste. In un’epoca remota il nome Tula, che prima indicava il centro della tradizione primordiale collocato al polo nord, è stato trasferito a centri secondare a latitudine inferiore. Parallelamente il nome della bilancia ha perduto la sua connotazione polare, passando ad indicare la costellazione zodiacale. Anche la denominazione di “sette orsi” che originariamente indicava la costellazione dell’orsa maggiore è stata trasferita alla costellazione delle Pleiadi che secondo il mito erano figlie di Atlante. Tutte queste corrispondenze simboliche ci suggeriscono un nesso tra Atlantide e l’equilibrio della terra ovvero della stabilità dell’asse terrestre rispetto alla sfera celeste.
Poiché attualmente l’asse terrestre risulta inclinato rispetto al piano dell’eclittica, c’è chi ha ipotizzato che in origine l’asse fosse perfettamente perpendicolare: “A tal riguardo R.M. Gattefossé aveva formulato quest’ipotesi, singolare quanto seducente: «La Terra era allora riscaldata regolarmente dal Sole come una palla che riceveva tutto l’anno, perpendicolarmente al suo equatore, i raggi calorifici. La Fascia di terra che va dall’equatore fino alle nostre regioni era costantemente torrida, la zona temperata s’estendeva senz’inverno fino ai confini del Polo, senza primavera e senz’autunno. Era l’estate perpetua. Solo dopo un cataclisma che sconvolse quest’equilibrio permanente nacquero le stagioni»” (14).
A tal proposito Julius Evola ci ricorda che la deviazione dell’asse terrestre assume un significato cosmologico: “Si sa che per la causa astrofisica costituita dall’inclinazione dell’asse terrestre si ha epoca per epoca uno spostarsi dei climi. Peraltro, secondo la tradizione, questa inclinazione si sarebbe realizzata ad un dato momento e, a dir vero, nella sintonia fra un fatto fisico e un fatto metafisico: come nel senso di un disordine della natura riflettente un dato fatto d’ordine spirituale” (15).
Ebbene la fine di Atlantide, travolta da un cataclisma, secondo Platone fu causata dalla decadenza spirituale dei suoi abitanti: “Quando la parte divina venne estinguendosi in loro, mescolata più volte con un forte elemento di mortalità e il carattere umano ebbe il sopravvento, allora, ormai incapaci di sostenere adeguatamente il carico del benessere di cui disponevano, si diedero a comportamenti sconvenienti, e a chi era capace di vedere apparivano laidi, perché avevano perduto i più belli tra i beni più preziosi, mentre agli occhi di coloro che non avevano la capacità di discernere la vera vita che porta alla felicità allora soprattutto apparivano bellissimi e beati, pieni di ingiusta bramosia e di potenza. Tuttavia il dio degli dèi, Zeus, che governa secondo le leggi, poiché poteva vedere simili cose, avendo compreso che questa stirpe giusta stava degenerando verso uno stato miserevole, volle punirli, affinché, ricondotti alla ragione, divenissero più moderati” (16).
Sebbene il racconto si interrompa bruscamente, Platone dice chiaramente che Atlantide fu distrutta per punizione divina a causa della sua corruzione. I dati tradizionali suggeriscono una corrispondenza cosmologica tra la deviazione morale dell’uomo e il disordine cosmico, perciò la decadenza umana è messa in relazione con l’inclinazione dell’asse del mondo, che forse si può intendere non soltanto in senso simbolico.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:
(1) Platone, Timeo, 17a-27b; Platone, Crizia, 113-12c. > Platonis Opera, Ed. John Burnet, Oxford University Press, 1903.
(2) Platone, Cratilo, 426c-427d.
(3) Société de Linguistique de Paris, Statuts du 8 mars 1866 > https://www.slp-paris.com/statuts1866.html.
(4) Filippo M. Leonardi, Approccio geometrico alla Fonosemantica, academia.edu, 2013.
(5) Platone, Cratilo, 427a-427b.
(6) Sepher Yetsirah, cap. 6, 2.
(7) Georges Lahy, Le Sepher Yetsirah: livre kabbalistique de la formation; textes, traductions et commentaires, 1995 > Sépher Yetzirah – Il libro della formazione, Venexia, Roma, 2006, p. 185.
(8) Giobbe 26:7.
(9) Georges Lahy, Op. Cit., p. 186.
(10) René Guénon, La situazione della civiltà atlantidea nel “manvantara”, Le Voile d’Isis, agosto-settembre 1931 > Forme tradizionali e cicli cosmici, Edizioni Mediterranee, 1974, p. 37.
(11) Olof Månsson (Olaus Magnus), Carta marina del 1539.
(12) René Guénon, Le Sanglier et l’Ourse, Études Traditionnelles, agosto-settembre 1936 > Symboles fondamentaux de la Science sacrée, Gallimard, Paris, 1962 > Simboli della Scienza Sacra, Adelphi, Milano, 1990.
(13) Filippo M. Leonardi, Il Paradiso Perduto, Nuovo Giornale Nazionale – 10 luglio 2023.
(14) Gaston Georgél, Le quatre âges de l’humanité, Arché, Milano, 1975 > Le Quattro Etá Dell’umanitá – introduzione alla concezione ciclica della storia, Il Cerchio Editore, Rimini, 1982, p. 88.
(15) Julius Evola, Rivolta contro Il Mondo Moderno, Edizioni Mediterranee, Roma, 1969 > 1988, Cap. 3, Il polo e la sede iperborea, p. 235.
(16) Platone, Crizia, 121a-121c.