di Silvano Danesi
“Ero il Tutto che osservava il Tutto, ma dal mio punto di vista”.
Ha raccontato così, Federico Faggin, con una sintesi assoluta, l’esperienza che lo ha portato alla rivoluzione copernicana che ha fatto della coscienza una proprietà fondamentale del Tutto. Proprietà che lo scienziato, passato dalla materialità alla spiritualità, ha raccontato, sulle ali dell’esperienza e della ricerca, nella conferenza che si è svolta a Brescia, il 17 maggio, nell’Auditorium S.Barnaba, dove è stato presentato il libro: “L’irriducibile”, nell’ambito di una rassegna di incontri dal titolo: “Dialoghi sull’eternità”.
In quel Tutto che osserva il Tutto, ma dal punto di vista particolare, c’è il grande segreto dell’essere individui, ma non separati: esseri coscienti in quanto la coscienza è una proprietà fondamentale del Tutto e, conseguentemente, anche delle sue parti.
“Sono quindi arrivato alla conclusione – scrive Faggin nel suo Irriducibile – che la coscienza deve essere una proprietà fondamentale, al pari dell’elettricità che non può sorgere da particelle elementari prive di carica elettrica e di spin magnetico. Ritengo cioè che anche la coscienza deve essere una proprietà irriducibile delle “particelle elementari” di cui tutto è fatto, proprio come lo è la carica elettrica, una proprietà che non deriva da proprietà più semplici. Se le cose stanno così, tutto nell’universo deve allora essere cosciente. Questa idea è vecchia di millenni e si chiama panpsichismo”.
Altra fondamentale affermazione: le particelle sono stati del campo, il quale ha coscienza e si conosce da dentro, mentre del campo da fuori possiamo conoscere solo i suoi stati.
E’ questa la differenza sostanziale tra la fisica classica, che conosce da fuori e la fisica quantistica che conosce da dentro, in quanto un campo quantistico conosce da dentro il suo stato.
Il parallelo con la conoscenza di noi stessi è suggestiva e riporta all’imperativo apollineo, gnoti seauton, ben tradotto dal grecista Angelo Tonelli, con: “Conosci il tuo Sé”.
Noi possiamo conoscere noi stessi dall’esterno nel nostro corpo, che Faggin considera il simbolo della nostra essenza, della nostra coscienza, o conoscerci dal di dentro, incontrando il nostro Sé. E lo possiamo fare perché noi esseri umani funzioniamo sia in termini di fisica classica, sia in termini di fisica quantistica. Siamo, in un certo modo, dei pontefici, dei facitori di ponti tra il manifesto e l’immanifesto.
Anche la comunicazione avviene secondo modalità totalmente diverse. Nel sistema quantistico, che conosce da dentro il suo stato, avviene in quantum-bit, i quali da fuori sono bit e linguaggio binario (1-0 – dualità).
L’intelligenza artificiale è competitiva sul fuori, ma nella conoscenza del dentro, che è coscienza, ha ben poco da dire.
L’interiorità della natura, dice Faggin, è fatta di enti coscienti e il Sé cosciente, per quanto ci riguarda, comanda il corpo, interagendo con la fisica classica.
Interessante il riferimento esemplare alla cellula, la quale contiene il genoma, pertanto l’informazione, di tutto il corpo. Così anche l’essere umano, che è una parte del Tutto contiene l’informazione del Tutto.
L’essere umano, in quanto ponte è parte-intero, dentro-fuori, ed è il motivo per il quale i saggi hanno capito “da dentro” ciò che ci hanno comunicato con il linguaggio del fuori.
Nel mentre Faggin parlava mi sovveniva il mito di Agni, il «dotato di piedi».
Agni, quando nacque come Ahi, era privo di piedi e di testa e nascondeva le due estremità nella sua matrice, ma quando divenne manifesto assunse la forma del «dotato di piedi».
