di Filippo M. Leonardi
Nel 1901 il marchese Saint-Yves d’Alveydre pubblica un articolo dal titolo Notes sur la Tradition Cabalistique, in cui nomina il misterioso alfabeto Vattan: “Dalla mia investigazione sugli alfabeti antichi della Ca-Ba-La di ventidue lettere, il più segreto che è sicuramente servito da prototipo, non soltanto a tutti gli altri dello stesso genere, ma anche ai segni vedici e alle suddette lettere, è un alfabeto ariano. […] Si distingue dagli altri [alfabeti] detti semitici per il fatto che le sue lettere sono morfologiche, cioè parlanti esattamente per mezzo delle loro forme: ciò ne fa un tipo assolutamente unico. Inoltre, uno studio attento mi ha fatto scoprire che queste stesse lettere sono i prototipi dei segni zodiacali e planetari […] I bramini chiamano questo alfabeto Vattan; e sembra risalire alla prima razza umana, poiché con le sue cinque forme madri rigorosamente geometriche, si firma da se stesso, Adamo, Eva, Adamah“. (1)
In realtà Saint-Yves d’Alveydre aveva già accennato ad una certa “lingua Vattan” nell’opera Mission de l’Inde en Europe nella prima edizione del 1885 che però fu distrutta dall’autore e ripubblicata soltanto nel 1910. L’autore riferisce di Agarttha, un misterioso centro esoterico nascosto nel sottosuolo dell’Asia, dove “nelle loro celle sotterranee, il Popolo innumerevole dei Dwijas è dedito allo studio di tutte le lingue sacre, e corona i lavori della filologia la più clamorosa fra le scoperte più meravigliose, quella della lingua universale di cui ho parlato. Questa lingua è il Vattan. (2)
Queste informazioni furono trasmesse a Saint-Yves d’Alveydre dal suo insegnante di sanscrito, un certo Haji Sharif o Hardjji Scharipf, che si firmava Guru Pandit della Grande Scuola Agarthiana: “a tempo debito informò Saint-Yves che tale scuola preserva la lingua originaria dell’umanità ed il suo alfabeto di 22 lettere: tale lingua si chiama Vattan o vattaniana”. (3)
L’alfabeto Vattan fu poi integrato nel cosiddetto Archeometra, una sorta di diagramma esoterico universale che compendiava le relazioni simboliche fra lettere, segni zodiacali, suoni, colori, ecc. Dopo la morte di Saint-Yves d’Alveydre comparvero a Parigi due diverse pubblicazioni relative all’Archeometra.
La prima pubblicazione era costituita da una serie di articoli pubblicati, a partire da luglio 1910, sulla rivista La Gnose, diretta da René Guénon. Secondo Vâlsan: “questo studio era firmato T., pseudonimo di Marnès, redattore capo de La Gnose; ma esso, come le notizie contenute nella maggior parte delle note, trasse naturalmente vantaggio dall’apporto del direttore Palingenius (René Guénon), del quale si riconosce lo stile. (4)
L’altra pubblicazione, preceduta da alcuni articoli preliminari comparsi sulla rivista L’Initiation partire da novembre 1910, era una compilazione di scritti raccolti nel volume L’Archéomètre a cura del gruppo denominato “les Amis de Saint-Yves”, sotto la direzione di Papus alias Gérard Encausse. Questa versione “acquisì uno statuto di referenza, non per la qualità del suo contenuto, ma perché era la sola ripubblicata da allora, e anche sotto l’effetto di una propaganda mendace con la quale Papus aveva tentato di appropriarsi di Saint-Yves facendosi passare per suo discepolo”. (5)
Nel 1921 Ferdinand Ossendowski pubblicò un resoconto romanzato dei suoi viaggi in Asia dal titolo Beasts, Men and Gods in cui descrisse il misterioso centro iniziatico di Agartha in cui “il Re del Mondo prega per un lungo periodo di tempo e successivamente si avvicina al sarcofago e stende la mano. Le fiamme guizzano più ardenti; le strisce di fuoco sulle pareti svaniscono e riappaiono, e intrecciandosi formano misteriosi segni dell’alfabeto vatannan”. (6)
René Guénon, prendendo spunto da Ossendowski, scrisse il saggio Le Roi du Monde che pubblicò nel 1924 su rivista e nel 1927 ampliato in forma di libro. Qui sono descritte le tre funzioni del Re del Mondo incarnate da tre personaggi: “il Mahânga rappresenta la base del triangolo iniziatico e il Brahâtmâ il suo vertice; fra i due, il Mahâtmâ incarna in certo senso un principio mediatore (la vitalità cosmica, l’Anima Mundi degli Ermetici), la cui azione si svolge nello «spazio intermedio»; e tutto ciò è raffigurato molto chiaramente dai corrispondenti caratteri dell’alfabeto sacro che Saint-Yves chiama vattan e Ossendowski vatannan, o il che è lo stesso, dalle forme geometriche (linea retta, spirale, punto) alle quali si riferiscono essenzialmente i tre mâtrâ o elementi costitutivi del monosillabo Om”. (7)
