di Silvano Danesi
Tra gli oggetti del culto di Apollo, il tripode, conservato a Delo e a Delfi, ha un’importanza primaria.
“Il più celebre [degli oggetti, ndr] – scrive Christian Jacq – era il tripode di Delfi che, oltre al suo stretto legame con la sacerdotessa Pizia, esalta la simbologia del numero Tre. Il Tre è onnipresente nelle tradizioni antiche dove si parla continuamente di tre mondi, dei tre passi della creazione, degli avvenimenti del terzo giorno, dei tre stati spirituali dell’essere e della società, ecc.”. [i]
Il numero tre non è il semplice frutto di una modellizzazione della mente riguardante la ricerca di una modalità per rappresentare il divino nella sua essenza e nella sua esistenza. Il tre è lo schema base della nostra esistenza, il condizionamento primario della nostra mente sin da quando veniamo concepiti, è lo schema base della dimensione spazio temporale entro la quale siamo.
Il fatto che lo spazio potrebbe avere un qualsiasi numero di dimensioni “grandi” solleva l’affascinante questione del perché la Natura abbia scelto il numero tre.
C’è qualcosa di speciale nel numero tre?
“Negli anni ’50 il matematico inglese Geral Whitrow osservò che se lo spazio avesse quattro dimensioni e le leggi della gravitazione e dell’elettromagnetismo rimanessero invariate, saremmo nei pasticci. La legge dell’inverso del quadrato diventerebbe una legge dell’inverso del cubo e una semplice indagine mostra che le orbite planetarie sarebbero instabili. La Terra cadrebbe presto a spirale nel Sole. Analoghi problemi alla stabilità riguardano gli atomi. In cinque o più dimensioni i problemi si aggravano. E se ci fossero soltanto due dimensioni, le onde avrebbero difficoltà a propagarsi e a riflettersi, il che porterebbe a complicazioni che potrebbero compromettere la capacità dei sistemi complessi di comportarsi in modo coerente. Withrow concluse che la vita sarebbe impossibile in uno spazio con un numero di dimensioni diverso da tre. Due dimensioni sono troppo poche, quattro sono troppe, ma tre dimensioni sono, per dirla con Riccioli d’oro [una favola inglese], proprio giuste”. [ii]
Come sostiene Paul Davies, siamo intrappolati nelle tre dimensioni spaziali che osserviamo. Le particelle del nostro corpo e tutti gli oggetti che ci circondano vivono in uno spazio tridimensionale e non sono libere di muoversi in una dimensione aggiuntiva.[iii]
Noi apparteniamo al tre, alla spazialità tridimensionale, e pertanto il tre è per noi uno degli archetipi primordiali, connaturati con la nostra stessa esistenza. La nostra mente non riesce a immaginare, quando pensa al mondo e al corpo che la ospita, se non in base ad uno schema ternario. Lo schema ternario è, dunque, il nostro schema di riferimento fondamentale, ossia a fondamento dell’idea che noi abbiamo della nostra esistenza.
Il Tre nella Tradizione – Il Trimundio vedico e gli schemi dei Bardass
Come sappiamo, ciò che è in alto è come ciò che è in basso, essendo la Regola una e, dunque, lo schema ternario è una declinazione della Regola, ovvero la declinazione della Regola che presiede alla nostra materialità, o meglio, al nostro limite.
Ecco, di seguito, alcuni esempi della presenza del tre nella tradizione.
Il tre è il codice di Abred, del cerchio della Necessità, interpretato dalla mente come unico. Andare oltre la mente, ovvero considerare il tre per ciò che realmente è, ossia il campo del manifesto, significa non esserne prigionieri.
Riccardo Taraglio, nel suo “Il vischio e la quercia”[iv] propone uno schema della manifestazione, desunto dalle Triadi bardiche, che comprende tre cerchi concentrici.
