IL SEGRETO DELLA CANDELA (2)

Mar 26, 2025 | CABALA, SCIENZE ESOTERICHE

di Shabbat Menkaura

Candela22222

DAL SEFER ZOHAR, PARSHA BERESHIT

 

BERESHIT B: Versetto 247

Quando si alzarono per andarsene, Rabbi Shimon[1] disse: Qualcosa indugia ancora tra noi”, intendendo dire che aveva un’altra cosa da dire loro. Rabbi Shimon disse allora: Ci sono due passi. Uno dice: “Perché HASHEM, il vostro ELOHIM, è un fuoco che consuma” (Devarim 4:24), a significare che è impossibile attaccarsi a Lui, come è impossibile attaccarsi al fuoco. L’altro dice: “Ma voi che vi siete attaccati a HASHEM, il vostro ELOHIM, oggi siete tutti vivi, ciascuno di voi” (Devarim 4:4), a significare che è possibile attaccarsi completamente a Lui. Questi passaggi, apparentemente contraddittori, sono stati spiegati ripetutamente dagli amici che li hanno affrontati. Ma veniamo al versetto: “Perché Hashem, il tuo Elohim, è un fuoco che consuma”. Gli amici hanno discusso sul fatto che esiste un fuoco che consuma e distrugge anche il fuoco. Quindi, c’è un fuoco che è più forte del fuoco normale, e questo è stato spiegato.

Rabbi Shimon inizia a spiegare il paradosso delle due fiamme contenuto in Devarim che ha quale concetto fondamentale l’attaccamento a D-o.

L’Attaccamento (devekut) rappresenta uno stato della mente nel quale tutte le forze del pensiero e del sentimento di un individuo sono esclusivamente dirette verso D-o. Nello stato di Devekut, l’individuo diviene attaccato a D-o. Egli è temporaneamente inconsapevole di sé stesso come un essere separato, e la sua consapevolezza è colmata dalla coscienza dell’esistenza di D-o.

È possibile conseguire lo stato di Devekut in molti modi. Il Baal Shem Tov, fondatore della Chassidut, consigliava di concentrarsi sulla preghiera e vincolare i propri pensieri alle singole lettere e parole delle preghiere stesse.

Questa concentrazione prende il nome di Kavvanah (plur. Kavvanot) e rappresenta i pensieri ed i sentimenti che accompagnano le parole e le azioni di un individuo. Secondo la Halakhah[2], ogni Mitzvah (obbligo religioso) per essere correttamente adempiuta richiede certe minime Kavvanot: la consapevolezza che l’atto costituisca una Mitzvah e l’intenzione di adempiere alla Mitzvah stessa.

La Mitzvah della preghiera o la recitazione dello Shema Israel richiede una consapevolezza cosciente del significato di alcune parole e durante la preghiera del Shemoneh Esreh (o Amidah), si deve essere consapevoli di essere di fronte a D-o.

Chassidim di ogni generazione hanno sottolineato l’importanza di servire D-o con qualcosa di più di queste minime Kavvanot. Secondo lo Zohar, una Mitzvah eseguita senza l’Amore ed il Timore di D-o, “non ascende ai mondi superiori”.

Il Tanya, la Torah dei Chassidici, spiega una che una Mitzvah eseguita con le giuste Kavvanot provoca una rivelazione della volontà di D-o maggiore di quella che sarebbe avvenuta senza queste intenzioni. L’aumento è comparabile alla differenza tra una Luce potentissima e la vitalità dell’anima da una parte ed una Luce limitata e la vitalità del corpo dall’altra.

Più in generale, la kavvanah dovrebbe essere presente in ogni nostro atteggiamento nel mondo materiale. Ogni volta che la nostra anima si esprime attraverso i suoi tre vestimenti, pensiero parola ed azione, dovremmo sempre pensare di essere di fronte ad Hashem.

BERESHIT B: Versetto 248

Ecco: chi vuole imparare la saggezza della Santa Unificazione deve esaminare le fiamme che nascono da un tizzone o da una candela accesa, perché le fiamme si alzano solo se provengono da un oggetto grossolano.

