di Filippo M. Leonardi
Secondo una certa tradizione gli animali devono essere interpretati, allegoricamente, come una rappresentazione degli istinti, delle pulsioni, dei desideri, delle sensazioni e dei sentimenti. Si chiamano dunque “animali” in quanto dotati di anima ovvero in quanto rappresentazioni delle passioni dell’anima (τῆς ψυχῆς τὰ πάθη) e dei tipi psicologici.
In generale l’uomo, come apice della creazione, riassume in sé tutte le facoltà dei gradi di esistenza inferiori, per cui l’anima umana risulta composta da tre diversi tipi di anime: l’anima vegetativa, tipica delle piante; l’anima sensibile, tipica degli animali; l’anima intellettiva, che è propria dell’uomo. San Tommaso d’Aquino le chiama rispettivamente: anima vegetabilis, anima sensibilis, anima rationalis (1). Questa tripartizione dell’anima è una sistemazione effettuata dalla Scolastica sulla base delle considerazioni espresse da Aristotele nel De anima: le piante hanno solamente la funzione nutritiva (θρεπτικόν) e generativa (γεννητικὸν); gli animali hanno anche gli appetiti (ὀρεκτικόν), la sensibilità (αἰσθητικόν) e la locomozione (κινητικὸν); l’uomo ha in aggiunta a tutte queste funzioni anche la facoltà intellettiva (διανοητικόν) (2).
Sulla base di questa corrispondenza simbolica ed allegorica, le piante e gli animali rappresentano rispettivamente, nella Genesi, le funzioni dell’anima vegetativa e dell’anima sensibile, che è detta tale in quanto soggetta ai sensi. Filone di Alessandria lo dice chiaramente paragonando i sensi ad un branco di animali: «la natura ha fatto nascere insieme a ciascuno di noi una mandria e, in effetti, l’anima fa spuntare come da un’unica radice due germogli, di cui uno, lasciato assolutamente indiviso, è detto intelletto, mentre l’altro, diviso sei volte, consta di sette parti: i cinque sensi e i due organi della fonazione e della generazione. Ora, tutto questo gruppo, essendo privo di ragione, è stato paragonato a delle mandrie e pertanto, secondo una legge di natura, esso ha necessariamente bisogno di una guida proprio in quanto è una massa». L’intelletto ha il compito di governare i sensi e gli istinti come un pastore la sua mandria, altrimenti essi prendono il sopravvento e si disperdono: «in un modo del tutto analogo si comporta la mandria dei sensi, la quale, subito approfittando dell’indolenza e della trascuratezza dell’intelletto, riempitasi a dismisura di un eccesso di sensazioni, scuote il giogo e va allo sbando dovunque le capiti» (3).
Una interessante rappresentazione allegorica dei due tipi di anime inferiori la si può trovare nel libro della Genesi. E’ abbastanza nota la disputa sull’interpretazione delle cosiddette “tuniche di pelle” di cui Dio rivestì Adamo ed Eva prima di cacciarli dal giardino dell’Eden: «E il Signore Dio fece delle tuniche di pelle per Adamo e sua moglie e li rivestì» (4). Secondo gli gnostici dovevano intendersi come una rappresentazione dell’involucro corporeo. I Padri della Chiesa, come Origene, Metodio di Olimpo, Gregorio di Nissa o Sant’Agostino, rifiutavano questa interpretazione troppo estrema ma comunque consideravano le tuniche, fabbricate con le pelli di animali morti, come simbolo della condizione mortale dell’uomo. D’altra parte nella Bibbia vi è almeno un caso in cui il vestito di pelle è usato esplicitamente come simbolo fisiologico. Così Giobbe si rivolge al Creatore: «Mi hai rivestito di pelle e di carne e mi hai intessuto di ossa e di nervi» (5). Da notare che qui è stato usato il verbo labash (“rivestire”) che è lo stesso della Genesi.
