di Silvano Danesi
Se la Massoneria avesse fatto e facesse il suo dovere, essendo conoscitrice del linguaggio dei simboli, degli archetipi e dei miti, avrebbe reso evidente (renderebbe evidente) cosa si nasconde di assolutamente diabolico dietro all’abbattimento delle statue attuato da utili idioti e indotto da diaboliche e malefiche menti raffinate che ben conoscono il significato profondo di gesti che solo all’apparenza sono contro il razzismo, il colonialismo, lo schiavismo.
Per capire facciamo anzitutto attenzione al significato etimologico della parola statua, che indica uno stare fermo e in piedi, il che rinvia ad un concetto di stabilità.
Cosa c’è di stabile da abbattere?
La risposta ci viene da M.L. von Franz, allieva e collaboratrice di C.G.Jung, la quale, nel testo: “L’individuazione nella fiaba (Bollati Boringhieri) scrive che “il corpo immortale che si presume noi otteniamo dopo la resurrezione […] era chiamato statua”.
Resurgo (latino mi rialzo) significa rimettersi in piedi e il corpo immortale al quale si riferisce M.L.von Franz è, in altri termini, il corpo di gloria o corpo di luce del quale narrano molte tradizioni: una substantia che oggi è stata scientificamente pensabile come possibile, in quanto concretamente realizzata.
Un team di ricercatori italiani è riuscito per la prima volta a trasformare la luce in un supersolido, ossia in un materiale unico che possiede una caratteristica sorprendente: la viscosità zero, simile a un superfluido, combinata con una struttura ordinata, paragonabile a quella dei cristalli convenzionali.
Gli scienziati sono riusciti a trasformare particelle di luce in un “cristallo” che scorre come un liquido, ma che è allo stesso tempo un solido: è l’incredibile stato della materia chiamato supersolido.
Un “supersolido” a livello quantistico è uno stato della materia che combina la rigidità strutturale tipica dei solidi con quella di fluire senza attrito dei superfluidi.
Dal punto di vista di una possibile riflessione sull’anima, il supersolido risolverebbe la questione di come possa un corpo di luce (l’anima) mantenere coerenza e, allo stesso tempo, non avendo attrito, durare all’infinito.
In altri termini, quanto hanno fatto gli scienziati del Cnr permette di ipotizzare che la Natura consenta all’essere umano di avere un corpo biochimico (bios), materiale, che ha massa e quindi attrito e un corpo di luce, che non ha massa, non ha attrito e, tuttavia, ha coerenza.
Siamo di fronte alla concreta possibilità che, quando il nostro corpo biochimico soggiace all’entropia (muore), la nostra identità, la nostra intelligenza, la nostra coscienza, le informazioni derivanti dalla nostra esperienza si trasferiscano in un corpo di luce, che possiamo chiamare anima.
Quello che ci interessa sottolineare è che la luce diventa una sostanza impossibile: rigida come un cristallo, ma fluida senza attrito.
Quanto è possibile ottenere in laboratorio lo è in quanto esistono leggi della Natura che lo consentono ed è del tutto possibile quindi che nel grande athanor della Natura universale questo processo di cristallizzazione della luce avvenga, senza che ci sia l’intervento umano.
Proviamo ora ad affrontare la questione dal punto di vista della filosofia.
Il termine latino substantia come del resto il termine subjectum è la traduzione del greco hypokeimenon, “ciò che sta sotto”.
Tuttavia nella tradizione filosofica il latino substantia è stato usato piuttosto come traduzione del termine greco ousia, drivante da ousa, participio presente femminile del verbo essere.
Aristotele, nella Metafisica, definisce la sostanza secondo due sensi fondamentali: come sostrato (hypokeimenon) e come essenza (to ti en einai; letteralmente: “che cos’era essere” ciò per cui una certa cosa è ciò che è e non un’altra.
Sostanza come essenza dell’essente.
Per quanto riguarda il primo senso Aristotele ritiene che “la forma e il sinolo [siano] sostanza più autenticamente della materia”.
Per quanto riguarda il secondo senso, quello di essenza, Aristotele identifica la sostanza con ciò che è enunciato dalla definizione per genere prossimo e differenza specifica: in questo senso essa non è altro che la forma.
