LA SIMBOLOGIA DEI PILASTRI

Gen 18, 2025 | MASSONERIA

di Lavinia Felicioni

Fin dalla notte dei tempi il pilastro ha rappresentato un simbolo iconico e universale.

In particolare, nel mondo greco, la simbologia dei due pilastri  ha raffigurato non soltanto un monito ma anche, nel contempo e più specificamente, una fase di passaggio da una condizione transeunte di uno status ad un altro, lungo il cammino che conduce dalla sfera terrena a quella divina. Lo stesso Platone, facendo riferimento nel “Clizia” al   regno perduto di Atlantide, precisa che quest’ultimo era collocabile oltre le colonne d’Ercole; e d’altra parte è ben nota l’origine delle colonne, allorché Eracle, nel contesto di una delle celeberrime fatiche, per raggiungere l’isola di Eritea e sottrarre i buoi a Gerione, separò la terra d’Africa dall’Europa ponendo nelle rispettive coste i due pilastri.

Anche il filosofo Francis Bacon, nel frontespizio della “Nuova Atlantide”, collocherà  le colonne d’Ercole: il passaggio verso il nuovo mondo in cui, secondo la tradizione occulta, risiede il luogo geografico da cui tutto il sapere ermetico è affiorato. La rinascita di questo nuovo regno è quel sentiero che conduce alla presa di consapevolezza della caducità della condizione materiale a quella dell’Illuminazione. Ora, se poniamo attenzione alle Sacre scritture, apprendiamo che nel contesto della creazione del tempio di re Salomone, le colonne del portico di ingresso del tempio medesimo rivestono un ruolo centrale. La loro allegorica descrizione è accuratissima e ricca di dettagli simbolici e alle colonne, particolare non secondario né trascurabile, viene attribuito un nome: viene chiamata Boaz la colonna di sinistra e Jachin la  colonna di destra.

Sono i due pilastri simbolici che precedono l’entrata del Tempio di Salomone, ragion per cui ogni fedele deve varcare la soglia del citato tempio passando necessariamente attraverso l’ingresso delimitato dai due pilastri. In proposito si veda il Libro l dei Re dell’Antico Testamento, in particolare il capitolo VII – 13,22:  il testo sacro è prodigo di preziose informazioni in merito. Narra in maniera accurata di come re Salomone, figlio di Davide e nipote di Jesse,  avesse stipulato un patto politico-economico con Hiram (o Chiram), re di Tiro: l’accordo prevedeva la fornitura dei materiali (in particolare tronchi degli alberi di cedro del Libano), che sarebbero serviti per la costruzione del tempio di Gerusalemme, ma anche l’invio di maestranze, generiche e specializzate, dal regno fenicio alla capitale del regno israelita.

Tra le maestranze viene in particolare citato Hiram Abif, un giovane con ascendenze israelite da parte materna, figlio di una vedova della tribù di Neftali e di padre originario di Tiro. Il giovane Hiram era “pieno di intelligenza, sapienza e perizia”, capace di eseguire qualsiasi tipo di lavoro architettonico e capace soprattutto nella lavorazione del bronzo. Agli ordini di re Salomone, il giovane architetto Hiram eseguì tutti i lavori che gli vennero commissionati. In particolare “eresse la colonna di destra, che chiamò Jachin, ed eresse la colonna di sinistra, che chiamò Boaz”. Le due colonne erano finemente lavorate e arricchite, in particolare, con ornamenti rappresentanti melagrane e gigli. Alla sommità della colonna denominata Boaz sono collocate tre melagrane, in rappresentanza dell’umanità intera e della triplice natura dell’individuo, racchiusa all’interno della Natura intesa come madre del mondo. Sulla colonna denominata Jachin è situato un globo, a simboleggiare la materia sacralizzata in particolare e più in generale il pianeta.

Questa breve disamina serve ad introdurre un primo tema di particolare importanza: ora, senza avere la pretesa di essere esaustivi, è necessario porre in rilievo la molteplice valenza delle colonne al di là e oltre la mera comprensione letterale del testo, con ciò avendo sempre ben presente che i temi brevemente enucleati appresso, lungi dal voler fornire risposte nette e al contempo limitanti, offrono spunti di domanda e costituiscono piuttosto una base per ulteriori approfondimenti per coloro che si volessero cimentare negli oscuri meandri degli antichi mondi e delle perdute conoscenze. È fuor di dubbio che determinati cenacoli esoterici, attingendo a piene mani dal citato testo biblico e mischiando il medesimo con arcaiche leggende che si sono tramandate fino ai nostri giorni, hanno elaborato un “sistema di pensiero composito” dal quale sono scaturiti dettagliati rituali esoterici.

