ALL’INCROCIO DEI CAMMINI INIZIATICI (1)

Nov 24, 2024 | SCIENZE ESOTERICHE

Silvano Danesi

A ogni uomo è concesso

conoscere se stesso

ed essere saggio”.

Eraclito – Fr. Diel-Kranz, 22B116

Il crocevia è luogo dell’incontro ed è luogo del passaggio.

In senso iniziatico il crocevia è il luogo dell’incontro di viaggi iniziatici, i quali hanno un’unica direzione, seguire l’indicazione apollinea: “Gnothi seauton”, tradotta magistralmente dal grecista Angelo Tonelli con: “Conosci il tuo sé”.

Le vie, i cammini, sono diversi, in quanto appartengono a culture e tradizioni diverse, ma convergono nel luogo dell’incontro, che è anche luogo del passaggio.

Ho scelto, come ordito, sul quale far scorrere il filo della trame di questa riflessione, i testi di uno studioso della tradizione chassidica ebraica, Martin Buber, contenuti nel libro dal titolo: “Il cammino dell’uomo” edito da Qiqjon della Comunità di Bose, segno di un incontro tra ebraismo e cristianesimo al crocevia di due tradizioni.

Simbolo dell’incontro e del passaggio è l’erma, alla quale il massone Gabriele D’Annunzio dedica una sua poesia contenuta nelle Elegie romane.

“Erme custodi, o in terra solinghi iddii taciturni

vigili meditante anima nella pietra,

voi custodite ancora l’antica memoria

voi siete memori ancora, bella solitudine!

Altri l’oblio già tiene, a quale di voi ella cinse

ilare il collo, tra li acanti floridi?”

L’erma è un pilastrino di sezione quadrangolare, sormontato da una testa scolpita a tutto tondo, che nell’antica Grecia raffigurava Hermes.

Le erme erano collocate, lungo le strade, ai crocevia.

Per gli antichi Greci in Hermes si incarnava principalmente lo spirito del passaggio e dell’attraversamento; di un passaggio da un luogo o da uno stato all’altro.

Hermes funge anche da interprete, svolgendo il ruolo di ánghelos (ἄγγελος), “messaggero degli dèi”), un compito che condivide con Iris, personificazione dell’arcobaleno, simbolo dell’incontro tra cielo e terra, tra il superior e l’inferior e anche della luce nella sua molteplice manifestazione.

Da Iris deriva l’iride, quella parte dell’occhio che ha la funzione di regolare la quantità di luce che colpisce la retina.

In chiave simbolica possiamo dire che l’incontro con la Luce non avviene direttamente, ma mediato da un messaggero regolatore.

Da Hermes deriva uno dei crocevia più interessanti della cultura occidentale, quello tra la Grecia e l’Egitto.

Con ermetismo o filosofia ermetica, infatti, ci si riferisce a un complesso di dottrine sapienziali, misteriche, religiose e filosofiche elaborate in lingua greca durante il periodo della cultura ellenistica greco-romana, a cominciare dal II secolo d.C.

Ad esse si affiancarono teorie astrologiche di origine semita, elementi della filosofia di ispirazione platonica e pitagorica, credenze gnostiche e antiche conoscenze egizie.

Di questo crocevia è simbolo Ermete Trismegisto, Ermete il tre il volte grandissimo, sintesi del dio greco Hermes e del dio egizio Thot, ossia di due tradizioni che si sono fuse in epoca egizio tolemaica.

Ad Ermete Trismegisto è attribuito il Corpus ermeticum, raccolta di scritti operata in epoca tolemaica, che contiene rimandi all’antica sapienza egizia.

Fatta questa premessa eccoci a quanto ci riferisce Martin Buber, in questo libro presentato dal Priore della Comunità di Bose, Enzo Bianchi.