Nel mito si cela un linguaggio matematico, dove lo zero è l’ofidico cerchio, ouroboros, senza testa e senza piedi, l’Uno è pedomorfo (un piede) e il molteplice (la serie 0 1) è dotato di piedi e di mani.
Sotteso al mito è il linguaggio degli dèi: il numero, l’archetipo degli archetipi.
Il sacrificio vedico, pertanto, è la separazione del Purusha (l’Energia Cosmica Spirituale, la coscienza cosmica impassibile ed immutabile, di cui nel microcosmo ritroviamo il riflesso nella coscienza di un individuo) e della Parola (vâc). L’unità Purusha-Vâc è suddivisa nel primo sacrificio. “Per mezzo delle loro parole i cantori co-creatori (Viprab Kavayah) lo concepirono molteplice, lui che rimase uno”.(Rig Veda X, 114,5). Nel primo sacrificio la Parola (vâc,a Vacca di Luce) è separata dal Purusha.
La separazione della Parola dà luogo al tempo (Purusha è l’Uomo Universale e Agni è l’Anno).
La Parola è la circolare racchiusa (Virgo, Zero) uscita dalla sua circolarità nel pedomorfo (Uno).
“Grazie al sacrificio, seguirono le orme dei piedi della Parola, la trovarono che dava asilo ai Profeti; la condussero e la suddivisero in molte parti; i Sette cantori la intonarono in ogni luogo”. Rig Veda, X, 71,3.
Il latte (luce) della Parola (vâc) è soggetto alla burrificazione, ossia l’avvolgimento della vibrazione dà luogo alla luce (Dio disse: “Sia la luce…”), fotoni.
La vibrazione avvolgendosi su se stessa dà origine alla luce e alla materia.
Faggin, rispondendo ad una domanda, afferma: “Il Campo è cosciente e i campi coscienti usano simboli per comunicare”.
Eccoci giunti al punto centrale: il campo cosciente.
Andando nell’infinitamente piccolo si è scoperto che esiste una rete, un tessuto interconnesso di energia e di informazioni che soggiace alla realtà materiale e che si snoda e collega tutto l’Universo. In questo luogo tutto è collegato e intrecciato e vige la non-località, quella proprietà tale per cui ogni parte è intrinsecamente collegata a tutte le altre e in grado di comunicare con loro in modo istantaneo e indipendentemente dalla distanza e in cui l’informazione non viaggia ma “è”. E’ mondo olografico, dove ogni sua più piccola parte contiene intrinsecamente l’informazione contenuta nell’intero Tutto. Questo spiega la frase che Tutto è uno. Pertanto, se si apporta una modifica in una sua qualunque piccola parte, il cambiamento lo si vede dappertutto, perché appunto Tutto è uno.
Il campo quantico è quindi il ponte che unisce tutte le cose ed è anche il ponte tra il mondo interno ed esterno. Il campo quantico è il contenitore di tutte le possibili realtà che aspettano solo di essere osservate e in cui tutto è possibile e riflette attorno a noi quello che noi crediamo dentro di noi.
In un’intervista a cura del BleepingHerald, pubblicata su Scienza & Conoscenza, David Kaplan, uno dei pochi fisici teorici delle particelle che opera con il CERN (European Organizaton for Nuclear Research) e gli esperimenti sul LHC (Large Hadron Collider), afferma: “La teoria del campo quantistico è un insieme di regole, proprio come la meccanica quantistica, ma è più complicata. Sembra che governi la natura, ed è molto importante dove le distanze diventano veramente più piccole, dove si hanno i raggi cosmici, o quando ci chiediamo cosa dà la massa all’elettrone, o quale è la struttura della particella e dell’atomo. È la teoria del campo quantistico a rispondere a quelle domande, e per quanto ne sappiamo, non ci sono state violazioni di questa teoria. La teoria del campo quantistico è l’ipotesi che le cose fondamentali siano i campi. Non nel senso che potremo sentirli, ma che potremo attraversarli come molassa, siamo nella materia che penetra nell’universo. Si dice che lo spazio contiene un campo e quindi solo certi tipi di oggetti possono vivere in quello spazio. Una particella è una vibrazione in quel campo. Così, come lanciamo un sasso nel lago e vediamo le onde spostarsi, possiamo guardare quelle onde; le onde esistono perché esiste il lago. Possiamo parlare delle onde, ma la cosa principale è il lago. Questi campi sono cose fondamentali; un campo dell’elettrone esiste nell’universo e in quel campo possiamo avere letteralmente delle onde. Quelle onde non si disperdono del tutto come fanno nel lago, ma contengono energia, e a distanza quella è una particella che contiene energia”.