Occorre notare anche che le “tuniche di pelle” sostituiscono i perizomi di foglie di fico che Adamo ed Eva avevano usato per coprire la propria nudità: “Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture” (6). A questo punto non è difficile capire che qui si parla, in forma allegorica, non dei rivestimenti del corpo, ma rivestimenti fisiologici ovvero di involucri psichici in ordine evolutivo, dal più antico al più recente: le cinture di foglie vegetali rappresentano l’anima vegetativa, mentre le tuniche di pelle animale, rappresentano l’anima sensibile.
Il simbolismo tradizionale utilizza la forma ramificata, tipica della crescita vegetale, per rappresentare il corpo umano, che assomiglia a un albero rovesciato (7) la cui radice o ceppo corrisponde propriamente alla testa, la parte centrale del corpo al tronco e gli arti ai rami. Questa analogia è stata intesa fin dall’antichità sia in senso fisico, sia in senso metafisico, come una sorta di specularità invertita tra il mondo vegetale e il mondo animale. Secondo Aristotele: «L’alto e il basso non è lo stesso per tutti. Ciò che è la testa per gli animali, sono le radici per le piante, perciò bisogna distinguere o identificare gli organi per la funzione» (8).
Secondo Robert de Wimi: «Dio volle che l’uomo fosse come un albero rovesciato, per indicare che come l’albero trae la sua virtù dalla terra mediante la radice che vi è infissa, così noi siamo stati creati, infissi nella nostra terra natale, ovvero nel cielo, nostra radice, vale a dire nella mente, rappresentata dalla testa» (9).
La particolare disposizione dell’uomo dipende dal suo orientamento verso il cielo, per cui la sua facoltà principale è posta al vertice del corpo, al contrario delle piante che hanno la radice nel terreno: «Poiché l’uomo è una pianta celeste, non terrestre, conviene che abbia la facoltà razionale alla sommità, come una radice, al fine di desiderare le cose celesti e di riceverne; e che abbia tutto il corpo eretto ed appeso al cielo, da cui scaturisce la prima generazione dell’anima […] Pertanto che essa fosse contenuta nella testa e nei recessi dello stesso cervello e quindi nei restanti, cosicché presiedesse tutto il corpo ed influisse anche su tutte le membra» (10).
La forma dell’albero si riscontra non soltanto nella forma generale del corpo umano, ma anche nelle sue strutture interne, con particolare evidenza nel sistema nervoso che si sviluppa in forma ramificata a partire dal cervello verso le parti inferiori.
Galeno di Pergamo, l’illustre medico vissuto sotto l’impero romano, osservò che i traumi del rachide cervicale possono provocare la paralisi, l’afasia, l’insensibilità e l’arresto della respirazione, a causa dell’interruzione del collegamento tra il cervello e il resto del sistema nervoso. Infatti: «il principio di tutte queste funzioni è il cervello, nel quale sono piantate come in un campo le radici dell’anima razionale. E da qui si sviluppa come il tronco di un albero verso il midollo spinale. Da questo tronco, esteso lungo tutta la spina dorsale, si dipartono moltissimi nervi come i molteplici rami che si suddividono a partire dai germogli» (11).
Nella prospettiva tradizionale ogni parte del microcosmo deve collocarsi in armonia con le altre, in base ad un criterio di ordine e corrispondenza analogica. Perciò risulta evidente una contraddizione, cioè che il cervello, pur essendo freddo e umido, si trovi nella parte alta del corpo, dove invece dovrebbero stare le parti più calde e volatili. Ma il fatto si spiega proprio con l’inversione dell’uomo rispetto alla pianta: «nessuno deve meravigliarsi se la materia pesante e fredda del cervello pare essersi scelta come sede l’apice della testa, poiché l’uomo, come è indicato dalla parola greca anthropos, è un albero rovesciato i cui capelli sono le radici, cosicché in conseguenza del rovesciamento ha la testa rivolta in alto verso il cielo, sebbene nell’ordine naturale il cervello dovrebbe occupare la parte inferiore» (12).