Martin Buber ci racconta che Rabbi Scheneur Zolman, il Rav della Russia, incarcerato a Pietroburgo, mentre era assorto nei suoi pensieri, venne interrogato dal capitano delle guardie entrato nella sua cella, il quale chiese: “Come bisogna interpretare che Dio onnisciente dica ad Adamo: «Dove sei?»”.

La risposta fu: “In ogni tempo Dio interpella ogni uomo: «Dove sei nel tuo mondo? Di giorni e di anni a te assegnati ne sono già trascorsi molti: nel frattempo tu fin dove sei arrivato nel tuo mondo?»”.

Adamo – commenta Buber – si nasconde per non dover rendere conto, per sfuggire alla responsabilità della propria vita, cosicché l’esistenza viene trasformata in un congegno di nascondimento, ma “l’uomo non può sfuggire all’occhio di Dio” e “cercando di nascondersi a lui, si nasconde a se stesso”.

Qui Martin Buber introduce il concetto di voce, di chiamata, quella che in altri contesti è detta l’araldo o lo straniero e che Federico Faggin[1] direbbe essere la coscienza di Uno (“coscienza come capacità di Uno di conoscere se stesso). Coscienza della quale la coscienza umana è parte distinta, ma non separata.

Il concetto di distinto, ma non separato, è fondamentale.

“Per quanto ampio sia il successo e il godimento di un uomo – scrive Buber -, per quanto vasto sia il suo potere e colossale la sua opera, la sua vita resta priva di un cammino finché egli non affronta la voce. Adamo affronta la voce, riconosce di essere in trappola e confessa: «Mi sono nascosto». Qui inizia il cammino dell’uomo. Il ritorno decisivo a se stessi è nella vita dell’uomo l’inizio del cammino, il sempre nuovo inizio del cammino umano. Ma è decisivo, appunto, solo se conduce al cammino: esiste infatti anche un ritorno a se stessi sterile, che porta solo al tormento, alla disperazione e a ulteriori trappole”.

La voce è quella del Grillo parlante della fiaba scritta dal massone Carlo Lorenzini, meglio conosciuto come Carlo Collodi, ossia di Pinocchio.

Pinocchio, burattino di legno contenente in sé un’anima, non ascolta la voce e attraversa un cammino travagliato. Troverà se stesso nel centro dell’inconscio (il ventre della balena) guidato dalla fioca luce di una candela e dall’incontro con il suo creatore, quel Geppetto, diminutivo del nome Giuseppe, il cui etimo deriva dall’ebraico יוֹסֵף (Yosef), basato sul verbo yasaph: “accrescere”, “aumentare”) e significa “egli aggiungerà”. Geppetto, come vedremo più avanti, ha la conoscenza e la sapienza del legno; è un Gwydd.

Il successivo incontro con la sua Anima, la Fata turchina, lo renderà Occhio Pino, ossia capace di vedere con la pineale, il terzo occhio. Vedere con la ragione e con l’intuizione unite nel terzo occhio, luogo dell’incontro e del passaggio.

Nel “De Umbris idearum”, Giordano Bruno fa dire a Filotimo: “La provvidenza degli Dèi (lo dissero i Sacerdoti egiziani) non smette di mandare agli uomini alcuni Mercuri in certi tempi stabiliti, benché sappiano in anticipo che questi non saranno accolti per niente o saranno male accolti. Né l’intelletto, come anche questo sole sensibile, cessa d’illuminare continuamente per il motivo che né sempre né tutti ce ne accorgiamo”.

Tra i vari crocevia, troviamo l’incontro con la cultura druidica. Prendo dal mio “I Druidi custodi della Dea”.

L’antica poesia irlandese è il dialogo tra il file Nede e il suo maggiore Ferchertne, ovvero il “Dialogo dei due saggi”, e in essa si legge:

“Io sono figlio di Poesia,

Poesia, figlia di Riflessione,

Riflessione, figlia di Meditazione,

 

Meditazione, figlia di Scienza,

Scienza, figlia di Ricerca,

Ricerca, figlia di Grande Scienza,

 

Grande Scienza, figlia di Grande Intelligenza,

Grande Intelligenza, figlia di Comprensione,

Comprensione, figlia di Saggezza,

Saggezza, figlia dei tre dèi di Dana”.