Ora, dopo la scoperta dei fisici relativa all’ipersolido di luce, possiamo avanzare l’ipotesi che la sostanza, intesa come sinolo (unione) di forma e materia introdotto da Aristotele, possa applicarsi al sinolo di forma e luce.
Se così fosse, avremmo una sostanza materiale e una sostanza di luce.
La materia è un’entità provvista di una propria consistenza fisica ed è dotata di peso e di misura. Nella sua unione con la forma si presenza come sostanza. La sostanza materiale appartiene alla categoria dei fermioni.
La luce, composta di fotoni, non è materia. Un fotone è privo di massa, appartiene alla categoria dei bosoni e, poiché non decade spontaneamente, la sua vita è infinita.
Se consideriamo l’anima come corpo di luce, la vita infinita del fotone significa vita infinita dell’anima.
Se il ragionamento ha senso, siamo di fronte alla prova scientifica della nostra immortalità.
Vedi in proposito:
https://www.casadellavita.eu/filosofia/dalla-metafisica-alla-fisica-1-lanima-cristallo-di-luce/
https://www.casadellavita.eu/filosofia/dalla-metafisica-alla-fisica-2-il-mondo-delle-anime/
https://www.casadellavita.eu/filosofia/dalla-metafisica-alla-fisica-3-un-universo-di-fotoni/
https://www.casadellavita.eu/filosofia/dalla-metafisica-alla-fisica-4-lanima-come-essent/
Fatto questo inevitabile riferimento alla substantia di luce, torniamo alla nostra M.L. von Franz, la quale fa risalire la denominazione del corpo di luce come statua all’antico Egitto.
Scrive M.L. von Franz: “Dopo le ultime preghiere della liturgia e immediatamente prima che il sommo sacerdote sigillasse definitivamente la porta della camera funeraria dove giaceva la mummia, veniva lentamente sollevata e collocata in posizione eretta una statua del defunto, che era in precedenza sistemata sul pavimento. Mentre venivano cantati gli ultimi versi della liturgia funebre (“Salute a te! Ora tu sei risorto, ora tu sei verso le stelle immortali e sei uno col dio! Hai attinto l’immortalità e con essa il potere di pervadere l’universo intero”), gli operai tiravano le corde e la statua veniva lentamente eretta e messa in piedi. Questo gesto liturgico voleva rappresentare, in forma simbolica, la resurrezione del defunto. Il morto non risorgeva, ben inteso sotto forma di mummia. Sebbene tutta l’opera di conservazione sul «vecchio Adamo», l’atto della resurrezione è rappresentato dall’erezione della statua di pietra che simboleggiava il nuovo Adamo”. [i]
E qui arriviamo ad un crocevia storico e concettuale fondamentale.
“È probabile – scrive M.L. von Franz – che ciò abbia influenzato storicamente tutte le successive concezioni gnostiche e manichee, che identificavano il corpo della resurrezione, il secondo Adamo, con una statua”.
Qui è necessaria un altro riferimento, in questo caso relativo alla ritualità massonica.
Nell’iniziazione al grado di Maestro, il Maestro della leggenda massonica è Hiram (Hi, contrazione di High e Ram, ariete, ossia il Grande Ariete, l’egizio Amon).
Nella leggenda Hiram viene ucciso da tre compagni che gli vogliono carpire il segreto dell’arte edificatoria e il suo cadavere è ritrovato da un gruppo di maestri i quali ne constatano il disfacimento corporeo (”la carne si stacca dalle ossa”). Constatato il disfacimento corporeo tre maestri lo risollevano. Cosa del tutto assurda se si pensa al cadavere.
Di fronte a chi dice che è ormai morto, il Maestro che conduce la cerimonia afferma: “Non è cosi, rispettabili fratelli miei. Voi riuscirete a rialzare il nostro Maestro. Furono tre ad ucciderlo per ignoranza, fanatismo e ambizione. Tre luci sono necessarie per annullare la loro opera”.
Cosa annullano i maestri nel rituale? Semplicemente la morte totale, in quanto risollevano, fanno risorgere, rimettono in piedi, il corpo di luce. Il corpo materiale è morto. Il corpo di luce risorge.