Alla base di tutta l’analisi, non priva di elementi sincretici, risiede l’insegnamento secondo il quale – almeno per taluni – la colonna denominata Boaz indichi la “forza” (nella persona di Hiram, re di Tiro) mentre la colonna denominata Jachin indichi la “bellezza” (nella persona di Hiram Abif l’architetto). Ma v’è di più: sovrapponendo contenuti tratti direttamente dal mito greco, ecco che  – sempre secondo una certa tradizione – l’elemento della forza viene personificato da Ercole mentre quello della bellezza da Afrodite. Non basta: l’esistenza di due colonne visibili ne sottende una terza, apparentemente non visibile ma non per questo meno importante: la colonna “centrale” della virtù della sapienza, la quale non solo sintetizza le due colonne laterali ma richiama la dea Athena e ci  riporta direttamente all’archetipo di re Salomone.

Per quanto sopra deriva che le tre colonne vengano assimilate a tre “Luci”, situate rispettivamente al presidio di altrettanti punti cardinali: Salomone ad oriente, Hiram re di Tiro a mezzogiorno  e Hiram Abif ad occidente. Senza con ciò dimenticare che ritenere re Salomone assimilabile alla sapienza non deve sembrare eccessivo: basti ricordare che, allorché D*o ebbe a chiedere al figlio di Davide cosa volesse ricevere in dono,  quest’ultimo rispose che avrebbe gradito ricevere “un cuore intelligente affinché potesse amministrare la giustizia per il popolo e discernere il bene dal male”, cioè – appunto – la virtù della sapienza. D*o si compiacque della risposta del re d’Israele, perché costui non aveva chiesto “lunga vita, né ricchezze né la morte dei nemici” (A.T., Libro 1 dei Re, 3 – 5,15). Ora, che le due colonne laterali facciano parte di un “disegno”, siano armonicamente correlate e poste in stretta correlazione con il pilastro centrale della sapienza, non esclude che le colonne medesime siano, per cosi dire, in “concorrenza o conflitto”.

Infatti nell’interpretazione astrologica, le due colonne rimandano alla costellazione dei Gemelli e, di conseguenza, indicano l’armonizzazione delle due opposte polarità,  insite  nella struttura duale di ogni essere vivente. Se Boaz è lunare come Jachin è solare, è anche vero che alla componente della forza/fermezza viene fatto corrispondere l’elemento “femminino”del fuoco, così come la bellezza/misericordia corrisponde all’elemento mascolino dell’acqua; con ciò “ribaltando” determinati canoni che pure, in ambito prettamente essoterico, vengono dibattuti e illustrati. Per comprendere il simbolismo sotteso al capovolgimento in questione è d’uopo fare riferimento alle rappresentazioni dei faraoni egizi, i quali sono effigiati in posa con le braccia incrociate sul petto, con la mano sinistra sulla spalla destra e viceversa. In altre parole accade ciò che taluni chiamano il “capovolgimento dei luminari”, ovvero in questo caso del Sole e della Luna.

Questi formano l’androgino, nella misura in cui si congiungono capovolgendosi e  integrandosi. In ogni caso, a prescindere e oltre a quanto sopra esplicitato, non può non sottacersi come il principio “attivo” cerchi il “passivo”, il pieno cerchi il vuoto, così come il bianco necessiti del nero: se la ragione non può rifuggire la fede, è pure vero che i dogmi di fede indeboliscono la ragione, e quindi quest’ultima, da sola e scevra dell’intuito, non è in grado di percorrere gli arcaici sentieri della “prisca sapientia”. Né può sottacersi che laddove tali componenti, distinti e separati (se non antitetici almeno in apparenza), non coesistessero, sic et simpliciter il Tempio crollerebbe. In tale contesto non è superfluo evidenziare – seppure incidentalmente- come altre dodici colonne circondano il perimetro  del Tempio, rappresentando pertanto nel microcosmo le dodici  costellazioni dello zodiaco e nel macrocosmo il moto del pianeta attorno al sole che, nel susseguirsi delle stagioni, scandisce i ritmi del tempo planetario, rispetto al quale ogni iniziato è strettamente connesso.