Lo Zohar rivolge la nostra attenzione a una candela accesa come oggetto di meditazione sulla “Santa Unificazione”. La prima qualità di questa unificazione (Yichud) è notare che la fiamma richiede un oggetto fisico grossolano a cui aggrapparsi. La fiamma stessa è una fonte di luce, contiene una natura spirituale, ma ha bisogno di qualcosa di più tangibile a cui attaccarsi.

Nella Santa Unificazione l’attenzione si concentra sulla coppia divina, sugli aspetti maschili e femminili delle sephirot[3], in particolare di Tiphereth, che è la sephira centrale, letteralmente bellezza, ma che rappresenta anche l’armonia tra la colonna destra e quella sinistra, Chesed l’amore divino a destra e Gevurah, il potere divino a sinistra. Tiphereth è associata con il Tetragramma (YUD HE VAV HE[4]) e con il nome Kadosh Baruch Hu il Santo che sia Benedetto; quindi, questa sephirah rappresenta allegoricamente il lato maschile di D-o, identificato nel sistema dei Partzufim[5] con Zeir Anpin[6].

In altre parole, Tiphereth, oltre a rappresentare una sephira autonomamente considerata, può essere intesa anche come il centro focale e riassuntivo delle altre facenti parte delle middot, contrapposte a Malkhut.

L’obiettivo della Santa Unificazione è quello di unire la parte maschile, Zeir Anpin (viso piccolo), e quella femminile della Divinità, la Nukva (la sposa) che rappresenta la Shekhinah; in termini di sephirot l’unione tra Tiphereth e Malchut è vista come l’obiettivo della Torah e delle mitzvot anche se potrebbe apparire curioso in un contesto ebraico parlare di una metà maschile e femminile di D-o e dell’unione stessa di D-o.

Non è tutto ciò in contrasto con lo stretto monoteismo ebraico?

Ovviamente si tratta di una rappresentazione allegorica e credo che sia strettamente connessa al nostro ruolo nella Creazione, perché secondo la Kabbalah per unire la coppia divina è necessario che vi sia un’azione positiva da parte dell’umanità in generale e del Popolo ebraico in particolare.

Se agiamo virtuosamente, se agiamo rettamente, se eseguiamo le mitzvot, se realizziamo il tikkun olam, se ripariamo il mondo, allora stimoliamo un processo di elevazione della materia che porta quest’ultima a liberare la Luce Divina rimasta intrappolata nel mondo.

Se ripariamo il mondo, allora stimoliamo l’amore tra Tiphereth e Malkhut e unifichiamo la coppia divina.

Secondo la Kabbalah lurianica, D-o ha consentito l’esistenza di qualcosa di separato da Lui e lo scopo di tale Creazione è quello di reintegrarci nuovamente in Lui.

Ovviamente non c’è alcun dualismo nella coppia divina. D-o è unico, ma Kadosh Baruch Hu desidera che noi siamo coinvolti nel processo divino, nella manifestazione divina e questo è il motivo per cui una parte di D-o, la Shekhinah è rimasta in esilio in Malkhut, nel nostro mondo e il nostro compito è quello di unirla nuovamente con Tiphereth. In tale modo le middot possono elevarsi al livello superiore da cui Binah (la madre nel sistema dei Partzufim) le aveva partorite.

Il processo di reintegrazione, dunque, di ritorno all’Uno ci coinvolge sia personalmente, che a livello generale come umanità.

BERESHIT B: Versetto 249

Venite e vedete: Nella fiamma nascente ci sono due luci. Una è una LUCE BIANCA e luminosa; l’altra è una LUCE BLU o NERA a cui è legata la luce bianca. La luce bianca e luminosa è più alta e diretta. Sotto di essa c’è la luce blu o nera, che funge da piedistallo per la luce bianca.

Il primo stadio della meditazione è rappresentato dall’osservazione empirica delle due fiamme: la luce bianca che sta sopra e quella blu/nera che la sorregge da sotto.