“Noi – prosegue David Kaplan – siamo fatti di particelle, cioè, secondo questa descrizione siamo fatti di vibrazioni di campi. I campi non sono fondamentali, sono solo pacchetti di energia, e i pacchetti di energia sono esattamente vibrazioni nei campi che riteniamo particelle fondamentali. I campi non scompaiono, sono sempre lì, ed esistono fin dall’inizio dei tempi. Ma le oscillazioni dei campi cambiano. Così, a lungo la gente ha ritenuto che all’inizio dell’universo avessimo la materia, poi mentre l’universo cresceva e cambiava nel tempo, la materia all’interno non cambiava mai, e in realtà risulta che non sia così. Adesso la materia non è la stessa di allora. Possiede la stessa energia, ma non è fatta della stessa materia. Adesso abbiamo una particella, ma prima quella energia potrebbe essere stata contenuta sia nella stessa particella che in una particella diversa, o solo nella energia delle cose che si muovono attorno. A questo punto della nostra conoscenza, gli oggetti fondamentali dell’universo sono i campi che ci dicono quali particelle possono esistere e quali no, e l’elenco di campi ci dice tutto quello che nell’universo è, potrebbe essere, potrebbe essere stato, o è stato. Ci offre una descrizione molto più ampia della natura della realtà”.
“La scienza – ci dice Faggin nel suo Irriducibile – parte dal presupposto che ci sia un Campo unificato con tutte le proprietà necessarie a trasformarsi in materia-energia e spazio-tempo per effetto di leggi fondamentali considerate immutabili, anch’esse postulate, che descrivono le interazioni tra le parti del Campo. Il Campo è ontologico, perché rappresenta la “sostanza” dinamica di cui è costituito tutto ciò che esiste e tutto ciò che esisterà. Deve quindi contenere tutte le potenzialità che produrranno le proprietà dell’universo che conosciamo nel corso della sua evoluzione”.
Ed eccoci giunti a quel noi stessi, a quel Sé, a conoscere il quale ci invitava Apollo.
Faggin introduce il termine “seity”, che è, dice “una parola inglese raramente usata che significa “possedere individualità”.
“Una seity – scrive faggin – è un “campo” in uno stato puro che esiste in una realtà più vasta del mondo fisico che contiene il nostro corpo. Una seity esiste anche senza il corpo fisico, e questa è un’affermazione cruciale, perché implica che la nostra esistenza non dipende dal corpo. Il corpo permette alla seity di percepire e di operare in un mondo fisico che è solo una piccola porzione della realtà più vasta in cui esiste”.
“Io credo – afferma sempre Faggin – che noi siamo seity che abitano temporaneamente i nostri corpi. Siamo esseri eterni, coscienti, non corpi deperibili. E siamo qui per apprendere aspetti cruciali di noi stessi interagendo gli uni con gli altri nell’universo fisico che abbiamo creato proprio per questo scopo. Tutto ciò che vediamo nell’universo è stato inizialmente creato nella coscienza delle seity perché la realtà fisica segue la realtà quantistica, che segue l’informazione quantistica, che a sua volta segue il pensiero delle seity”.
La nostra vera essenza è quantistica e abita in un luogo dove non c’è spazio e non c’è tempo, ma assoluta immediatezza. Siamo seity immortali, perché la morte appartiene al fuori, l’immortalità al dentro.