IL SEGRETO DELLA CANDELA (4)

Mar 26, 2025 | CABALA, SCIENZE ESOTERICHE

di Shabbat Menkaura

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BERESHIT B: Versetto 259

Quando Rabbi Shimon e i suoi amici tornarono, dopo aver accompagnato Rabbi PINCHAS, Rabbi Shimon disse: Quello che abbiamo detto è il segreto della saggezza della Sacra Unificazione. Di conseguenza, l’ultimo HE del Santo Nome, La NUKVA, è la luce blu e nera che si collega alle lettere YUD-HE-VAV, ovvero a ZEIR ANPIN, la luce bianca brillante.

Affinché nella Creazione si completi il Santo Nome di Quattro lettere la Nukva deve assumere l’aspetto dell’ultima HE del Tetragrammaton.

Come vedremo innanzi ciò non è scontato. La Nukva può assumere anche l’aspetto della lettera DALET e in questo si palesa la nostra incapacità di rettificare la materia e di reintegrarci in alto.

HE rappresenta la quinta lettera dell’alfabeto ebraico ed è scritta anche HEH; mi affido per il commento relativo ai significati della HE alla saggezza di Rabbi Aaron L. Raskin della Chabad:

“Il Maharal[1] ci dice che la HE è composta da una DALET e una YUD. La DALET comprende una linea orizzontale (che significa larghezza) e un’altra verticale (che significa altezza), che insieme rappresentano il mondo fisico, il mondo della materia. Lo YUD (la gamba sinistra staccata) rappresenta D-o, e quindi la spiritualità. Il Maharal ci insegna che, proprio come la DALET e lo YUD si uniscono per formare la HE, così abbiamo l’obbligo di permeare e santificare il mondo fisico con la spiritualità e la divinità.

Nel pensiero chassidico,[2] la HE rappresenta il pensiero, la parola e l’azione. Proprio come la forma della HE è composta da tre linee, così il pensiero, la parola e l’azione costituiscono i tre vestimenti dell’anima attraverso i quali quest’ultima è in grado di esprimersi e fa in modo che noi stessi ci possiamo esprimere[3].

La linea orizzontale superiore (pensiero), proprio per la sua forma, rappresenta il concetto di uguaglianza. Per considerare veramente ogni persona come uguale, bisogna ristrutturare il proprio processo di pensiero. Forse in superficie sembra che alcune persone siano migliori e altre peggiori di altre. Ma la nostra responsabilità è invece quella di concentrarci sull’anima, la scintilla divina presente in ogni persona.[4] Poiché le nostre anime provengono dalla stessa fonte, siamo tutti uguali nella nostra essenza. Quando scendiamo sotto la personalità e l’esteriorità di una persona e andiamo direttamente al suo nucleo, sperimentiamo che siamo tutti uno.

La linea verticale della HE rappresenta la gerarchia, che è il discorso. Un re governa con le sue parole. Ha il potere di sedersi nel suo palazzo e pronunciare un decreto, che diventa legge. La gente non deve vederlo. Non deve stringere loro la mano. Tutto ciò che deve fare è parlare; questo è il suo potere. La linea verticale della HE scende da uno stato superiore, il sovrano, a uno stato inferiore, i suoi sudditi.

Infine, la gamba più corta e staccata sul lato sinistro della HE rappresenta l’azione. Perché questo arto è staccato? È molto facile per noi pensare e parlare di ciò che è giusto, ma è tutt’altra cosa portare a compimento una buona intenzione. Pertanto, lo spazio serve a ricordare lo sforzo necessario per unificare tutti e tre i vestimenti dell’anima. Senza la linea dell’azione, rimangono le due linee della DALET: la povertà.

Il Talmud ci informa che la HE rappresenta anche la teshuvah, il pentimento[5]. Per apprezzare come la forma della lettera HE incarni il concetto di teshuvah, si confronti la HE, ה, con la CHET, ח, l’ottava lettera dell’alfabeto ebraico. Entrambe le forme sono molto simili. Ognuna è composta da tre linee. L’unica differenza evidente è la piccola apertura in cima al ramo sinistro della HE. Cosa c’entra questo con la teshuvah?