 

La poesia ha uno schema ternario, secondo la tradizione druidica, e indica un percorso, che possiamo vedere nello schema[2], scandito in 3 cicli di 3 onde, più un ciclo finale, oltre la Nona Onda. Siamo in presenza di tre cicli ternari che rappresentano altrettanti stati di consapevolezza. Oltre la Nona Onda c’è il mondo degli Dèi, degli Archetipi, di una consapevolezza superiore, che si avvicina al mistero del Nascosto, del Senza Nome.

Intelligenza deriva da legere, che significa raccogliere e scegliere. L’intelligenza del cuore è dunque il raccoglierci in noi stessi per scegliere il percorso che ci conduce al nostro centro, per sceglierci, per comprendere la nostra essenza, la quale è in relazione con il Sé, che risiede sia nel nostro centro, sia nella Coscienza Universale, il Campo zero, il Cuore dell’informazione, dal quale sgorga, come da una sorgente, la vita, che è A-MOR (mr è radice indoeuropea che significa morte), AMOR: la vita, informazione diveniente forma.

L’Amore è la manifestazione (virgo) del cuore (Coscienza universale); è vita.

L’intelligenza del cuore è la via che ci porta a diventare consapevoli che noi siamo vita, ovvero manifestazione (energia) delle Coscienza universale e questa consapevolezza ci conduce oltre la Nona Onda, nel Regno dei Sidera, al quale ci richiama l’araldo della nostalgia (dal greco nóstos, ritorno, e álgos, dolore), che suscita in noi il dolore (algia) della lontananza dall’Origine e la ricerca della via per ritornare.

Sidus, stella in latino, deriva dalla radice europea sid, che significa splendere, essere terso, dalla quale possiamo far discendere anche Sid o Sidhe, il luogo dei morti viventi e degli Dèi, l’Altro Mondo, il Regno dei Sidera.

L’intelligenza del cuore è la via del coraggio, del cor –actum, che conduce all’Itaca dell’anima, ossia alla relazione (logos) con la Coscienza universale.

La via del coraggio è una via che si può percorrere solo a cuor leggero, ovvero innalzando progressivamente la nostra coscienza per essere sempre più in sintonia con l’armonia universale. A cuor leggero, più leggero delle piuma di Maat, il Neter egizio archetipo dell’equilibrio, della giustizia e dell’armonia, perché a cuor leggero significa superare progressivamente la pesantezza della dimensione materiale, che contiene in sé il concetto di limite (M, da cui materia e mater, è radice indoeuropea che significa limite) per ascendere alla comprensione di dimensioni altre.

A cuor leggero significa innalzare la nostra coscienza e diventare, come i druidi, semnotei, simili agli dèi, i quali sono l’alfabeto archetipico con il quale possiamo leggere la trama e l’ordito del mondo.

La via del druida è “sentire il tocco degli dèi” (ispirazione) raggiungendo “lo spirito che dà vita al mondo”. Il druida è in contatto con l’Awen «lo spirito che fluisce», l’ispirazione divina “che procede dal punto di contatto delizioso, travasandosi dalla divinità al druida. Con l’ispirazione arriva l’energia, la potenza necessaria al druida per consentire a tale ispirazione sacra di riversarsi attraverso di lui nella creatività. Il compito del druida è perfezionare questo processo”. [3]

In una conferenza tenuta a Osimo nel 2007, Alfonso Rubino, esperto di geometria sacra, pose la domanda: “Che cos’è l’intelligenza?”. Livia Colonna rispose dal pubblico: “Io penso che sia come un fluido che pervade il cosmo. Ognuno con la propria mente utilizza e asseconda questo fluido, imponendolo al proprio cervello, che è una specie di elaboratore”.[4]

Lynne Mc Taggart, autrice del Campo del Punto Zero, sostiene che “le nostre memorie non stanno dentro le nostre teste. Il nostro cervello è semplicemente l’organo di recupero e di lettura dell’ultimo supporto di memorizzazione, il campo”. (Scienza e Conoscenza, anno 9 numero 27- 2009).