Ed è a quel punto che il maestro che conduce la cerimonia afferma: “Eccoti risorto tra noi”.
Tralascio, ovviamente, i numerosi significati simbolici che riguardano questa cerimonia che ci riporta direttamente alla tradizione antica dell’Egitto faraonico.
Qui mi preme solo affermare che la Massoneria conosce bene la questione della resurrezione, con i suoi significati e, pertanto, non può stare in silenzio di fronte all’operazione diabolica di chi vuole trasformare il Deus-Homo in Homo-Deus, ossia di chi vuole eliminare l’anima, il corpo di luce, l’esistenza della immortale substantia dell’essere umano, per fare dell’essere umano solo carne che cammina e che cerca la sua immortalità nella tecnica, affidandosi ai transumanisti e ai cultori dell’eugenetica nazista.
Possibile che davvero chi abbatte statue sia indotto a farlo da menti diaboliche?
Torniamo alla nostra M.L. von Franz.
“In certi inni manichei- scrive M.L. von Franz – si dice che il mondo sarà distrutto dal fuoco, che i buoni saranno ricompensati e i malvagi puniti, come nella tradizione cristiana, e ciò avverrà quando giungerà la statua. La parola greca per “statua”, in questi contesti, è andrias, che deriva da anér, uomo; la parola andrias è usata solo per indicare una statua di pietra in forma umana. Quando l’andrias verrà alla fine dei tempi come Salvatore, il mondo sarà in parte salvato e in parte distrutto. Talvolta la statua è chiamata anche eikon, immagine, ma più frequentemente andrias. «Nell’ultimo giorno l’andrias risorgerà e, nell’ora in cui l’andrias si leverà, il Maligno griderà. La prima pietra nel mondo è questo andrias di gloria, l’uomo completo che è stato assunto nella gloria. Egli ha portato il mondo intiero ed è colui che portò ogni peso», così si legge nei Kephalaia di Mani. Il motivo della statua ritorna anche in uno dei più antichi testi alchimistici, attribuito a Comario, dove si dice che, quando la prima materia sarà bruciata, alla fine l’andrias, la statua, apparirà nella gloria del fuoco in tutto il suo fulgore”. [ii]
I Kephalaia di Mani sono una raccolta di testi manichei, noti come “capitoli” o “titoli” (dal greco Kephalaia), rappresentati principalmente da due grandi codici in papiro contenenti traduzioni in copto risalenti all’Egitto romano del V secolo. Questi testi non sono considerati opere autografe del profeta Mani, fondatore del Manicheismo, ma piuttosto elaborazioni e interpretazioni successive basate su una presunta tradizione orale autorevole attribuita a lui.
I Kephalaia trattano una vasta gamma di argomenti, tra cui tassonomie complesse, come quelle relative alle “cinque forme dei governanti delle tenebre” o ai “tre giorni e le due morti”.
I Kephalaia sono stati probabilmente composti in aramaico orientale nella Mesopotamia sasanide, durante o subito dopo il martirio di Mani (circa 277 d.C.), sotto il regno di Bahrām II o dei suoi immediati successori. I codici ritrovati, datati tra il 380 e il 430 d.C., provengono da Medinet Madi, in Egitto, e sono conservati a Berlino (Kephalaia dell’Insegnante, 1Ke) e a Dublino presso la Chester Beatty Library (Kephalaia della Sapienza del Mio Signore Mani, 2Ke). La loro scoperta ha rivoluzionato gli studi sul Manicheismo e sulla storia dell’Impero sasanide, fornendo una fonte unica sulla religione, la letteratura e la società del periodo.
A differenza di altri testi manichei, nei Kephalaia Gesù è frequentemente chiamato “Gesù lo Splendore”, un’entità divina che discende sulla terra assumendo forma materiale per restaurare l’ordine dopo la ribellione degli Arconti.
I Kephalaia offrono una visione dettagliata delle credenze manichee, che combinano elementi di cristianesimo, zoroastrismo, buddismo e gnosticismo.
Comario (o Comarius) è una figura enigmatica dell’alchimia antica, spesso associata alla tradizione alchemica greco-egiziana. È noto principalmente per il “Libro di Comario”, un trattato alchemico dedicato a “Cleopatra la Divina” o “la Docta”, che non va confusa con la celebre regina Cleopatra VII. Il testo, scritto in greco e probabilmente databile tra il I e il IV secolo d.C., è considerato un’importante testimonianza dell’alchimia ellenistica, sviluppatasi nell’ambiente di Alessandria d’Egitto.