D-o dichiara a Caino dopo che ha ucciso suo fratello Abele: “Il peccato (chatat) è alla tua porta”[6]. L’apertura (o porta) nella parte inferiore sia della HE che della CHET rappresenta il peccato. Con la CHET non si può sfuggire alla “porta del peccato” senza trasgredire (cioè, senza uscire dalla parte inferiore della lettera). Ma la HE ha un’altra apertura, un’altra possibile linea d’azione. La piccola apertura nella parte superiore della HE consente la possibilità di teshuvah, o ritorno.

In senso più ampio, dobbiamo capire che la teshuvah non implica solo il rimorso per aver commesso un peccato, ma significa tornare al proprio io essenziale. In quanto tale, la teshuvah è rilevante per ogni individuo, anche per il raro individuo che non ha mai peccato. Lo Zohar ci dice che, quando arriverà il Messia, farà pentire anche i giusti. Tutti si renderanno conto che, indipendentemente dal loro livello, possono sempre migliorare. Possono avvicinarsi sempre di più a D-o. Possiamo farlo perfezionando il nostro pensiero, le nostre parole e le nostre azioni. Man mano che ci perfezioniamo, “D-o ci aiuta; inizia a piovere ‘una pioggia di benedizioni’ e i raccolti iniziano a crescere”., come vedremo nei versetti successivi.

In gematria il valore numerico di HE è cinque. Non solo l’HE rappresenta gli abiti che rivestono l’anima, pensiero, parola e azione, ma questi abiti comprendono un totale di cinque elementi: due livelli di pensiero, immaginativo e meditativo; due livelli di parola, le parole del cuore e le parole delle labbra; e un livello di azione. Perché l’azione ha un solo livello? Perché, quando si tratta di azione, o si fa qualcosa o non si fa. Pertanto, nel disegno della HE, la linea che rappresenta l’azione (il segmento verticale separato della HE) è mezza linea.

Il numero cinque ci rammenta anche i cinque livelli dell’anima: nefeshruachneshamahchayah e yechidah. Il quinto livello, la yechidah, significa unione. Le persone si riferiscono comunemente a questo livello dell’anima come “pintele Yid[7], la scintilla divina che ogni ebreo possiede. Il pintele Yid è la scintilla che non può mai essere contaminata o estinta, la scintilla che unisce ogni ebreo a D-o.

Il pintele Yid è anche la forza propulsiva dietro il mesirat nefesh, il sacrificio di sé. Questo concetto di sacrificio di sé rende possibile per un ebreo dare la propria vita a D-o anche se la persona non ha mai praticato o sentito di essere consapevolmente legata alla legge o alle usanze ebraiche … Questo è il nucleo essenziale della teshuvah. Il motivo per cui abbiamo un risveglio per tornare è dovuto al livello di yechidah dell’anima. Questa scintilla dell’anima accende il resto del nostro essere, alimentando il suo ritorno a D-o.

Il numero cinque rappresenta anche la redenzione. Nel Seder di Pesach c’è una quinta coppa di vino chiamata Coppa di Elia. Il profeta Elia, il precursore della Redenzione, ci dirà di fare teshuvah quando il Messia sta per arrivare. Questa promessa è rappresentata anche dall’espressione nella Torah: “Vi porterò nella terra [di Israele]”. Maimonide ci dice che, quando tutto il popolo ebraico farà teshuvah, saremo immediatamente redenti.

La parola HEH ha tre significati: il primo è “ecco”, come nel versetto “Ecco il seme per voi” (HEH lachem zera). Il secondo è “essere disturbato”, come si legge in Daniele: “E io, Daniele, fui disturbato… (nih’yeisi)”. Il terzo è “ecco” come in “Ecco, questo è il nostro D-o.…”, (hinei Eloheinu …) che si riferisce alla contemplazione di una rivelazione. Queste tre definizioni convergono. Quando nasciamo e veniamo in questo mondo, D-o ci dà dei semi (cioè, il potenziale per essere produttivi e fare del bene nella nostra vita). Molte volte, tuttavia, ci sentiamo turbati e confusi e perdiamo di vista i nostri obiettivi. Alla fine, però, ogni ebreo arriverà a fare teshuvah e a riconoscere il suo Creatore. Egli o ella contemplerà allora la rivelazione di D-o.”

BERESHIT B: Versetto 260

Venite a vedere: a volte la LUCE BLU è la lettera DALET e a volte HE. Quando Yisrael non si collega ad essa dal basso, in modo da accenderla e collegarla alla LUCE BIANCA, è DALET. E quando Yisrael la risveglia, elevando la MAYIN NUKVIN (acqua femminile), per collegarla alla luce bianca, allora si chiama HE.