Stuart Hameroff, professore al dipartimento di anestesiologia e psicologia e direttore del centro studi sulla coscienza dell’Università dall’Arizona, in un’intervista a Scienza e Conoscenza (anno 9 numero 27- 2009) scrive che ” i dati di cui siamo in possesso al momento ci portano a pensare all’esistenza di un’informazione superiore che non è meccanica” e ipotizza un livello molto profondo dell’universo dal quale emanano gli effetti quantistici che governano la consapevolezza. Effetti quantistici che nel loro insieme possono essere assimilati ad Aditi o a Brighit, principi astratti della creazione primordiale che derivano, come Brahman, dalla radice brih, che significa espandere, espansione. Un’espansione attivata da tapas, l’ardore e che manifesta quel livello profondo che non ha nome.

Il fluido, lo spirito che fluisce, è l’Awen.

L’intelligenza del cuore è accogliere l’Awen.

Nella favola “Thomas il rimatore” si narra che il giovane Thomas, innamoratosi della Regina degli Elfi, la seguì nel suo regno. Durante il viaggio si trovarono di fonte a tre vie e la Regina degli Elfi spiegò così la loro presenza: “La via ripida e stretta è chiamata il Sentiero dell’Onestà e pochi viaggiatori hanno il coraggio di seguirla. La strada ampia e piacevole che si stende attraverso il prato, è il Sentiero della Malizia, per quanto sembri così bella e piena di luce. E la graziosa stradina che serpeggia fra le siepi di arbusti è il sentiero che porta alla Terra degli Elfi …”.[5]

La via dell’Onestà è quella della Conoscenza, che porta la nostra mente a conoscere le regole del mondo e della Natura e a rispettarle. Il Sentiero della malizia è quello che percorrono coloro i quali, volendo ingannare gli altri, ingannano se stessi e rimangono nell’ignoranza e nel limite. Il sentiero che porta alla Terra degli Elfi è quello di chi intraprende la via della conoscenza che passa attraverso la permanenza nell’inconscio, per conoscerne i contenuti, affronta l’incognito e le prove, dimora in altre dimensioni, non ha paura di uscire dal limite.

L’intelligenza del cuore è la via dell’eroe, del coraggio, del cor-actum, in quanto è solo con l’azione coraggiosa che è possibile superare le prove, ovvero passare le soglie dei vari livelli di comprensione della complessità della manifestazione, approssimando la consapevolezza al Cuore, ovvero, alla Coscienza universale.

L’intelligenza del cuore è seguire l’Oracolo di Delfi, il quale dice al nostalgico degli astri, dei sidera, simboli dell’Origine: “Oh tu che desideri sondare gli Arcani della natura, se non riuscirai a trovare dentro te stesso ciò che cerchi, non potrai trovarlo nemmeno fuori. Se ignori le meraviglie della tua casa, come pretendi di trovare altre meraviglie? In te si trova occulto il Tesoro degli Dèi. Oh Uomo, conosci te stesso e conoscerai l’Universo e gli Dèi”.

L’intelligenza del cuore è la via dell’iniziato, il quale, come suggerisce Mircea Eliade, [6] è “colui che sa” e in quanto tale è colui che si ricorda dell’inizio; più esattamente, “colui che è diventato contemporaneo della nascita del mondo, quando l’esistenza e il tempo si sono manifestati per la prima volta”.[7]

Il percorso dell’iniziato è simile a quello delineato dal “Dialogo dei due saggi”.