Al Centro il Ceugant, “il Cerchio Vuoto, il piano divino della manifestazione, la “sede” di Dio, irraggiungibile dall’uomo, il “luogo” dove nulla esiste e tutto è, l’Oiw assoluto”.[v] Il secondo cerchio è “il Gwynvyd, il Mondo Bianco, il cerchio dell’immortalità, il “luogo” della coscienza spirituale, dimora di Doue”. [vi] Il terzo cerchio è “l’Abred, il mondo materiale, l’universo fisico … il Mondo della Necessità e della Prova”. [vii] Oltre il terzo cerchio c’è “l’Annwun, l’Abisso, la Sorgente del materiale primordiale, il mondo degli elementi allo stato primitivo, della materia inanimata come principio bruto……. L’Annuwn, dimora di Cytraul, è il Cerchio di partenza dell’evoluzione … “. [viii]
In principio, ricorda Taraglio, erano solo Dio e Annwn, ovvero l’Oiw e l’Annwn. La vita ordinata ebbe inizio con il Verbo: Dio pronunciò il suo nome ineffabile e i Manred, ovvero le Scintille Fiammeggianti, i germi di luce, presero forma.
La dimora di Dio è un cerchio vuoto, lo Zero.
Oiw si differenzia in Dove (Dio) e Cytraul (potenza del male, una sorta di caos primordiale), la Materia dove il Manred è più distante dall’Oiw.
Manred è germe di luce.
Esiste un altro schema, sempre desunto dalla Triadi bardiche, in questo caso proposto da Rollenstone[ix], dove Dio, principio dell’energia che tende alla vita e Cytrauwl, principio della distruzione che tende al nulla, interagiscono. Riecheggia la lotta tra l’indoeuropeo Indra e il serpente Vrtra, che tiene nelle tenebre il mondo.
Abbiamo così Abred, dove da Annuwn scaturì la vita, lo stadio di evoluzione, la lotta della vita contro Cytraul. Gwynfyd, la purezza, dove la vita si manifesta come una forza pura ed esultante che ha trionfato sul male e Ceugant, l’infinito, abitato solo da Dio.
In una cosmogonia tradotta dal monaco Isidoro di Siviglia (VI-VII secolo dopo Cristo), Taliesin propone uno schema nel quale il cielo viene suddiviso in tre parti. Il cielo stellare abitato dagli angeli, un cielo aereo abitato da demoni e posto al di sotto delle stelle, ma al di sopra della luna; un cielo sub lunare abitato da falsi demoni.
Gli schemi che abbiamo elencato sono desunti dai Bardass, le Triadi bardiche, una raccolta di testi compilata con il materiale in suo possesso da un bardo e studioso gallese Llewellyn Sion di Glamorgan (fine XVI secolo) e tradotta da J.A. Williamsag Ithel e presentano delle evidenti somiglianze con il Trimundio vedico.
Schema del trimundio.
Quello vedico è il Trimundio di un quaternio, ossia i ¾ dell’intero, dove ¼ rimane sconosciuto ed è uguale al tutto.
Riecheggia quanto affermava Maria Prophetissa, detta la Copta: “L’Uno diventa il Due, i Due diventano Tre e per mezzo del Terzo, il Quarto compie l’Unità”.
Nel Trimundio 33 sono gli dèi della realtà manifesta, ossia i ¾ e sono espressione dei nama-rupa (nomi-forme). Gli dèi-princìpi si trovano all’incrocio del Trimundio (Trivarga). Essi sono i “Guardiani dell’Ordine” e senza di loro tutto precipiterebbe nel caos; sono gli intermediari, come gli angeli.
Troviamo un concetto simile anche in Egitto, laddove Isha Swaller de Lubicz definisce i Neter poteri causali, cioè le cause primarie e secondarie di tutto ciò che si manifesta nell’universo: sono i principi, gli agenti e le funzioni di queste manifestazioni.
Nel Trimundio, dunque, la trinità è l’aspetto dinamico, in manifestazione, ¾ di un quaternio, ossia di un intero dove ¼ è il dio sconosciuto che rimane tuttavia nella sua interezza anche quando distingue da sé la sua parte manifesta.