Il versetto ci presenta il duplice stato possibile per la Luce Blu. Tali due stati sono paragonati a due lettere dell’alfabeto ebraico, Dalet e He. In assenza dello stoppino, cioè di Israele, che mediante il Servizio Divino accende la Luce Blu quest’ultima non si può collegare a quella Bianca e incarna la Dalet intesa nella sua complessità, non solo nel suo significato di “povertà.”

Attraverso il Servizio Divino Israele stimola le Acque Femminili che portano la Luce Blu a connettersi con la Luce Bianca e così la Luce Blu assume l’aspetto superiore rappresentato da HE.

BERESHIT B: Versetto 261

Come lo sappiamo? Dalle parole “Se una ragazza (na’arah) è vergine” (Devarim 22:23), “na’ara” si scrive senza la lettera HE. Qual è il motivo? Perché non è stata legata a un maschio. E laddove maschio e femmina sono separati, la lettera HE non si trova. NA’ARA si scrive senza la lettera HE, e la HE sale, mentre la NUKVA resta come la lettera DALET, che allude alla povertà.

In questi due versetti si esamina la relazione tra la lettera HE, di cui abbiamo discusso prima e la DALET.

Il versetto 260 funge da prologo per la parte finale di questa meditazione sulla candela, mentre il versetto 261 evidenzia le conseguenze della mancata unione tra le Partzufim di Z”A e della Nukva.

La Nukva unita a Zeir Anpin viene elevata a formare l’ultima lettera HE del Santo Nome di quattro lettere, mentre se rimane vergine è associata alla DALET nel suo significato di povertà.

Per comprendere meglio questi due versetti esaminiamo analiticamente la complessa simbologia legata alla lettera DALET, affidandoci anche stavolta alla preziosa interpretazione di Rabbi Aaron L. Raskin:

“La DALET è la quarta lettera dell’alfabeto ebraico. Il Talmud[8] ci dice che la DALET rappresenta la persona povera. Da qui la frase gomel dalim: il benefattore che dà al beneficiario.

Il Talmud[9] ci dice anche che, quando osserviamo la forma della lettera DALET, la sua gamba singola si estende verso destra, in direzione della lettera GIMEL. Questo insegna al povero che deve rendersi disponibile a ricevere la carità del benefattore. Allo stesso modo, la piccola estensione sul lato destro della barra orizzontale della lettera DALET sembra un orecchio, perché il povero deve sempre essere in ascolto della presenza di una persona ricca. Tuttavia, il lato sinistro di questa barra non è rivolto verso GIMEL, il donatore, ma verso sinistra verso la lettera HE, che rappresenta D-o. Questo ci insegna che dobbiamo fare la carità con discrezione e non mettere in imbarazzo il povero. Il povero deve riporre la sua fede in D-o, il Donatore supremo dell’universo.

La Mishnah[10] ci dice che nel Tempio Sacro c’era una stanza chiamata “la Camera del Silenzio”. Si entrava in questa stanza da soli e si chiudeva la porta. Nella stanza c’era una grande scatola. Si aveva una scelta: o mettere soldi nella scatola o prenderne un po’. Naturalmente, la persona ricca avrebbe messo i soldi. La persona povera, anche lei da sola, avrebbe preso i soldi. Tutto veniva fatto con discrezione. Il ricco non poteva vedere a chi stava facendo la carità. Il povero non sapeva da chi li stava prendendo.

Un secondo approccio alla forma o al disegno del DALET è che il DALET rappresenta un montante e un architrave. La linea verticale è il montante; la linea orizzontale è l’architrave. Qual è il collegamento tra la porta e la persona povera? Di solito, una persona povera deve bussare alle porte.