Immagine cor actum

 

L’ispirazione, lo stimolo di Brighit, il richiamo dell’araldo, il dolore della lontananza, danno origine ad un’attività creativa (Poesia), che implica un tuffo nell’inconscio (Riflessione, morte iniziatica, incontro con la Morrigan) e la conoscenza di sé stessi (Meditazione), con l’armonizzazione (accordo) e il riportare al centro, al cor dare, le varie potenzialità conoscitive proprie dell’uomo. Il primo ciclo ternario: Poesia, Riflessione, Meditazione, attiva un ciclo settenario di armonizzazione.

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Al cor data la conoscenza di noi stessi, conosciamo la nostra Natura, ossia la nostra vibrazione nel concerto della Natura naturata ed entriamo consapevolmente nell’orchestra naturale. Sentiamo l’Amor (A-mors), ovvero la Vita scorrere in noi e ci riconosciamo nella Vita. Siamo parte della grande orchestra della Natura naturata. Le pietre, gli alberi, gli animali, gli altri esseri umani sono nostri essenziali colleghi di lavoro nella realizzazione del grande Progetto dell’Architetto dell’Universo. Ogni strumento è necessario e va rispettato e ammirato (guardato con meraviglia) nel suo suonare in sintonia; rispettato e aiutato a risvegliare il suo suono; rispettato nel suo essere “sconcertato” e aiutato a ricomporsi nel concerto; rispettato nella sua volontà di essere muto; rispettato, ma non tollerato, quando volontariamente, pervicacemente, disturba il concerto o, addirittura, distorce il lavoro armonico dell’orchestra.

Qui l’A-mor, la Vita, l’Amore assumono il nome di Libertà, cara ai druidi al punto tale che conculcare la libertà altrui o la propria era considerato l’unico atto colpevole sanzionato con la perdita della dignità e, conseguentemente, dell’essere druida.

L’uomo di desiderio, colui che ha tolto lo sguardo dalle stelle, (de-sidera significa togliere lo sguardo dalle stelle, ovvero dal Sid o Sidhe, il luogo dei morti viventi e degli Dèi, l’Altro Mondo, il Regno dei Sidera), ha perduto la consapevolezza dell’Origine, ma il desiderio, la perdita della via degli astri, è la causa del nóstos – álgos, il dolore del ritorno, che trasforma il desiderio nel suo contrario, nella volontà di vedere, nella brama della ricerca.

La libertà, nella dimensione umana del limite, è la condizione necessaria affinché lo stimolo del ritorno si esplichi e dia inizio alla ricerca.

Libertà è la condizione di chi non è soggetto a costrizioni, non è prigioniero (aggiungiamo: se non di se stesso, ovvero della perdita della vista degli astri).

Conculcare la libertà propria o altrui significa, pertanto, essenzialmente, impedire la scaturigine del nóstos – álgos, della nostalgia: l’araldo che attiva la possibilità del ritorno; significa condannare sé stessi o gli altri nel limite. Questo il motivo per il quale conculcare la libertà propria o altrui era per i druidi ed è, ancora, il delitto più grave.

Il sottile confine che separa il rispetto della propria libertà da quella altrui non è nella consapevolezza del sapiente, ma del saggio. Ed è alla saggezza che aspira l’iniziato, come condizione per andare oltre, verso l’Origine.

Colui il quale ha al cor dato i suoi strumenti di conoscenza, ha scoperto la sua Natura, ha capito che è collegata al concerto della Natura naturata, incontra Dana, ha la scienza del legno: è l’uomo naturale, vergine, è colui che sa della Natura, perché in essa si riconosce. Qui giunto l’iniziato deve compiere il balzo che gli è consentito solo dal cor actum. Dopo aver superato le prove dell’inconscio, l’iniziato libero e per questo nostalgico, mette volontariamente in moto l’atto del cuore, getta la sua conoscenza oltre, capisce che il suo cuore è il simbolo (una parte che rinvia ad altro) di un cuore che conduce all’origine e cerca il nesso, si avventura sulla via delle prove del Sé.

