di Silvano Danesi
Augusto Vasselli, ha scritto di Gustav Meyrink, introducendo, come sa fare benissimo, uno degli scrittori più interessanti del filone esoterico che attinge all’antica Tradizione.
Ci sono alcuni riferimenti a Meyrink che mi inducono a introdurmi nella riflessione di Augusto Vasselli, con alcune considerazioni.
La Casa della Vita dell’antico Egitto era una scuola di scienze sacre annessa a tutti i principali templi, non molto diversa da quelle che nel Medio Evo erano annesse alle cattedrali, ossia le logge massoniche, ed era una scuola nella quale si impartiva un’istruzione esperienziale.
“L’insegnamento impartito nella casa della vita era – scrive Jeremy Naydler – un addestramento esoterico che forniva la conoscenza della sfera dell’invisibile tramite un percorso di evoluzione interiore. Solo viaggiando letteralmente nell’Oltretomba il discepolo poteva pervenire alla conoscenza di ciò che era in esso, così come solo sperimentando il mondo degli dèi poteva comprenderne la natura”. [i]
Nella Casa della Vita non si insegnava nulla che avesse a che fare con la religione, parola che in antico egizio non esiste. Nella Casa della Vita si faceva esperienza di Heka, termine malamente tradotto come magia e che, più propriamente, significa «potenza spirituale», così come “la parola dell’antico egiziano che noi traduciamo come «mago», letteralmente sarebbe «scriba della Casa della Vita»”. [ii]
Heka è l’originaria potenza creatrice divina, intimamente connessa con Maat, il «giusto ordine» e viene raffigurata come una divinità antropomorfa che tiene nelle mani due serpenti che si incrociano all’altezza del pericardio e che ha sulla testa il geroglifico della coscia del leone dal valore fonetico Pe, oppure pehety, la «parola creatrice» .
Viene qui proposta la trasformazione, la trasfigurazione, che avviene nell’essere umano tramite l’energia delle nadi: ida e pingala, mentre il valore fonetico di Pe richiama il mondo celeste dove nascono le anime.
Il pericardio ( frén) è la sede della coscienza e delle emozioni e il petto (timos) è la sede del respiro. Con l’anima-respiro (psiché-timos) un uomo sente, pensa e apprende. La “percezione viene introiettata nel timos, quindi correlata dalle frénes con gli altri dati”. [iii]
L’intrecciarsi delle due energie all’altezza del pericardio richiama quella capacità a muovere la luce della quale parla Gustav Meyerink nel suo romanzo: “Il volto verde” (Adelphi), in rapporto allo spostamento dei makifim.
“I makifim sono stati spostati – dice il vecchio ebreo Eidotter -. Da allora ho, come dire, il cuore in testa e il cervello nel petto”.
Chi sposta i makifim, i luminari della divina emanazione?
“Lo studio – dice Eidotter – non serve e neppure la preghiera e persino i mikwaoth, i bagni rituali, sono inutili. Se non viene uno dall’altro mondo a spostare i lumi, noi non siamo in grado di farlo”. [iv]
Il cuore in testa e il cervello nel petto significa riportare al giusto posto le energie che presiedono alla vita e all’esperienza dell’essere umano.
Sa o Sia è l’intelligenza e il cuore Ab – Ib è la sede di Sia, la conoscenza ed è la controparte spirituale di Haty, il cuore materiale, centro della vita mentale.
Le parole Sakhu o Sa-Hu (intelligenza Sa e verbo Hu) contengono la S causativa, quindi Sakhu è ciò che causa l’Akhu (il primo involucro dello spirito divino che si incarna, il Corpo di luce). Sakhu o Sa-Hu è l’intelligenza suprema (Sa), in azione (Hu) e causa l’Akhu, il primo involucro dello “spirito divino”, ossia della particella di Sa che entra in azione e si dota di un corpo di luce (appunto Akhu).
Osiride è al centro della Casa della Vita (Per Ankh in egizio) ed è la chiave per chiarirne il significato.
Osiride in antico egizio è As Ar e Sar è il nome antico di Aldebaran, l’occhio del Toro, al quale è associato Horo. Ar è un verbo che ha il significato di ascendere, mentre la s determina una coniugazione causativa. Osiride e Horo sono pertanto tra di loro connessi da un verbo che significa ascendere. Un ascendere dalla Duat alla luce del giorno: “Per em Ra”.