BERESHIT B: Versetto 250

Questa luce bianca splendente si diffonde sul BLU e le due luci si uniscono per diventare una sola. E questa luce nera, o la sfumatura blu sotto di essa, serve come TRONO DI GLORIA per la luce bianca. Il suo aspetto è quindi il segreto del BLU. È l’aspetto del TRONO DI GLORIA, che assomiglia al BLU, come è generalmente noto.

La fase successiva dell’unità consiste nel notare i colori che formano la fiamma. All’interno della fiamma c’è una luce “bianca” e una luce “blu” o “nera”. La parte più scura della fiamma si trova sotto la parte più chiara della fiamma e, insieme, questi colori formano una fiamma unica e unificata. Lo Zohar richiama ancora una volta la nostra attenzione sullo stoppino che si trova fisicamente sotto la fiamma più scura, che a sua volta funge da “trono” o sede della fiamma bianca che la sovrasta. Qui lo Zohar raffigura tutti e tre gli elementi – lo stoppino, il blu/nero e il bianco – come se esistessero insieme in una sequenza ascendente e continua che diventa più maestosa ed eterea man mano che sale.

Il Talmud (Menachot 43b) insegna che il tekhelet (blu turchese) è simile al mare, e il mare è simile al firmamento e il firmamento è simile al Trono della Gloria. Il blu evoca il colore dei cieli, che ci ricorda quanto siamo piccoli rispetto all’universo, ed evoca in noi lo stupore di Hashem.

Secondo la Pritzker Edition tale colore rappresenterebbe la Shekhinah mentre il bianco sarebbe associato a Tiphereth, i due elementi della coppia divina.

Confrontiamo Tiphereth (nella sua qualità di Zeir Anpin) con la Shekhinah e non con Malkhut in quanto quest’ultima sephira, secondo questa interpretazione, non avrebbe un colore proprio, ma rifletterebbe quello della altre sephirot a seconda delle condizioni. Altri studiosi associano Malkhut al colore/non colore nero.

Secondo altre interpretazioni tipiche del filone della cosiddetta Kabbalah psicologica, i colori di base sarebbero in questo caso addirittura ribaltati. Secondo la Torah, il Tabernacolo (Mishkan) era ricoperto da un magnifico arazzo di lana e lino colorati. Come descrive la Torah: “Allora tutta la gente saggia degli esecutori dei lavori fece il Mishkan con dieci tende [composte] di lino fine ritorto, di lana bluviola e cremisi. Le fece con un disegno di cherubini, opera di un maestro tessitore. (Esodo 36:8)

In tale ricostruzione alternativa, i colori della lana tinta sarebbero significativi. La Kabbalah insegna che ogni anima possiede sette Sephirot emozionali (middot), o attributi, che si fondono per produrre l’intero spettro delle emozioni umane. Tre di questi sette attributi rappresenterebbero le emozioni primarie con tre colori: cremisi – amore, blu – soggezione e rispetto, viola – compassione. Il rosso è il colore della passione. Il rosso cremisi rappresenterebbe il desiderio appassionato dell’anima di unirsi a Hashem. Come la fiamma che sale verso l’alto, la nostra anima vivrebbe in uno stato costante di desiderio appassionato di riconnettersi alla sua fonte e di riunirsi con Hashem.

Il blu turchese rappresenterebbe lo stupore e il rispetto. Mentre l’amore è l’attrazione a connettersi, a diventare una cosa sola, la soggezione fa sì che ci si allontani. L’attributo dell’amore desidera connettersi e unirsi. Al contrario, il sentimento di soggezione crea distanza e rispetto, ma anche comprensione e saggezza come dicono le Scritture (Salmo 111,10).

Reshit chokhmah yirat Adonai, sekhel tov lechol oseihem, tehillato omedet la’ad.”

“Il timore del Signore è il principio della saggezza; una buona intelligenza hanno tutti coloro che osservano i suoi comandamenti; la sua lode dura in eterno”.

Il “timore del Signore” (Yirat Adonai) non denota un terrore di D-o, bensì un timore reverenziale nei confronti della Gloria della Sua Presenza che quotidianamente si lascia coinvolgere nella nostra vita. La Yirah è in realtà una forma di devozione, una consapevolezza della sacralità e del mistero di ricevere la vita stessa dal D-o vivente (El Chai), ed essenzialmente attinge alla gratitudine verso D-o per questo grande dono.