Espressa la volontà indomita (Ogma, colui che lancia la sfida e non rifiuta mai di combattere, divinità espressione della sovranità magico religiosa), l’iniziato si accosta al proprio Sé, alla connessione con il Sé superiore, in questo aiutato dal Logos, nel suo significato di relazione: il vedico Agni, dio del fuoco, messaggero tra Cielo e Terra (le offerte vengono bruciate sul fuoco) che rappresenta l’archetipo del sacerdote, del pontifex, di colui che risveglia l’uomo alla Luce; il celtico Lug, eternamente giovane, eterno fanciullo, il soccorritore, il mediatore tra il dio inconoscibile e gli uomini, l’amico dell’uomo. L’iniziato acquisisce fiducia, fede, si lascia persuadere (dalla radice *beidh, presente nel greco peíto = io persuado), guidare. Acquisisce così la Grande Scienza, che lo conduce sulla via dell’illuminazione, attraverso la comprensione della Regola, del Ritmo, e giunge al ricordo, al ritorno nel Cuore della Coscienza Universale, il Campo che contiene tutte le informazioni che l’energia, la Virgo Brighit, Brihat-Ritam, la Natura naturans, manifesta nelle forme dei mondi. L’iniziato ri-corda e va oltre, oltre la Nona Onda, nel Regno degli Dèi.

“Io sono un figlio della greve e del cielo stellato,

ma la mia razza è del cielo soltanto.

Questo lo sapete da voi.

Mirate, io sono arso dalla sete e perisco.

Datemi presto l’acqua fredda che sgorga

dal lago della memoria”.

Tavoletta orfica rinvenuta a Petelia

 Approdo finale dell’iniziazione è l’acquisizione di una “nuova vita”.

“L’individuo – scrive in proposito Joseph Campbell – attraverso discipline psicologiche prolungate, si libera da ogni attaccamento alle proprie limitazioni personali, alle proprie idiosincrasie, speranze e paure, non si oppone più al proprio annullamento, indispensabile per rinascere alla conoscenza della verità, ed è finalmente pronto alla grande conciliazione. Annientate le proprie ambizioni personali, egli non cerca più la vita, ma spontaneamente si abbandona a tutto ciò che può accadergli; diventa, per così dire, una cosa anonima. La Legge vive in lui con il suo consenso incondizionato”.[8]

La Legge è la Regola, Brihat-Ritam, Brighit-Recht e ognuno la deve scoprire da sé, senza mediatori, dogmi, verità rivelate, entrando nel flusso, facendo i conti con se stesso, cercando di riportare, da eroe moderno, come scrive Campbell, “alla luce l’Atlantide perduta dell’anima coordinata”.[9]

Brihat Ritam, ovvero Brighit è la Virgo, la Regina del Mondo e il “matrimonio mistico con la Dèa regina del mondo simboleggia il completo dominio della vita da parte dell’eroe, la sua comprensione della legge cosmica e, conseguentemente, il raggiungimento della condizione di Sovrano”. [10]

L’iniziato, giunto alla Saggezza, entrato nel Regno degli Archetipi, è simile agli Dei, semnoteo, ed è immortale, perché ha la piena consapevolezza che la sua essenza non è di questo mondo e che in questo mondo questa essenza esiste nel campo delle forme e della materia, ma che da queste non è più limitata, perché l’iniziato si è ri-cordato e sa.

“Coloro che sanno che l’eterno vive in loro e che essi, e tutte le cose, sono realmente l’eterno – scrive Joseph Campbell – abitano il bosco degli alberi miracolosi, bevono la rugiada dell’immortalità ed odono ovunque la silenziosa musica dell’eterna concordia”.[11]

La conoscenza del legno è diventata la sapienza del legno: Gwydd.

