di Silvano Danesi
“Un libro è importante se, in un certo momento, dalla sua fonte viene ricevuta un’informazione capace di far mutare una convinzione o una prospettiva rispetto alla medesima; cioè se riesce a far cambiare qualcosa nel pensiero del lettore e non semplicemente a confermare un’idea”.
E’ questo il pregio fondamentale, ben sintetizzato nella prefazione di Pino Vadico, del libro di Alfio Manoli dal titolo “Il Rito Scozzese Antico e Accettato – L’ineffabile Ordine tra Leggenda, Mito e Realtà” (Edizioni Giuseppe Laterza).

Volume elegante, di oltre 400 pagine, il testo di Alfio Manoli, ha un altro pregio indiscutibile: quello di mettere a disposizione del lettore una raccolta sistematica dei documenti relativi al Rito Scozzese che consente al lettore comune, all’iniziato e allo storico, di avere a disposizione un materiale documentario sul quale costruire le proprie considerazioni.
Alfio Manoli è nato a Lentini (Siracusa) nel 1957 ed è laureato in Giurisprudenza e Scienze dell’Amministrazione. Animato da spirito di ricerca e di indagine, ha inseguito le tracce di un percorso, rendendoci alcuni preziosi punti di riferimento che cambiano radicalmente alcune narrazioni tanto consuete, quanto erronee, sul Rito Scozzese, uno dei riti maggiormente seguito da chi frequenta l’ambiente latomistico.
Una delle narrazioni consuete ed errate è che gli ultimi tre gradi del Rito Scozzese siano da considerarsi “amministrativi”.
Da qui nasce la convinzione che la parte iniziatica ed esoterica si concluda con il 30° grado e che il 31°, il 32° e il 33° siano dedicati all’amministrazione del Rito: una sorta di burocratico governo che si occupa di norme, statuti e regolamenti da far rispettare.
Il libro di Manoli, a pagina 92, cambia radicalmente questa convinzione, riportando la realtà degli ultimi tre gradi alla loro vera natura.
Nel “Rapporto del dialogo tra il re Federico II e il primo dignitario di Corte del gabinetto reale: Manfredo Von Linzburg . Corte di Prussia – Nella notte del 30 aprile 1786” si legge: “Gli ultimi 3, ovvero il 31°, il 32° e il 33°, rappresentano l’Ars Pontificia, ossia l’iniziazione sacerdotale”.
Quanto è scritto nel Rapporto del 1786 è perfettamente in linea con quanto è detto nel IV Grado “Maestro Segreto”, laddove l’Oratore dice: “Qui si manifesta la saggezza della Massoneria; essa è la sola che agisca sui suoi adepti con una lunga serie di iniziazioni, secondo il procedimento dei sacerdoti dell’Egitto, di cui riconosce l’insegnamento come il punto di partenza”.
Il riferimento all’Egitto antico è del resto contenuto già nel II Grado di Compagno, nel cui rituale si legge: “L’Architettura, la più nobile fra le arti liberali, è la scienza della quale i saggi dell’antichità si sono serviti per esprimere la bellezza. L’Architettura ebbe la sua culla in Egitto, paese originario della Libera Muratoria. Questi saggi furono i nostri illustri predecessori che ci trasmisero il titolo di Massone, del quale tanto ci onoriamo”.
Il libro di Manoli, pertanto, ci consente, su un punto essenziale, di cambiare radicalmente la narrazione corrente e riportare i tre gradi finali del Rito alla loro autentica natura, la qual cosa ha un’implicazione enorme, in quanto conferisce all’insieme del percorso massonico un carattere di sacralità.
Un secondo interessante contributo, che potrebbe far cambiare opinione su una paternità contestata, è riportato in un testo del 1854, citato da Manoli, scritto da Francesco Kugler dal titolo: “Storia di Federico il Grande”.

Nel testo si legge che “l’anima di Federico II lo determinò a farsi iscrivere alla Confraternita dei Framassoni. […]. La sua accettazione avvenne nell’anno 1738 a Brunnswik, in un viaggio fatto in compagnia del padre. […]. Volle Federico II che lo si considerasse siccome un privato e per riguardo al suo rango non si mutassero le solite cerimonie. Così fu accolto con la solita forma”.
Stando a questo testo, Federico II su accolto come massone nel 1738.