Il viola, una miscela di rosso e blu, rappresenterebbe la compassione, che è la fusione tra amore e timore. La compassione è il sentimento di amore che viene risvegliato dalla paura di una circostanza dolorosa. Quando proviamo compassione, sentiamo l’amore per qualcuno e il timore per la sua sofferenza. Tutti e tre i colori-emozioni sono necessari per costruire una relazione con Hashem. Il cremisi, l’amore che ci spinge ad avvicinarci a D-o, è bilanciato dal turchese, il ritiro nel timore di non compiere la volontà di D-o su questa terra. E nei momenti in cui non ci sentiamo emotivamente connessi, quando ci sentiamo insensibili e freddi, guardiamo al viola, l’emozione della compassione. Provando empatia e compassione per la nostra anima, una scintilla di Hashem intrappolata nella realtà materiale, lo stupore e l’amore si risvegliano di nuovo.

In questa visione alternativa, di carattere più psicologico che tradizionale, i tre colori si identificherebbero con le tre middot principali, Chesed (rosso cremisi), Gevurah (blu) e Tiphereth (viola) che porta, appunto, anche il nome di Rachamim (compassione).

BERESHIT B: Versetto 251

Questo trono di luce nera o bluastra si collega a qualcosa sotto di esso, in modo da avere qualcosa su cui bruciare. Questa cosa lo costringe ad aggrapparsi alla luce bianca.

La peculiarità del Trono di Luce è di connettersi sia in basso che in alto, di fungere da raccordo tra la materia grossolana e la Luce Bianca.

BERESHIT B: Versetto 252

La LUCE nera e blu a volte diventa di nuovo ROSSA. Ma la LUCE BIANCA che la sovrasta non cambia mai, è sempre bianca. Ma il BLU cambia. A volte è blu o nero, a volte è rosso.

Tra i vari strati di colore della fiamma, ci sono quelli che cambiano tonalità e quelli che rimangono invariati. Il blu può diventare nero o rosso, rappresentando il flusso e riflusso dinamico della vita che si svolge in prossimità del regno fisico dell’esperienza. Questi colori mutevoli sono attaccati da entrambi i lati: sono uniti dall’alto alla luce bianca superna e dal basso all’oggetto fisico che funge da accensione. In questo modo, la sequenza comprende il regno materiale, fisico (stoppino) in basso; il regno mutevole e fluido in mezzo (blu/nero/rosso); e la luce immutabile e trascendente (bianco) che aleggia costantemente in alto. Tutti questi strati di realtà sono unificati nella fiamma della candela, poiché rimangono radicati a qualcosa nel dominio fisico.

Tornando per un attimo al Trono e ai colori, il blu-azzurro quando è riferito al Trono si riferisce alla presenza divina ed in particolare alla Shechinah.

La luce blu o nera può talvolta trasformarsi in rossa, ma essenzialmente tornerà sempre a questo stato blu-azzurro, ma tale dinamica sfugge agli scopi di questa particolare discussione, particolarmente in relazione ai limiti che mi sono imposto come meglio detto innanzi.

Sia sufficiente dire che la prevalenza di Chesed, o di Gevurah, ovvero il loro equilibrio in una data situazione dinamica è ciò che determina la colorazione blu-rosso-nera della fiamma.

A livelli avanzati la colorazione della fiamma può costituire un’utile indicazione proprio di eventuali squilibri legati al soggetto ovvero all’oggetto della meditazione.

BERESHIT B: Versetto 253

Questa LUCE BLU si collega in due direzioni. Si collega alla luce BIANCA che la sovrasta e all’oggetto grossolano che si trova sotto di essa, ovvero lo STOPPINO. Lo stoppino è indicato come il luogo a cui la luce può collegarsi e da cui si irradia. Lo STOPPINO è il punto in cui la luce BLU si collega alla luce BIANCA brillante.