Accade così che la manifestazione non avvenga per divisione dell’uno in due, ma nella distinzione di ¾ e ¼ dove ¼ rimane l’intero, ossia ancora 4/4.
Il Para(primo)-Brahman (nirguna, senza attributi) si manifesta nel Brahman (raguna, con attributi).
“Il ciclo cosmogonico passa ritmicamente nella manifestazione e ritorna nella non manifestazione in mezzo al silenzio dell’ignoto. Gli indù rappresentano questo mistero della santa sillaba Aum. Il suono A rappresenta la coscienza sveglia, U la coscienza del sogno, M il sonno profondo. Il silenzio che circonda la sillaba è l’ignoto: è chiamato semplicemente “Il Quarto”. La sillaba in se stessa è Dio che crea, preserva, distrugge, ma il silenzio è Dio eterno, assolutamente estraneo ai passaggi del ciclo”. [x]
Abbiamo pertanto il seguente schema vedico: ¾ manifestazione Aum, la santa sillaba, la parola; ¼ il silenzio, al quale potremmo ragionevolmente accostare lo schema druidico: ¾ Oiw (pronuncia Oiun, molto simile al suono Aum); ¼ il silenzio.
Riccardo Taraglio propone: Karantez (amore, creatività, produttività, fede mistica); Nerz (forza, volontà, potere); Skiant (conoscenza, sapienza, saggezza, ragione). E’ la trinità i ¾ (Oiw -Oiun, come Aum) del silenzio (¼), ossia dell’Indicibile, che rimane nascosto.
Il tre nelle Triadi bardiche
Le prime undici triadi, così come ci vengono riportate nel testo: “Le mystère des bardes de l’ile de Bretagne ou la doctrine des bardes gallois du moyen age sur dieu, la vie future e la trasmigration des ames” si occupano di Dio (Duw nel testo gallese) il quale è necessariamente: vita, scienza e potenza suprema.
E’ un dio che costituisce, vuole e compie il bene perfetto, diminuisce il male e mette in luce le differenze tra l’uno e l’altro, affinché ognuno sappia ciò che deve essere. E’ un dio di potenza, saggezza e amore infiniti, il quale non può non compiere ciò che è più utile, ciò che è più necessario e ciò che è più buono.
Da queste caratteristiche di Dio discendono quelle dell’esistenza: non poter essere altrimenti, non poter necessariamente essere altro, non poter essere migliore in quanto con la creazione tutte le cose sono perfette.
Riguardo agli esseri viventi le loro tre cause originarie sono: l’amore divino, in accordo con la sua suprema intelligenza, la saggezza divina e la potenza divina.
Nella prima triade è scritto. “Ci sono tre unità originarie e di ciascuna non se ne può avere che una sola: un Dio, una verità e un punto di libertà: vale a dire dove si trova l’equilibrio di tutti gli opposti”.
Nell’originale gallese Dio è Duw, la verità è gwirionedd e il punto di libertà è pwngc rhyddyd.
Nella seconda triade leggiamo: “Tre cose procedono dalle tre unità originarie, ogni vita, ogni bene, ogni potenza”.
Possiamo pensare che la verità e il punto di libertà appartengano al Duw, che viene tradotto “Dio”, oppure che Duw, gwirionedd e pwngc rhyddyd siano i tre elementi originari costituenti una triade (come i vedici Sat, Cit e Ananda – esistenza, conoscenza e beatitudine), di un’origine che rimane nascosta e inconoscibile. In questo caso la triade delle unità originarie è già nel manifesto. L’idea dell’inconoscibilità della fonte originaria è testimoniata dalla triade XL: “Tre vantaggi eccellenti dei cambiamenti di stato nel Gwynfydd: l’istruzione, la bellezza e il riposo; a causa dell’impotenza di sopportare il Ceugant, che è al di là di tutte le conoscenze”.