Inoltre bisogna tener presente che il  “Tempio ideale” è la rappresentazione simbolica del pianeta di cui il singolo individuo è parte vitale; internamente al suo “parallelogramma” si ritrovano tutte le sei direzioni del suo orizzonte.  In virtù di un profondo principio esoterico, il moto del mondo si mostra e si disvela per mezzo di antitesi. L’epicentro del mondo è il suo centro, cioè quel punto all’interno di un cerchio dal quale ogni punto della circonferenza è equidistante, ideale per antonomasia e che – per definizione – è noto e “visibile” soltanto ai cosiddetti “figli della vedova” (non a caso, la condizione di Hiram Abif). Da questo epicentro ideale  si diramano due antitesi che uniscono i quattro punti cardinali e un’altra antitesi verticale che va dall’apice dello zenit del cielo al suo nadir (si pensi alla stella di David a sei punte, dalla stilizzazione della quale emergono tre colonne). Le due colonne laterali trovano la sintesi e l’equilibrio in quella centrale e tutte costituiscono nella loro unità l’uomo perfetto.

Quanto sopra brevemente illustrato ci consente di comprendere meglio il ruolo che giocano le due colonne situate ai lati della porta di ingresso del Tempio. Quella di destra, contraddistinta dalla lettera “J”,  costituisce l’aspetto dinamico e, per così dire, il mascolino dell’energia vitale mentre quella di sinistra, contrassegnata dalla lettera “B”, rappresenta il peculiare femminino e attrattivo. Non a caso la colonna denominata Boaz è considerata “passiva” e costituisce il riferimento dell’individuo appena iniziato che comincia a muoversi all’interno del Tempio; mentre la colonna denominata Jachin è considerata “attiva” in quanto costituisce il riferimento di colui il quale, dopo avere compiuto orizzontalmente i primi progressi lungo il pavimento a scacchi (emblema della dualità), ora è pronto a continuare proficuamente il cammino verticalmente tra le colonne, per conseguire ulteriori progressi iniziatici secondo le proprie capacità e nell’ambito dei propri limiti.

I progressi ovviamente si verificheranno soltanto nella misura in cui verrà fatto un uso sapiente degli strumenti messi a disposizione. Ciò premesso, al centro è – invece – idealmente posta la terza colonna che, se da un lato è invisibile ovviamente a coloro che non sono avvezzi ai Misteri, dall’altro lato  rappresenta la fonte e il principio spirituale delle due energie, attivo/ricettivo e femminino/mascolino, le quali trovano la sintesi nell’energia primaria centrale. Levigando la pietra interiore, il neofita si muove sul pavimento a scacchi lungo il proprio viaggio mondano, tra i due pilastri laterali che sono vere e proprie colonne d’Ercole fino a quando – ad un certo punto del percorso iniziatico non privo di fatiche, ostacoli e pericoli – il novello “costruttore” viene indirizzato sul filo della terza colonna, quella della via spirituale. In questa accezione il pavimento a scacchi rappresenta il piano orizzontale sul quale, tra grandi difficoltà il discente deve cominciare a muoversi prima di provare ad innalzarsi sul piano verticale avendo come riferimento, lungo il  viaggio, le due colonne visibili (Boaz e Jachin) e come meta la invisibile colonna della Sapienza.

Le tematiche inerenti gli apparenti antagonismi dei pilastri vengono dispiegate anche nell’ambito della Qabalà. All’interno di codesta millenaria tradizione, le cui origini si perdono nella notte dei tempi, si deve tenere presente la struttura dell’albero della vita, con le sue dieci sfere e i ventidue percorsi. Non può non evidenziarsi in proposito come la tradizione ebraica abbia permeato di sé e modellato – tout court – il pensiero occidentale, sui fondamenti dell’immaginifico arcaico della primigenia tradizione. Non v’è dubbio, pertanto, come da un lato le società misteriche hanno adottato   come proprio modello la pianta del Tempio ebraico, a suo  tempo immaginato da re Davide e successivamente costruito sotto la direzione del figlio  Salomone; e come – per altro verso – la mistica ebraica e lo studio dell’albero della vita hanno profondamente impregnato la cultura moderna (per così dire, occidentale) fino ai nostri giorni. Tutto ciò tenendo anche presente le influenze ingenerate dal pensiero gnostico e dalle “contaminazioni” provenienti dalle antiche tradizioni: basti pensare, in proposito come la colonna denominata Boaz sia associata allo stile architettonico dorico, mentre quella chiamata Jachin venga effigiata con lo stile corinzio e – infine – la colonna centrale allo stile ionico.