La luce blu o nera del fuoco è congiunta o connessa alla forma materiale su cui poggia, per il Kabbalista questa luce blu rappresenta anche le forze femminili, la presenza divina e soprattutto la Nukva (sposa), la partzuf che rappresenta la controparte femminile di Zeir Anpin (Z”A),

Dal punto di vista del Santo Nome di quattro lettere o Tetragrammaton (come abbiamo visto associato a Tiphereth) possiamo notare la connessione di Malchut con la seconda HE di YUD HE VAV HE, il che è corretto anche se necessita della precisazione che qui si parla della rivelazione minore di Malchut, lo stoppino di cui si discuteva innanzi, al quale si attacca la realtà materiale. Lo stoppino nella relazione luce blu-nera nello Zohar è chiamato “il trono” come già detto, anche se per alcuni sarebbe appropriato chiamarlo anche “il ponte” vista la sua funzione di connessione tra la materia e gli strati superiori.[7]

La luce blu è sovrastata, fusa e connessa con la luce bianca che la maggior parte delle persone normalmente considera la vera fiamma della candela, ma simbolicamente questa parte della fiamma rappresenta Zeir Anpin e la VAV di YUD HE VAV HE.

Questo perché il Tetragramma consta di due associazioni nell’Albero della Vita: la prima come uno dei Nomi di D-o associati a Tiphereth quando quest’ultima assume la caratteristica di centro focale dell’Albero, la seconda come nome omnicomprensivo della suddivisione del Nome di Quattro lettere per tutto l’Albero secondo lo schema: Chokmah/Abba – YUD, Binah/Imma – HE, Z”A – VAV, Malkhut/Nukva – HE.

Una caratteristica di Zeir Anpin è che questa partzuf rappresenta l’estensione normalmente prevedibile della percezione umana della divinità.

Mi spiego meglio. Anche quando concettualizziamo o visualizziamo concetti assai elevati, è sempre attraverso la lente umana che operiamo, quella appunto delle middot, cioè di Zeir Anpin.

Anche se ci accade di ricevere una rivelazione superiore, attraverso le sephirot superiori, attraverso Daat tale conoscenza viene trasmessa alle Middot e, finalmente, perviene in Malkhut ove prende la sua realtà materiale.

Ecco perché si tratta fondamentalmente di una forma ridotta di rivelazione della reale struttura della Creazione

La nostra concettualizzazione di Keter, per fare un esempio, non sostituisce la natura metafisica di tale sephira, né è realmente in grado di comprenderla, da qui il motivo per cui uso l’espressione “forma ridotta di rivelazione.”

Esiste naturalmente una quarta luce che rimane nascosta, una radiosità invisibile che potremmo definire un alone luminoso che brilla debolmente e avvolge le altre luci e le esalta.

È la Luce forse piu’ importante.

Come sapete nella Kabbalah esistono due concetti di Luce Divina.

La Ohr Makif (Luce avvolgente) e la Ohr Penimi (Luce interiore), termini che sono quasi sinonimi rispettivamente di Ohr Sovev (una Luce che circonda) e di Ohr Memale (una Luce che riempie), ma sono leggermente differenti nell’utilizzo: Sovev e Memale sono generalmente usati per descrivere la relazione di D-o con i mondi e con le Sephirot, mentre Makif e Penimi sono normalmente menzionati in relazione ad un particolare ricettacolo. Ad esempio, attraverso l’esecuzione delle Mitzvot (ed anche attraverso lo studio della Torah), l’anima riceve Ohr Makif che viene descritta come una “veste” per l’anima, mentre attraverso lo studio della Torah (ed anche attraverso l’esecuzione delle Mitzvot) l’anima riceve Ohr Penimi, che viene descritta come “cibo” per l’anima.

La Luce Sovev Kol Olmin (Che abbraccia tutti i Mondi) può essere considerata come la Luce divina trascendente generata dall’Ohr Ein Sof (Luce Infinita primordiale) già prima del Tzimtzum. Essa Discende attraverso il Seder hishtalshelut (Catena dei Mondi) e rappresenta la trascendenza divina ad ogni livello, nel senso che non è dato alle creature, neppure a quelle del mondo di Yetzirah di interferire con questa Luce. In ipotesi non è escluso che eventi sovrannaturali, come i miracoli possano evidenziare la presenza della Ohr Sovev malgrado le limitazioni imposte al particolare contesto, ma ciò avviene per espressa volontà dall’alto e non per una particolare attività che parta dal basso.