La saggezza implica la conoscenza dell’imperfezione, del limite, dei limiti e la consapevolezza della possibilità di superarli con la volontà, con il cor-actum e con la fiducia. Essere saggi significa anche conoscere e comprendere ciò che si oppone al cammino:

GLI OSTACOLI

SAGGEZZA PRESUNZIONE
 
AZIONE PAURA
   
CONOSCENZA SCHEMI – CREDENZE – PREGIUDIZI
 

L’ostacolo maggiore alla saggezza è la presunzione, l’anticipare (praesumere), il sentirsi arrivato, quando si è solo ad una tappa di un cammino senza fine.

Ed è per questo che i tre Dèi di Dana seguono anch’essi un ritmo ternario, costituendo nove onde.

I TRE DEI DI DANA SONO NOVE : NOVE ONDE

BRIAN – LUCHAR – LUCHARBA

Brian è figlio di Tuirenn e di Brighit.

Uccidono Cian, padre di Lug.

Cian (da radice indoeuropea *jan, artefice) è il demiurgo.

Archetipi dell’uomo inconsapevole, schiavo della materia, ossia del limite (*m radice indoeuropea che significa limite).
 
GOIBHNIU – LUCHTA – CREDNE

Goibhniu è fratello di Cian.

Tre artigiani (Battaglia di Mag Turied) – Artefici, collaboratori del demiurgo.

Conoscono la Natura naturata – Scienza del legno.

Archetipi dell’uomo che usa, accordate, le conoscenze dei sensi, sessuale, emotiva, comunicativa, intuitiva, appercettiva ed ha scienza.  

Consapevolezza mentale

   
LUG, DAGDA, OGMA

Lug è la relazione con il Vasto di Verità, manifestazione della Coscienza Universale, è l’amico dell’uomo, è abile in tutte le arti.

Dagda dà e toglie la vita.

Ogma è il druida primordiale iniziatore dell’umanità, Dio della scrittura e della sovranità magico-guerriera: è il conduttore.

(Corteggiamenti di Etain) – Conoscono la Natura naturans.

Saggezza del cuore.

Sapienza del legno.

Archetipi dell’uomo che ha saggezza.

Consapevolezza della Regola

Consapevolezza spirituale.

 

Anche i tre Dèi di Dana seguono il ritmo ternario e rappresentano archetipicamente tre livelli di consapevolezza.

Il primo livello è quello dell’uomo inconsapevole, legato alla materia, ovvero accecato dal limite, che ritiene invalicabile. Qui l’uomo uccide Cian, l’artifex, ossia la sua capacità creativa, la poesia, la sua libertà di uscire dagli schemi, dalle credenze, dai condizionamenti sociali, culturali, ambientali.

Il secondo livello è quello dell’uomo che, risvegliato dall’araldo, con la riflessione e la meditazione è giunto al proprio centro, al proprio cuore e ne ha riattivato l’intelligenza. Il suo lavoro è stato quello di accordare i vari livelli di conoscenza ed è diventato un artifex, un artigiano che conosce la Natura e su di essa sa operare armonicamente; è Goibhniu, il fabbro degli Dèi. Ha scienza e con questa si incammina, ricercando, verso la Grande Scienza, quella che conduce alla saggezza. Conosce la Regola, è illuminato dalla Sorgente ed è alla fine semnoteo, conosce la lingua degli Dèi (simbolica, archetipica). E’ consapevole della vita e della morte (Dana, Morrigan, Dagda), delle numerose arti e della relazione (Lug) con il Vasto di Verità (Brighit); conosce la Regola (Ritam, Recht).

I tre Dèi di Dana, dunque, rappresentano l’acquisita consapevolezza, da parte del saggio, dei vari livelli della consapevolezza stessa presenti nell’uomo, anche quando ha raggiunto la saggezza, perché il lavoro di sgrossamento della pietra non è mai concluso o, se si vuole, ad ogni processo di coagulazione segue inevitabilmente un processo di scioglimento (processo alchemico).