Secondo la spiegazione data nella rivista La Gnose, l’alfabeto Vattan, qui chiamato Watan, non era soltanto l’alfabeto adamitico o universale, ma anche la scrittura originaria di Atlantide, prima che fosse distrutta: “Il più importante degli alfabeti che noi dovremo considerare qui per il momento è l’alfabeto watan. Questo alfabeto, che fu la scrittura primitiva degli Atlantidi e della razza rossa, la cui tradizione fu trasmessa all’Egitto e all’India dopo la catastrofe in cui scomparve Atlantide, è la traduzione esatta dell’alfabeto astrale. Esso comprende tre lettere costitutive […] sette planetarie e dodici zodiacali, ossia in tutto ventidue caratteri […] L’alfabeto primitivo degli Atlantidi è stato conservato in India, ed è mediante i Brahmana che è giunto fino a noi; quanto alla lingua atlantidea stessa, aveva dovuto dividersi in diversi dialetti, che divennero forse anche con il tempo delle lingue indipendenti ed è una di queste lingue che passò in Egitto; questa lingua egizia fu l’origine della lingua ebraica, secondo Fabre d’Olivet”. (8)
In realtà l’alfabeto Vattan non ha nulla a che fare con il sanscrito o con la tradizione indù, né con la lingua egiziana che pur appartenendo alla stessa famiglia cosiddetta afroasiatica, tuttavia non ha generato affatto l’ebraico, con cui ha più differenze che somiglianze. Il nome wattan probabilmente è stato preso in prestito dall’arabo, o dal turco nella forma vattan, lingue in cui significa “madre patria”, termine con cui si voleva alludere probabilmente alla terra originaria e perduta, ovvero il mondo antidiluviano dell’Eden biblico o dell’isola di Atlantide secondo il mito raccontato da Platone.
Nella forma in cui ce lo trasmette Saint-Yves d’Alveydre l’alfabeto Vattan è palesemente costruito sull’alfabeto ebraico di 22 lettere. La suddivisione in tre lettere “madri”, sette planetarie e dodici zodiacali deriva dalla tradizione cabalistica del Sepher Yetzirah: “ventidue lettere fondamentali: tre madri, sette doppie e dodici semplici”. (9) L’unica differenza tra l’ebraico e il vattan è la forma grafica delle lettere e il diverso ordine di corrispondenza astrologica dato da Sant-Yves rispetto al Sepher Yetzirah.
Secondo Saint-Yves “i segni astrali, zodiacali e planetari, derivano senza dubbio da questo alfabeto, così come la maggior parte delle lettere e delle cifre più o meno alterate sono venute da una pura fonte comune, tramite fiumi diversi e più o meno fangosi”. (10) Questa affermazione è alquanto opinabile, considerato che i simboli vattan non somigliano affatto a quelli astrologici se non in pochi casi, in cui è probabile che sia avvenuto l’esatto contrario, cioè che siano questi ad essere stati mutuati dai simboli astrologici originari: per esempio Giove, Ariete, Marte e Bilancia.
Per quanto riguarda le corrispondenze tra le lettere e i simboli astrologici, dodici rimangono invariate rispetto al Sepher Yetzirah. Di queste ce ne sono alcune particolarmente significative: per esempio la Beth che corrisponde alla Luna, sia per la forma della lettera ebraica, sia per il fatto che i fonemi labiali, secondo la fonosemantica, esprimono le forme arrotondate e curve; oppure la lettera Lamed il cui suono esprime equilibrio ed infatti corrisponde alla Bilancia.
Tra le dieci lettere che hanno cambiato ordine nello schema archeometrico, ce ne sono almeno tre che sono ricollocate in maniera molto appropriata: mem, nun, resh. La lettera mem va a corrispondere con il segno dello scorpione, che graficamente assomiglia proprio a una M. Secondo la fonosemantica il fonema [m] rappresenta “ciò che non ha forma” per via della sua articolazione eseguita con le sole labbra senza lingua e per la forma dell’onda acustica molto semplice, di conseguenza esprime simbolicamente la materia informe da cui sono originate le forme individuali e a cui ritornano quando sono dissolte, da cui il significato sia di “madre”, da un lato, sia di “morte”, dall’altro. Questi due aspetti complementari dell’esistenza sono associati allo scorpione poichè questo animale invertebrato, pur essendo velenoso quindi mortifero, al tempo stesso è una madre amorevole che trasporta i suoi figli sul dorso nella prima fase di sviluppo. L’equivalente egiziano è la dea avvoltoio, che nutre la sua prole con le carogne, dal nome mwt che significa sia “madre” che “morte”.