La Luce Memale Kol Olmin (Riempie tutti i Mondi) è la Luce divina che si fa immanente, e la sua fonte e il Kav (il primo Raggio di Luce), quindi essa scaturisce necessariamente dopo lo Tzimtzum.

Questa luce che pur discende anch’essa dall’alto, rimane immanente ad ogni livello della Catena dei Mondi, perché è tramite tale Luce che viene creato ogni ricettacolo fisico o spirituale nei vari Mondi.

Data la sua natura immanente, la Ohr Memale è sottoposta al progressivo nascondimento e riduzione man mano che scende sino al nostro livello, cosa che ci consente di interagire con essa.

Ecco perché il rifiuto della materia e quindi del mondo, tipico dell’atteggiamento ascetico non fa parte del percorso kabbalistico lurianico. La Chassidut in particolare ha quindi respinto l’ascetismo ebraico che prevedeva lo studio esclusivo ed indefesso della Torah rifiutando ogni distrazione proveniente dal mondo e ha attivamente cercato di utilizzare e trasformare misticamente il fisico in spirituale, attraverso lo stato di devekut nel congiungimento a D-o. Allo stesso modo il pensiero chassidico descrive un altro più alto tipo di miracolo che è investito immanentemente nelle leggi fisiche di questo Mondo, senza infrangerle. Solo una fonte più alta radicata nell’Essenza divina (Atzmut), al di là della dualità “infinito-finito”, può unire l’infinita luce avvolgente di Sovev all’interno della limitata luce racchiusa di Memale.

Come abbiamo detto, questi termini sono strettamente connessi alle nozioni parallele di Ohr Makif (Esteriore) e Ohr Pnimi (Interiore), centrali nella filosofia chassidica. Secondo le parole dell’Alter Rebbe:

«Ohr Pnimi è ciò che entra e dimora nel vaso[8], in un aspetto del yosher[9] e discende da sopra a sotto, ChaBa”D, ChaGa”S, NaHi”Y. E l’aspetto di Ohr Makif è ciò che non è proprio in grado di entrare nel vaso a causa della grandezza della sua luce, e rimane al di sopra del vaso, in un aspetto di makif. È inoltre l’aspetto di igul[10], in quanto circonda la testa ed i piedi insieme (e questo è l’aspetto del makif diretto che non entra mai nel vaso).»

 

[1] Rabbi Shimon bar Yochai, cui viene tradizionalmente attribuita la paternità del Sefer Zohar, visse in Israele tra il primo e secondo secolo della nostra era nell’era dei Tannaim, gli studiosi della Mishna. Shimon bar Yochai studiò a Yavne in una yeshiva fondata dal celebre Rabbi Akiva Ben Joseph, di cui divenne il più eminente discepolo. Operatore di miracoli e fortemente critico della presenza romana, Rabbi Shimon si nascose con il figlio Rabbi Eleazar ben Shimon, anche lui tzaddik come il padre, in una grotta a Peki’in in Alta Galilea non lontano da Meiron.

[2] Con il termine Halakhah si intende l’insieme delle leggi e delle ordinanze che si sono evolute fin dai tempi biblici per regolare le osservanze religiose e la vita e la condotta quotidiana del popolo ebraico. Essa è formata dalla Legge Scritta (Torah Shebichtav), composta dai ventiquattro libri del Tanach, e dalle tradizioni orali derivanti dalla rivelazione sul Monte Sinai o evolutesi sulla base di essa (Torah Sheba’al Peh, Legge Orale) peraltro anch’esse messe per iscritto a partire dalla Mishnah, l’opera di Rabbi Yehudah HaNasi anteriore alla sua morte nel 217 c.e.

La natura legalistica della Halakhah la distingue anche da quelle parti della letteratura rabbinica, o talmudica, che includono storia, favole e insegnamenti etici (Haggadah).