Infatti, i tre Dèi di Dana, ad ulteriori livelli di consapevolezza, potrebbero avere altri significati.

 Nuovo livello di consapevolezza

 Il mondo è stato creato con un atto dia-bolico (da dia ballein, gettare fuori), ovvero con la dispersione dell’unità originaria, di Prajapati o di Brahman, con la conseguente dis-armonia (armonia deriva dal greco hamózo = io congiungo, da harmós = spalla, giuntura, da radice indoeuropea *ar, che riporta a braccio, abbracciare, congiungere). Il simbolo, essendo una parte che rimanda all’altra da cui è separato, è la tensione verso la ricomposizione, è la parte che ci rimanda all’altro e l’essere umano, come tutto ciò che è frutto della creazione, è simbolo, ossia frammento disperso che anela alla ricongiunzione e rimanda all’altro da cui è separato. L’armonia è il cammino verso la ricomposizione. Poiché Cian, come demiurgo artifex è colui che compie l’azione dia-bolica della dispersione, ossia la creazione del molteplice, la sua uccisione è, metaforicamente, l’eliminazione della causa del molteplice e la riapertura della via della ricomposizione. Brian, Luchar e Lucharba sono, in questa versione, i liberatori, mentre Goibhniu, Luchta e Credne sono i collaboratori del demiurgo e Lug, Dagda e Ogma le sue espressioni archetipiche.

Nuovo livello di consapevolezza

Il dia-bolico sacrificio dell’Uno-Tutto, Prajapati o Brahman, è atto d’amore (nel senso di a-mors, di vita) in quanto con la dispersione si determina il processo di auto-conoscenza del Senza Nome, che si nomina disperdendosi. Il respiro del Senza Nome è dispersione e riunificazione, dia-ballo e sim-bolo, disarmonia e armonia.

Nuovo livello di consapevolezza

La Vita è l’espirazione (ex spirare) del Senza Nome, il frammentarsi del suo spiritus. L’inspirazione è il raccogliere i frammenti.

In questo senso la Vita, a-mors, è l’ex-spirazione, il determinarsi del Senza Nome nella molteplicità, il calarsi dei suoi frammenti nel limite (mater, materia) e la morte, mors, cessazione della Vita, è l’in-spirazione del Senza Nome, il ricongiungimento.

La Vita, a-mors, è determinata dall’ex-spirare, dal soffio, ossia dal morire a se stesso dell’Essere nel suo disperdersi e la morte è la ricomposizione, la ricongiunzione all’Essere dei suoi frammenti dispersi, il ritorno alla Vita del Tutto.

Nella continua trasformazione, tutto è Vita, a mors, Amore, essendo la morte solo un aspetto della Vita. Tutto è Amore.

segue

 

[1] Federico Faggin, Oltre l’invisibile, Mondadori

[2] Sono debitore, per quanto riguarda il corretto posizionamento degli alberi nello schema, all’amico Federico Gasparotti, esperto della Tradizione druidica.

[3] Emma Restall Or, I principi del druidismo, Armenia

[4] Roberto Mosca – Alfonso Rubino, La triplice cinta, Terra Nuova Edizioni

[5] Elfi e streghe di Scozia – Arcana

[6] Mircea Eliade, Miti, sogni e misteri, Rusconi

[7] Mircea Eliade, Miti, sogni e misteri, Rusconi

[8] Joseph Campbell, L’eroe dai mille volti, Guanda

[9] Joseph Campbell, L’eroe dai mille volti, Guanda

[10] Joseph Campbell, L’eroe dai mille volti, Guanda

[11] Joseph Campbell, L’eroe dai mille volti, Guanda

Silvano Danesi

Silvano Danesi

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