Tenendo presente ora la struttura dell’albero in argomento, mentre la parte inferiore dell’albero sephirotico corrisponde all’individuo, le tre sephirot superiori rappresentano l’archetipo dell’Adamo primordiale perfetto (Adam Kadmon), ad immagine e somiglianza di D*o. Soffermandoci temporaneamente sulle citate prime tre sephirot non sfugga che – secondo una accreditata tradizione – la sfera di Kether sia abbinata alla lettera Alef (ℵ), mentre Kochmah venga associata con la lettera Mem (מ) e Binah infine assimilata alla lettera Shin ( ש): ecco che le tre lettere madri: Alef, Mem e Shin, non per caso trovano posto nella parte superiore dell’albero della vita! Inoltre, fissando l’attenzione sulle due  sephirot di Kochmah (misericordia) e di Binah (rigore) immediatamente successive alla prima, denominata Kether (equilibrio), si evidenzia come queste rappresentino i due emisferi del cervello: Kochmah corrisponde all’emisfero destro creativo e Binah corrisponde all’emisfero sinistro razionale. Nello schema dell’albero della vita però, essi risultano invertiti e Binah è collocata alla destra della figura umana e Kochmà a sinistra. Poiché, secondo una certa tradizione, i due emisferi sono situati al contrario, ne deriva che l’individuo può essere considerato come l’Adamo primigenio riflesso allo specchio. Una volta conseguita la perfezione, l’emisfero di sinistra si colloca a destra e viceversa: in pratica i due emisferi cerebrali invertono la loro polarità.

Volendo approfondire le connessioni tra le varie branche del sapere, dobbiamo idealmente proiettare sul pavimento a scacchi le tre colonne dell’albero sephirotico: la colonna centrale (Sapienza/Equilibrio/Perfezione) che da Kether perviene a Malkuth passando per Tiphereth  e Yesod; quella di sinistra (Misericordia/Bellezza/Acqua) che da Kochmah conduce a Netzcah attraverso Chesed, e la colonna di destra (Fermezza/Forza/Fuoco) che da Binah perviene a Hod passando per Gevurah. In tal modo si possono visualizzare le tre colonne dell’albero della vita con i dieci universi e ventidue sentieri, tanti quanti sono le lettere ebraiche e le lame degli arcani maggiori.

L’essere umano ha le medesime due colonne del tempio sui lati del proprio corpo. Suo precipuo compito è quello di equilibrare le due diverse polarità energetiche (femminino-mascolino) per giungere alla perfetta erezione della colonna di mezzo, con il suo centro e cuore che è dato dalla sephirà Thipheret. Costituendo la terza colonna l’insieme  delle correnti energetiche che percorrono la spina dorsale, ecco che l’immagine ci rimanda alla  simbologia occulta del caduceo ermetico, l’archetipo del quale va posto in stretta correlazione in chiave ermetica con il sistema sephirotico. Le due colonne Boaz e Jachin sono, per tradizione qabalistica, due aspetti di una pianta allegorica posta al centro del Tempio.

Questa pianta è detta albero sephirotico o della vita, utilizzato anche per illustrare i teoremi dell’anabasi e della catabasi: quest’ultima consiste nella discesa nella materia dello spirito della divinità creatrice mentre la prima è la conseguente risalita dell’anima dalla materia verso lo spirito, e ciò grazie all’azione della Shekinah.  Nella misura in cui la catabasi interessa l’azione  del divino, l’anabasi verso il ritorno all’originale forma coscienziale dell’Adam Kadmon, è il sentiero che ciascun Adamo terrestre è chiamato ad intraprendere per annullarsi nel divino (Nirvana), al fine di non reincarnarsi mai più.  Affinché ciò accada è necessario che l’Ouroboros, il quale nella sfera di Malkuth ruota su se stesso, si liberi per (provare a) risalire lungo l’Albero, fino a Kether se gli sarà possibile, ovvero fin dove gli sarà consentito. Ecco che l’albero sephirotico è – dunque  – una grande mappatura ermetica del ritorno dell’uomo verso il modello archetipico dal quale discende.

Tale percorso va interpretato e ricondotto ai suoi precipui significati primordiali dei primi valori arcaici e tradizionali, trattandosi di un viaggio  trasmutativo oltre che coscienziale. La colonna centrale di questo sistema, come è stato già accennato, rappresenta un percorso spirituale che da Malkuth (simbolo della più densa fisicità) conduce direttamente a Kether (simbolo evidente  dell’ingresso alla componente meno densa e più sottile del proprio cielo interiore). Questo percorso, a differenza della via larga del discente  (sicuramente meno insidiosa perché più lenta e ponderata), è la cosiddetta via “stretta”, cioè quella più pericolosa perché rapida che – per coloro che sanno discernere i Misteri, conduce all’iniziazione. Accingendoci all’epilogo di questo breve excursus, e senza volere ampliare il campo di indagine, si può concludere affermando che – allorquando le due colonne troveranno l’equilibrio tra di loro – significa che si è realizzata l’unione tra Sushmna e la Kundalini e questo matrimonio sacro inonderà tutto il corpo umano, riempiendolo interiormente di luce divina.

 

Silvano Danesi

Silvano Danesi

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