Nel testo citato si legge inoltre che nel 1743, nell’occasione della fondazione di un forte, Federico II pose la prima pietra con cazzuola e martello d’argento e che “la inscrizione che vi fu sovrapposta, sembra colleghi quell’atto alla dignità di Gran Maestro, che il Re ricopriva nell’Ordine dei Framassoni”.
Le Costituzioni federiciane del Rito Scozzese sono del 1786, nelle quali Federico II è indicato come Gran Maestro dell’Ordine dei Framassoni.
In un incontro di qualche giorno fa, in quel di Parma, dove cortesemente mi ha fatto dono del suo libro, Alfio Manoli mi ha detto: “Sommando le informazioni acquisite, quanto meno da un testo datato in tempi non sospetti (in riferimento alla convinzione generalizzata che dette costituzioni sarebbero state apocrife) potrei continuare serenamente a sostenere la paternità in capo a Federico II il Grande delle Grandi Costituzioni del 1786 che, ritengo, ebbero a prendere spunto dalle Grandi Costituzioni dette Francesi del 1762”.
“Interessante riscontro, che non ritengo casuale – ha aggiunto Manoli – , sono le onorificenze di cui era insignito Federico II. Si nota che egli era: Gran Maestro dell’Ordine dell’Aquila Nera (onorificenza prussiana) e Cavaliere dell’Ordine dell’Aquila Bianca (onorificenza polacca). Nella lista dei gradi del Sistema dei Principi del Real Segreto composta da 25 gradi, il 24° è definito: “Illustri cavalieri di Kadosch Comandanti dell’Aquila Bianca e Nera”.
Stando così le cose ne deriva il fatto che a fondare il Rito Scozzese è stato un Gran Maestro dell’Ordine dei Framassoni, la qual cosa, suggerisce Alfio Manoli, mette ai verti del Rito il Gran Maestro che è anche Sovrano Gran Commendatore.
Cosa, questa, destinata a far discutere per quanto riguarda l’attuale configurazione del Rito dove in alcuni casi il Gran Maestro è emanazione del Sovrano Gran Commendatore e in altri, dove c’è separazione tra Ordine e Rito, le due cariche sono distinte e indipendenti.
Comunque sia, rimane il fatto, secondo la documentazione offertaci da Manoli, che a dare vita al Rito Scozzese è stato un Gran Maestro dell’Ordine.
Anche solo questi due argomenti sono sufficienti per conferire al libro di Manoli la caratteristica di una pietra miliare nella ricerca dell’autenticità della linea iniziatica massonica, che vede un Gran Maestro istituire un rito e stabilire che questo rito si conclude con tre gradi sacerdotali.
Questa prospettiva offerta dal testo di Manoli è di fondamentale importanza, in quanto, in un periodo triste, che vede la Massoneria attraversata da logiche profane e da inutili discussioni di legittimità o, peggio, di rivendicazione di sedi, tesoretti, e quant’altro, riporta l’attenzione sull’autentico significato del percorso massonico che è iniziatico e, pertanto volto alla conoscenza, nella costante tensione verso la verità nella sua accezione di aletheia (ἀλήθεια), dal significato di «dischiudimento», «svelamento», «rivelazione» o «verità».
Il significato letterale della parola ἀ–λήθεια è «lo stato del non essere nascosto; lo stato dell’essere evidente» e implica anche la sincerità, ossia l’essere sin cera, senza maschera, in quanto capaci di conoscersi in quel Sé al quale ci invita Apollo con il suo “Conosci il tuo Sé”.
Risiede in questo l’essere etici, laddove l’etica è dimorare presso il divino.
Acquista un senso preciso nel rituale del 31° Grado il riferimento alla “Bilancia della Giustizia”, che è Maat (giustezza, equilibrio, armonia), fondamentale riferimento archetipico per la psicostasia che indica la cerimonia dell’antico Egitto (Libro dei Morti) nota come “pesatura del cuore”, o ” pesatura dell’anima”.
Superato il passaggio dell’osirificazione, il Giusto di Voce, l’Osiride Giustificato, entra nell’Ars Pontificia, in quanto si è riconosciuto come Essere di Luce, Sé senza maschera.
Acquista così un significato preciso anche la frase “Salix nomi tengu” che compare nel 32° Grado, il cui anagramma è: “Lux ines agit nos”, dal significato di: “Ci muove la luce interiore o la luce interiore ci guida”.
Infine, non è un caso che gli appartenenti al 33° Grado si salutano e si riconoscono nei loro sacri numeri.
Sacri, appunto.
Nella fotografia di copertina Federico II di Prussia