Heka significa letteralmente colui che attiva il Ka, l’aspetto dell’anima che incorpora la personalità. Gli Egizi pensavano che la magia operasse attivando la potenza dell’anima. “Heka” implica anche grande potenza ed influenza, particolarmente se si parla del Ka degli dei. Heka agiva assieme ad Hu, il principio della parola divina, e Sia, il concetto della divina onniscienza, per creare le basi della “potenza creativa”[3] sia nel mondo mortale che in quello divino.
Essendo uno che attiva il Ka, Heka viene anche definito figlio di Atum, creatore delle cose in generale, o occasionalmente figlio di Khnum, che creò lo specifico Ba personale (un altro aspetto dell’anima). Essendo figlio di Khnum, sua madre sarebbe stata Menhit.
Il geroglifico che rappresenta il suo nome è un pezzo di lino con un paio di braccia alzate; somiglia anche vagamente ad un paio di serpenti intrecciati tra le braccia di qualcuno. Di conseguenza, si dice anche che Heka abbia combattuto e vinto due serpenti, ed era solitamente raffigurato come un uomo che strozza due serpenti intrecciati. Medicina e dottori sono visti come rami della magia, per cui i sacerdoti di Heka svolgevano anche queste attività.
La “magia”, nel vero senso antico della parola, è l’energia metafisica grezza, indifferenziata, che intride l’universo.
La matematica, con la perfezione delle sue leggi, è un aspetto della magia; l’energia vitale, che permette di “animare” i corpi, è una forma di magia; la fisica e la chimica, sono forme di magia.
Heka è l’energia che permea lo spazio vitale. Il simbolo geroglifico di Heka nell’Antico Egitto ne spiega perfettamente l’essenza. Il simbolo è formato da una corda intrecciata tre volte su se stessa, insieme ad una coppia di braccia che “impone le mani”.
Dal vuoto primordiale nasce l’energia che poi si propaga nel mondo, essa è rappresentata dal gesto, utilizzato in ogni cultura e tempo, dell’imposizione delle mani. Il geroglifico indica il suono KA.
Il KA dell’Antico Egitto è paragonabile, semplificando per poter comprendere subito il concetto, al PRANA indiano, al KI giapponese, al CHI (QI) cinese. La vita nel mondo dell’HeKA, quindi della “magia dell’energia primigenia che permea ogni luogo ed essere vivente”, è paragonabile al NAGUAL messicano, l’assoluto ideale contrapposto al TONAL (ciò che è conosciuto relativamente).
Nei Testi dei Sarcofagi (2134-2040 a.C.) il dio afferma: “A me apparteneva l’universo prima che gli dèi esistessero. Voi siete venuti dopo perché io sono Heka”. Si tratta dunque di un dio che non ha origini e che si manifesta nel corpo umano nel cuore e nella lingua, rappresentati dagli dèi Sia e Hu, responsabili di regolare la nascita e la morte degli uomini.
All’inizio dei tempi, Atum emerse dalle acque del caos e cercò la prima terra emersa, la piramide primordiale chiamata ben-ben, e da lì iniziò la creazione. Heka si trovava con lui in questo momento cruciale. Il nome Heka significa infatti “la prima opera”, o anche “potere”. Veniva anche chiamato “Signore di tutti i ka“.
Il ka è uno delle nove parti dell’anima, il sé astrale, ed è collegato al ba (raffigurato come un uccello dalla testa umana che s’invola dalla terra al cielo) e dopo la morte diviene akh, l’anima immortale. Heka era inizialmente il dio che proteggeva le anime e permetteva loro, con i suoi poteri, di ascendere dopo la morte. Per questa sua funzione protettiva aveva un posto d’onore nella Barca di Ra che viaggiava ogni notte attraverso l’oltretomba.
Lentamente, con l’elevazione del dio Amun a entità trascendente, ci si allontanò dalla fede tradizionale, avvicinandosi a un concetto di dio simile a quello cristiano. Heka venne dimenticato, ma non l’idea di un’energia capace di permeare l’universo. I filosofi greci parleranno in seguito di logos o di nous, una forza eterna che tiene unite tutte le cose, e così Heka sopravvisse sotto altri nomi. Heka rimase dunque sempre presente come quella forza invisibile che sta dietro agli dèi visibili.
[i] Jeremy Naydler, Il tempio del cosmo, Neri Pozza
[ii] Jeremy Naydler, Il tempio del cosmo, Neri Pozza
[iii] R.B. Onians, Le origini del pensiero europeo, Adelphi
[iv] Gustav Meyerink , Il volto verde, Adelphi.