Il vocabolo gallese Duw (irlandese Dia, armoricano Doué), corrispondente al latino Deus, sembrerebbe, nella traduzione “Dio”, ma se approfondiamo il suo etimo ne vediamo la derivazione dalla radice indoeuropea div, diu, daiu, che ci riporta al significato di splendente, luminoso, celeste. In sanscrito dîvyati – devate è brillare e divya è celeste.
Secondo Franco Rendich,[xi] la consonante D significa luce creata, da cui nacquero il cielo, il giorno, gli dei, essendo la luce creatrice Ka, sorta nelle acque cosmiche con il nome Eka. La radice Di indica “andare incontro alla luce”, da cui Div, giorno, cielo e Deva, Dio.
Duw, dunque, è una luce creata, non la luce originaria.
La traduzione di Duw, data l’ambiguità del termine, deve dunque tener conto, di volta in volta, del contesto in cui è posto e dei significati che ci consegnano le radici etimologiche.
Se consideriamo quanto ci suggerisce l’etimologia, possiamo tradurre la prima triade in questo modo: “Ci sono tre unità originarie e di ciascuna non se ne può avere che una sola: una luce, una verità e un punto di libertà: vale a dire dove si trova l’equilibrio di tutti gli opposti”.
Oppure, seguendo il suggerimento di Markale e considerando che cielo e cosmo nella mente degli antichi si equivalevano: “Ci sono tre unità originarie e di ciascuna non se ne può avere che una sola: un cosmo, una verità e un punto di libertà: vale a dire dove si trova l’equilibrio di tutti gli opposti”.
Così intesa la triade ci offre un concetto del divino assolutamente naturale, cosmico, perfettamente riconducibile all’idea che gli antichi avevano della Dea madre prima che prevalessero gli dei patrilineari.
“Quando il creatore è una divinità femminile – scrive Joseph Campbell – il suo corpo è l’universo: essa coincide con l’universo”. [xii]
“Se si considera con attenzione l’iconografia – scrive Myriam Philibert – essa rivela un solo dio nelle epoche più arcaiche, che noi conosciamo, ma obbedisce alla legge che suppone una più grande complessità di forme con il tempo…. Questi popoli antichi si misero sotto la protezione di una dea onnipresente e onnisciente, al tempo stesso terrestre e cosmica”. [xiii]
Se, dunque, leggiamo la triade in questo modo: “Ci sono tre unità originarie e di ciascuna non se ne può avere che una sola: un cosmo, una verità e un punto di libertà: vale a dire dove si trova l’equilibrio di tutti gli opposti”, noi possiamo accedere all’archetipo della Dea Madre.
Se, infatti, a cosmo sostituiamo Dea Madre possiamo dire: “Ci sono tre unità originarie e di ciascuna non se ne può avere che una sola: una Dea Madre, una verità e un punto di libertà: vale a dire dove si trova l’equilibrio di tutti gli opposti”.
La Dea Madre cosmica, la Potnia universale, è la madre delle forme, del limite, poiché madre, matrice, materia hanno in comune una radice indoeuropea che significa limite.
Esiste dunque un’unità originaria, Dea Madre di tutte le forme ed esiste un’unità originaria Verità, che rimane come punto limite della conoscenza ed è il segreto del divino ineffabile e inconoscibile; è la verità della grande legge che presiede ad ogni manifestazione; ed esiste, infine, un unico punto di libertà, laddove gli opposti sono in equilibrio, dove il molteplice ritorna all’uno, (a-polloi) e rinvia al vacuo, all’inconoscibile, a ciò che è e non ha nome e che è trino nella sua manifestazione: Dea, (cosmo, ordine), verità e libertà.
Con la XII triade si entra appieno in un’idea del mondo che si avvicina alle concezioni orientali, come quelle vediche o taoiste. Un’idea del mondo, dell’uomo e del divino dove la trasmigrazione delle anime ha un posto centrale.
Nella dodicesima triade è scritto: “Ci sono tre cerchi d’esistenza, il cerchio della regione vuota, dove eccetto Dio non vi è nulla né di vivo né di morto, e nessun essere all’infuori di Duw lo può attraversare [Ceugant]; il cerchio delle trasmigrazioni dove tutti gli esseri animati procedono dalla morte [Abred], e il cerchio della felicità, ove tutte le anime procedono dalla vita, e l’uomo lo attraverserà nel cielo [Gwynfyd]”.