[3] Le Sephirot (emanazioni), secondo la Kabbalah, rappresentano i dieci attributi attraverso i quali Ein Sof o, meglio, l’Ein Sof Ohr dal nostro punto di vista, si rivela e crea continuamente sia il regno fisico che il seder hishtalshelut (la discesa concatenata dei Quattro Mondi metafisici). In quanto rivelazioni della volontà del Creatore le sephirot non vanno intese come dieci divinità o dieci esseri autonomi, ma piuttosto come dieci diversi canali attraverso i quali l’unico Dio rivela la sua volontà (ratzon). Nella letteratura ebraica più moderna, le dieci sephirot si riferiscono sia alle dieci manifestazioni di D-o, sia ai dieci poteri o facoltà dell’anima che alle dieci forze strutturali della natura. Configurazioni alternative delle sephirot sono interpretate da varie scuole nell’evoluzione storica della Kabbalah, ognuna delle quali articola aspetti spirituali diversi. La tradizione di enumerarne dieci è affermata nel Sefer Yetzirah: “Dieci sephirot del nulla, dieci e non nove, dieci e non undici”. Poiché storicamente nei vari schemi sono elencate complessivamente undici sefirot, due (Keter e Da’at) sono viste come manifestazioni inconsce e consce dello stesso principio, conservando le dieci categorie. Le sephirot sono descritte come canali della forza vitale creativa divina o della coscienza attraverso cui l’inconoscibile essenza divina si rivela all’umanità.

Nella filosofia chassidica, che ha cercato di interiorizzare l’esperienza del misticismo ebraico nell’ispirazione quotidiana (devekut), viene esplorata con particolare attenzione l’aspetto interiore delle sephirot e il ruolo che esse svolgono nel servizio dell’uomo a D-o in questo mondo.

[4] Lo Zohar si occupa estensivamente del Tetragramma in Acharei Mot Versetto 170 e seguenti “170. Gli disse: Elazar, figlio mio, stai attento a non scrivere il Santo Nome in modo improprio d’ora in poi. Perché di colui che non sa scrivere correttamente il Santo Nome e legare il vincolo di Fede, il vincolo dell’uno e dell’altro, di ZEIR ANPIN E MALCHUT, secondo il segreto del versetto: “HASHEM SARÀ UNO, E IL SUO NOME UNO” (Zaccaria 14:9), in modo da unificare il Santo Nome, è scritto: “Poiché ha disprezzato la parola di Hashem e ha infranto il Suo comandamento, quell’anima sarà completamente tagliata via” (Bamidbar 15:31). Questo anche se provoca la degradazione di un livello o di un’unità da una sola lettera tra di esse. 171. Venite a vedere che la YUD י all’inizio del NOME, YUD HEI VAV HE, lo comprende tutto. È nascosto da tutti i lati e nessuna strada si apre AL SUO INTERNO. Comprende l’uomo e la donna, ovvero l’ABBA e l’IMMA SUPERIORI, poiché lo YUD è il segreto dell’ABBA e due lettere dello YUD completamente scritte, ovvero VAV e DALET, sono IMMA. SONO NASCOSTE E NON APERTE. La punta in cima allo YUD non accenna a nulla, significa che KETER è stato chiamato così, perché non c’è possibilità di comprenderlo. In seguito, lo Yud, IL SEGRETO DELL’EDEN, emise da sé quel fiume che sgorga continuamente, NOMINALMENTE BINAH. Da essa HE concepirà un figlio e una figlia, che sono VAV e DALET. LA SUA FORMA ALLUDE A ZEIR ANPIN E MALCHUT COME EMBRIONI AL SUO INTERNO, NELLA FORMA DI DALET E VAV. Di questa HE è scritto: “E un fiume uscì dall’Eden” (BERESHIT 2:10). È scritto “esce”, cioè, scorre continuamente, non “uscì” al passato. Per questo motivo, l’HE non deve separarsi dalla YUD. Di conseguenza, è scritto “il mio amore” (Shir HaShirim 4:1) in relazione a HE, che è con YUD come due amici che non si separano mai l’uno dall’altro …”