Il “Libro di Comario” si occupa di temi alchemici come la trasmutazione dei metalli, la ricerca della pietra filosofale e il simbolismo mistico.
Comario è strettamente legato a Cleopatra l’Alchimista, una figura della stessa epoca (III-IV secolo d.C.), probabilmente uno pseudonimo. Questa Cleopatra è nota per la Crisopea di Cleopatra, un papiro alchemico contenente simboli, disegni e didascalie, e per il suo contributo alla distillazione, con alcuni studiosi che le attribuiscono l’invenzione dell’alambicco. La scuola alchemica di Alessandria, a cui Comario e Cleopatra sono associati, includeva anche Maria la Giudea, un’altra figura chiave, e si concentrava su tecniche di distillazione e sublimazione.
Comario opera in un periodo in cui l’alchimia, nata nell’Egitto ellenistico, combinava elementi della filosofia greca, del misticismo egiziano e delle pratiche metallurgiche. L’obiettivo principale era la chrysopoeia (trasmutazione dei metalli vili in oro), ma l’alchimia aveva anche una dimensione spirituale, simboleggiando la purificazione e la perfezione dell’anima.
Come si può ben vedere, M.L. von Franz pesca a piene mani nello gnosticismo e ci indica una possibile chiave di lettura, in quanto lo gnosticismo ha ispirato e ispira le più varie correnti esoteriche o sedicenti tali, non ultime quella che assumono aspetti diabolici.
Il transumanesimo, un movimento che promuove il superamento dei limiti biologici umani attraverso la tecnologia, ha radici che si intrecciano con correnti esoteriche, anche se non sempre in modo esplicito.
Abbattere le statue, nella mente alienata di chi tira le fila, significa, come ben ci ha condotto a considerare M.L. von Franz, separare l’essere umano dalla sua anima, in base a logiche transumaniste che hanno desunto le loro follie dalle teorie gnostiche interpretate in chiave tecnologica.
Il transumanesimo condivide con lo gnosticismo l’idea di trascendere il corpo materiale, visto come limitato o imperfetto, per raggiungere una forma superiore di esistenza. Gli gnostici però cercavano la liberazione dell’anima attraverso la conoscenza (gnosis), mentre i transumanisti puntano a una “liberazione” dall’anima per la immortalità del corpo attraverso la tecnologia, come l’intelligenza artificiale o l’immortalità digitale.
Concetti come l'”uomo perfetto” o l’evoluzione cosmica risuonano con l’aspirazione transumanista di superare i limiti biologici.
Il transumanesimo riprende temi esoterici come l’ascensione, la trascendenza e la creazione di un “uomo nuovo”. La fusione uomo-macchina o il caricamento della coscienza in un supporto digitale richiamano miti esoterici di immortalità e apoteosi.
Il transumanesimo si discosta dall’esoterismo per il suo approccio materialista e scientifico. L’esoterismo tradizionale si basa su una dimensione spirituale o metafisica, mentre il transumanesimo cerca soluzioni concrete attraverso la tecnologia.
La retorica transumanista assume toni quasi religiosi, come l’idea di “salvezza” attraverso l’immortalità digitale o la creazione di intelligenze superiori.
Il transumanesimo si distingue per il suo rifiuto di una dimensione puramente spirituale, preferendo un approccio tecnologico che, paradossalmente, conserva un’aura mitica e visionaria.
Abbattere le statue, quindi, non è solo, come pensano gli idioti che eseguono, distruggere i segni del colonialismo, del razzismo e di qualsiasi ismo introdotto dalle élite consapevoli, ma nel sottile mondo dei simboli e degli archetipi, abbattere l’anima, per dare pieno spazio al corpo tecnologicamente eternabile.
Il manicomio delle élite transumaniste è all’opera.
[i] M.L.von Franz, L’individuazione nella fiaba, Bollati Boringhieri
[ii] M.L.von Franz, L’individuazione nella fiaba, Bollati Boringhieri