La lettera nun è tradizionalmente associata ai grandi cicli cosmologici come per esempio presso gli antichi egiziani che chiamavano nun il grande oceano che circonda il mondo, rappresentato come un serpente chiuso su se stesso in forma di cerchio. Analogamente in ebraico la lettera nun prende il nome da una sorta di serpente o pesce. Dalla stessa radice deriva il nome dei grandi “cetacei” taninnim che nella Genesi rappresentano i grandi cicli cosmologici, cioè quelli che si chiudono completamente su se stessi, a differenza degli altri animali che con i loro movimenti alternati, sincronici o epicicloidali, rappresentano i sottocicli minori. Il simbolo grafico del ciclo completo è ovviamente il cerchio, con un punto all’interno per indicare il suo centro, vale a dire il simbolo astrologico del sole che nella sistemazione di Saint-Yves d’Alveydre corrisponde proprio alla lettera nun. Secondo René Guènon, poichè metà del ciclo corrisponde alla fase di occultamento, talvolta si rappresenta soltanto metà cerchio, come nella forma grafica della nun araba: “questa lettera è costituita dalla metà inferiore di una circonferenza, e da un punto che è il centro della circonferenza stessa”. (11) Nell’alfabeto vattan la lettera nun è identica alla lettera araba, ma capovolta.
La lettera resh, secondo la sistemazione archeometrica, corrisponde al segno dei pesci che sono sempre rappresentati in coppia, come se stessero nuotando in cerchio rincorrendosi l’un l’altro. In effetti, secondo le corrispondenze tradizionali tra segni zodiacali e le parti del corpo umano, i pesci corrispondono ai piedi, che si muovono alternativamente procedendo in avanti. Ebbene, secondo la fonosemantica il fonema [r] è l’unico ad avere un suono periodico abbastanza lento da essere percepito distintamente dall’orecchio umano come una ripetizione, per cui rappresenta naturalmente il movimento rototraslatorio e forma la radice di tutte le parole che esprimono sia la propagazione retta, sia la rotazione. Perciò, sebbene il nome della lettera resh in ebraico significhi “testa” in realtà ben corrisponde ai piedi, che permettono la deambulazione in avanti cioè nel verso “frontale”.
In conclusione possiamo dire che l’alfabeto vattan, di cui si millanta l’origine adamitica, atlantidea o per lo meno ariana, non è altro che un falso di ispirazione occultista, costruito assegnando all’alfabeto ebraico una nuova veste grafica, totalmente inventata, e arrangiando diversamente alcune corrispondenze astrologiche. Tuttavia, come talvolta accade nell’ambiente esoterico, per esempio nel caso dei Tarocchi, anche il rimaneggiamento di elementi tradizionali da parte di autori non del tutto consapevoli, grazie all’intuizione personale o a qualche indicazione pervenuta per vie traverse, può comunque rivelare un barlume dell’antica sapienza.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:
(1) Alexandre Saint-Yves d’Alveydre, Notes sur la Tradition Cabalistique, L’Initiation, Paris, 1901.
(2) Alexandre Saint-Yves d’Alveydre, Mission de l’Inde en Europe, Librairie Dorbon Ainé, Paris, 1910, p. 47.
(3) Joscelyn Godwin, Il mito polare, Ed. Mediterranee, Roma, 2001, p. 100.
(4) Michel Vâlsan, Sufismo ed Esicasmo, Ed. Mediterranee, Roma, 2000, p. 46.
(5) T., L’Archéomètre, Editions Kalki, Rennes, 2014, Avant-propos de l’éditeur, p. 3.
(6) Ferdinand Ossendowski, Beasts, Men and Gods, E.P. Dutton & Company, New York, 1922, cap. XLVIII.
(7) René Guénon, Il Re del Mondo, Adelphi, Milano, 1977, cap. IV.
(8) René Guénon, L’Archeometra, Atanor, Roma, 1986, p. 12.
(9) Sepher Yetzirah, II, 1 (versione Rabad) < Georges Lahy, Sepher Yetzirah – Il libro della formazione, Venexia, Roma, 2006.
(10) Alexandre Saint-Yves d’Alveydre, L’Archéomètre, Dorbon Aîné, Paris, 1934, p. 149.
(11) René Guénon, Simboli della Scienza Sacra, Adelphi, Milano, 1975, p. 142.