[5]  Il sistema dei Partzufim, “Personaggi divini”, consiste nel particolare arrangiamento in gruppi diversi delle dieci sephirot. Ogni partzuf rappresenta quindi una riconfigurazione di una più sephirot in nuove entità armoniche che rappresentano significati ulteriori rispetto al normale albero sephirotico. I nomi dei Partzufim derivano proprio dallo Zohar. La completa definizione del sistema dei Partzufim è strettamente legata al gruppo di Tzfat: Moses ben Jacob Cordovero sistematizzò le diverse interpretazioni medievali dello Zohar. Più tardi, Isaac Luria riformulò la Kabbalah nella definitiva nuova veste. I Partzufim lurianici descrivono le relazioni dinamiche tra le persone, che interagiscono tra loro. I Partzufim superiori si rivestono di quelli inferiori, come un’anima si riveste di un corpo. Secondo il sistema lurianico, lo schema lineare delle sephirot precipita nella “frantumazione” di Tohu, il mondo del Caos. La riformazione delle sephirot come Partzufim nel Mondo di Atzilut, o Rettificazione, dà inizio alla riparazione cosmica. Come risultato del collasso del Mondo del Caos, frammenti di Luce Divina sono andate perduti o, meglio, esiliati, nei tre Mondi inferiori. L’uomo, la cui anima riflette l’ordine armonizzato dei Partzufim, rettifica il mondo mondano riscattando queste Scintille di Santità mediante lo studio della Torah, il compimento delle mitzvot e in generale attenendosi il più possibile allo scopo della creazione.

[6] Ze`ir Anpin (“Volto minore/Volto piccolo”), è un partzuf del sistema lurianico di Tikkun (rettifica) che raggruppa le sephirot di: Chesed, Gevurah , Tiphereth , Netzach , Hod e Yesod, le cosiddette Middot, cioè gli aspetti emotivi dell’essere umano. A livello superiore e macroscopico Zeir Anpin trova il proprio omologo nel partzuf di Arich Anpin (Macroprosopus) nell’albero della vita sephirotico. Arich Anpin (Volto lungo/Volto esteso, che implica anche “L’Infinitamente Paziente”) è l’aspetto dell’emanazione divina identificato con l’attributo sephirotico di Keter, la Volontà Divina. Lo schema lurianico ricrea la lineare gerarchia delle emanazioni della forza vitale nella Creazione in processi dinamici di interinclusione, analoghi all’inserimento di un’anima in un corpo inferiore. In questo modo, si dice che il Partzuf Arich Anpin discenda immanentemente attraverso tutti i livelli della Creazione come il loro substrato nascosto di intenzione divina, anche se in modalità progressivamente più nascosta. La sua dimensione interna è identificata come il Partzuf Atik Yomin (Antico dei Giorni), correlato ma trascendente, sinonimo di delizia divina interiore, la “Volontà delle Volontà/volontà primaria”, la forza causale più incontaminata della Creazione.

[7] Anche Daat viene così denominata per la sua funzione di connessione tra Sekhel e Middot.

[8] Il vaso, vessel in lingua inglese, è il contenitore che tutti noi abbiamo all’interno e che è diverso per ciascuno di noi. Il vessel è anche la misura di quanto un soggetto possa comprendere ed elaborare ciò che gli accade. Quando il vessel si riempie, la persona non è più in grado di comprendere e discernere la realtà dalla menzogna. Ecco perché chi cerca di controllare e manipolare gli altri li bombarda con emozioni e nozioni artefatte in modo da riempir loro il contenitore. Così le persone non hanno molte chances di potersi liberare dal controllo loro imposto.

[9] La parola ebraica yosher trasmette l’idea di integrità morale, di rettitudine e di giustizia. Viene spesso usata per descrivere uno stato di rettitudine etica e morale, che riflette una vita vissuta in conformità alle leggi e ai principi di D-o. Nel contesto biblico, yosher è associato all’onestà, all’equità e alla giustizia, sottolineando una vita che si allinea agli standards divini.

[10] Cerchio, più propriamente l’area dello stesso.

 

segue

Silvano Danesi

Silvano Danesi

ISCRIVITI / NEWSLETTER

Iscriviti alla nostranewsletter

Resta aggiornato sugli ultimi articoli 

Ti sei iscritto con successo