Il dio che risiede in Ceugant risiede nel vuoto, nel vacuo, nello zero.
Troviamo un concetto simile nell’Inno della Creazione del Rig Veda: “In principio non c’era il Non-Essere, e non c’era l’Essere. Non c’era l’atmosfera e non c’era il cielo. Non c’era la morte, né l’immortalità. Niente distingueva la notte dal giorno. Tutto era tenebra coperta di tenebra, l’universo era un indistinto ondeggiare. E il principio vitale che era racchiuso nel vuoto generò se stesso come Uno, mediante la potenza del proprio calore. Ma chi sa veramente, chi può veramente spiegare da dove ha orgine la creazione?”.
Anche il Brahaman e il Tao sono il vuoto.
Secondo la fisica moderna in principio era il vuoto e “non soltanto perché – come scrive Piergiorgio Oddifredi -, secondo la relatività generale, la materia non è altro che una discontinuità del campo gravitazionale: cioè un buco in un’entità puramente matematica. Ma anche, e soprattutto, perché secondo la meccanica quantistica il vuoto è in realtà un teatro sul cui palcoscenico continuamente appaiono e scompaiono particelle e antiparticelle, grazie al principio di indeterminazione di Heisemberg. Anche quello che noi chiamiamo universo si può vedere come una fluttuazione del vuoto cosmico, un non-nulla spontaneamente generato dal nulla, senza che questo richieda alcuna violazione della legge di conservazione dell’energia. Come infatti ha compreso nel 1973 Edwuard Tryon, basta assegnare al campo gravitazionale un’energia negativa, pari a quella positiva posseduta dalla materia, per poter interpretare l’apparizione della forza gravitazionale come il prezzo che l’universo paga per creare materia pur mantenendo la sua energia totale nulla, come in effetti essa deve essere in un universo vuoto che precede la creazione. Alla domanda di Leibniz: «Perché c’è qualcosa invece del nulla?» oggi si può dunque rispondere. E non solo, metaforicamente:«Perché Dio ha voluto così», ma scientificamente: «Perché il nulla è instabile e la materia è da esso generata, non creata, della stessa sostanza del niente».”.[xiv]
I matematici fondano anch’essi “l’intera loro disciplina sul principio che «in principio era il vuoto»: in questo caso nella forma vuota senza forma dell’insieme vuoto, che non ha nulla dentro di sé”[xv].
L’antica tradizione druidica e la moderna fisica sembrano andare a braccetto.
[i] Christian Jacq, La confraternita dei saggi del Nord, Edizioni Etaà dell’Acquario
[ii] Paul Davies, Una fortuna cosmica, Mondadori
[iii] Paul Davies, Una fortuna cosmica, Mondadori
[iv] Riccardo Taraglio, Il vischio e la quercia, EdizioniL’Età dell’Acquario
[v] Riccardo Taraglio, Il vischio e la quercia, EdizioniL’Età dell’Acquario
[vi] Riccardo Taraglio, Il vischio e la quercia, EdizioniL’Età dell’Acquario
[vii] Riccardo Taraglio, Il vischio e la quercia, EdizioniL’Età dell’Acquario
[viii] Riccardo Taraglio, Il vischio e la quercia, EdizioniL’Età dell’Acquario
[ix] Rollenstone, I miti celtici, Longanesi
[x] Joseph Campbell, L’eroe dai mille volti, Guanda
[xi] Franco Rendich, L’origine delle lingue europee, Palombi editore
[xii] Joseph Campbell, Il potere del mito, Guanda
[xiii] Myriam Philibert, De Karnunos au roi Arthur, éditions du Rocher
[xiv] Piergiorgio Oddifredi, La Repubblica, 22 maggio 2006.
[xv] Piergiorgio Oddifredi, La Repubblica, 22 maggio 2006