Ruggero Bacone non considera solamente la radice, ma estende l’analogia anche all’apparato riproduttivo: «non è assurda quella similitudine ed analogia che l’uomo sia come una pianta rovesciata. Infatti la testa è la radice dei nervi e la facoltà degli animali; mentre le parti seminali sono le più basse, se non consideriamo le estremità delle tibie e delle braccia. Invece nella pianta, la radice che è come una testa, normalmente si colloca nel luogo più basso, mentre i semi nel più alto» (13). Già Aristotele aveva notato, viceversa, che: «per le piante le radici sono gli equivalenti di bocca e testa, mentre il seme è al contrario, poiché viene prodotto sopra le estremità dei rami» (14).
Se consideriamo la nascita dell’uomo, l’analogia con la pianta è ancora più stringente. Infatti il feto si sviluppa dentro l’utero, come un seme dentro un vaso, quello che Dante Alighieri chiama «natural vasello» (15). Giorgio della Torre, medico e botanico, verso la fine del XVII sec. esprime ancora la stessa similitudine: «un mirabile modellatore, non si sa come, forma l’uomo da una minuscola goccia di seme e gettato nell’utero materno lo fa crescere notevolmente mediante le vene; così pure una certa forza vegetativa produce le piante da un piccolissimo seme e lo alimenta per mezzo delle radici diffuse nella terra nutrice» (16).
La parte che si sviluppa per prima nel feto è proprio la testa, come la radice per la pianta. Esso cresce a testa in giù, proprio come una pianta, ma solo dopo la nascita è raddrizzato e diventa inversamente una pianta rovesciata.
Secondo la prospettiva tradizionale l’uomo sviluppa in sequenza tre tipi di anima, dall’inferiore alla superiore: l’anima vegetativa, che è simile a quella delle piante; l’anima sensibile, che è tipica degli animali; l’anima razionale, che è propria dell’uomo. Questa sequenza è mirabilmente riassunta da Dante Alighieri nella Divina Commedia. Il primo tipo di anima che si sviluppa nel feto è dunque l’anima vegetativa, che nella pianta rappresenta la condizione definitiva, mentre nell’uomo è solo un passaggio intermedio del suo sviluppo prenatale, sicché Dante dice: «anima fatta la virtute attiva / qual d’una pianta, in tanto differente / che questa è in via e quella già a riva» (17). Successivamente si sviluppa l’anima sensibile, che per l’animale è la condizione definitiva, ma nell’uomo è ancora un punto di passaggio, poiché accade che «d’animal divegna fante». Infine l’anima razionale, che Dante identifica con «il possibile intelletto» (18), si sviluppa nel feto non appena sia stato completamente formato il cervello: «e sappi che, sì tosto come al feto / l’articular del cerebro è perfetto, / lo motor primo a lui si volge lieto / sovra tant’arte di natura, e spira / spirito novo, di vertù repleto, che ciò che trova attivo quivi, tira / in sua sostanzia, e fassi un’alma sola, / che vive e sente e sé in sé rigira» (19). Vale a dire che si forma un’unica entità spirituale che contiene in sè i tre tipi di anima: l’anima vegetativa «che vive», l’anima sensibile «che sente», l’anima razionale «che sé in sé rigira», cioè che ha la capacità di riflettere su se stessa.
NOTE:
(1) San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, Quaestio de anima.
(2) Aristotele, De anima, Lib. III, 9, 432a-432b.
(3) Filone d’Alessandria, De agricoltura, 30-31; 34.
(4) Genesi 3, 21.
(5) Giobbe 10, 11.
(6) Genesi 3, 7.
(7) Filippo M. Leonardi, Arbor inversa microcosmica, 2020.
(8) Aristotele, De partibus animalium, IV, 10, 18 (687a-687b).
(9) Robert de Wimi, Sermo LIII.
(10) Abraham Zacuto, De medicorum principum historia, V, 8.
(11) Galeno di Pergamo, De usu partium corporis humani, XII, 4.
(12) Coluccio Salutati, De laboribus Herculis, II, 8, 11.
(13) Francesco Bacone, Novum Organum, II, 27.
(14) Aristotele, Ibidem.
(15) Dante Alighieri, Purgatorio, XXV, 45.
(16) Giorgio della Torre, Purgatorio, XXV, 45.
(17) Dante Alighieri, Purgatorio, XXV, 52-54.
(18) Ibidem, XXV, 65.
(19) Ibidem, XXV, 68-75.