Esiste anche una terza interpretazione fornita dagli insegnamenti della Chassidut. Questa visione sottolinea che la DALET è composta da una RESH e una YUD. Qual è la differenza tra DALET, ד e RESH, ר? Una YUD. Se si appone una YUD all’angolo superiore destro della RESH, la RESH diventa una DALET. La YUD, una lettera molto piccola, rappresenta l’umiltà. È l’umiltà che separa la RESH dalla DALET. Le mezuzot[11] sugli stipiti delle nostre porte contengono il famoso paragrafo della preghiera dello Shema. Nello Shema diciamo: “Ascolta Israele, il Signore è il nostro D-o, il Signore è Uno”. La parola echad, uno, come in “Il Signore è Uno”, è scritta con le lettere ALEF, CHET, DALET, אחד. Cosa succede se la YUD viene rimossa dalla DALET e diventa una RESH? La parola non è più echad, ma acher, אחר, altro. Se si commettesse un errore del genere, si tradurrebbe ora in: “Ascolta, Israele, D-o è il nostro Signore, D-o è altro (cioè altri dei)”. L’aspetto di YUD, l’umiltà, è così importante nella fede nell’unicità di D-o che la sua omissione potrebbe portare a rifiutare D-o, D-o non voglia, e credere nell’esistenza di altri poteri onnipotenti nell’universo. Il Midrash[12] ci dice che, se si scambia il RESH con il DALET, si distruggono tutti i mondi.

Il valore numerico della DALET è quattro. Il quattro rappresenta le matriarche: Sara, Rebecca, Rachele e Lea. Rappresenta anche i quattro mondi creati, come spiegato nella KabbalahAtzilut, Beriah, Yetzirah e Asiyah. Inoltre, la DALET indica i quattro elementi fondamentali della Creazione: fuoco (energia), aria (gas), acqua (liquido) e terra (solido). Il quattro rappresenta anche la festa della Pasqua ebraica: le quattro coppe di vino, i quattro figli, le quattro domande.

Perché beviamo quattro coppe di vino durante la Pasqua?

Nella Torah ci sono quattro espressioni di redenzione. Quando D-o portò il popolo ebraico fuori dall’Egitto, disse: “Vi porterò fuori”; “Vi salverò”; “Vi redimerò”; e infine “Vi porterò a Me come nazione”. Le prime tre espressioni implicano l’intervento di D-o in persona nel portare il popolo ebraico fuori dall’Egitto. Gli ebrei all’inizio rimasero passivi. Ma la quarta espressione, diventare il popolo di D-o, richiedeva un’azione sia personale che collettiva da parte del popolo ebraico.

Cosa significa diventare il popolo di D-o e come ci si prepara? Con la purificazione. Lo Zohar[13] ci dice che al tempo dell’Esodo il popolo ebraico era al 49° livello di impurità. Se fossero rimasti in Egitto un momento in più, sarebbero scesi al 50° il livello più basso possibile e si sarebbero persi per sempre. Non era per i loro meriti, la loro bontà o la loro gentilezza che meritavano di essere redenti. Piuttosto, era dovuto alla benevolenza di D-o: “Vi porterò fuori”, “Vi salverò”, “Vi redimerò”. Ma come ha fatto D-o alla fine a redimere il popolo ebraico? Facendoli diventare la Sua nazione e dando loro la Sua Torah. Questo quarto termine di redenzione non si verificò fino alla Matan Torah[14], quando D-o diede la Torah al popolo ebraico. La Matan Torah avvenne 49 giorni dopo che gli ebrei lasciarono l’Egitto. Per 49 giorni ci preparammo per essere degni di essere il Suo popolo. Nei primi tre passi della redenzione eravamo passivi e immeritevoli. Il quarto livello dovevamo guadagnarlo.

La differenza tra le prime tre espressioni e la quarta è rappresentata dalla differenza tra matzah e vino. La matzah è un alimento che non ha sapore. Secondo la halakhah, la matzah per il Seder di Pasqua viene preparata semplicemente mescolando farina e acqua, ed è chiamata “pane dei poveri”. Quando il popolo ebraico fu portato fuori dall’Egitto, era in uno stato di povertà spirituale, non meritevole di redenzione. Era come la matzah, insapore. Ma nei 49 giorni successivi, abbiamo lavorato su noi stessi. Abbiamo iniziato a comprendere e interiorizzare ciò che sono il giudaismo e la Torah. Ci siamo sollevati dai 49 livelli di impurità ai 49 livelli di comprensione. Abbiamo riconosciuto D-o. Quando abbiamo iniziato a capire cosa rappresentasse il giudaismo, quando abbiamo capito cosa significasse diventare il popolo di D-o, siamo diventati gioiosi. È per questo motivo che beviamo vino, perché si usa dire[15]: “Non c’è canto senza vino”. Beviamo vino per poter riconoscere pienamente la nostra redenzione dall’Egitto e cantare le lodi di D-o con grande gioia.

La matzah rappresenta le prime tre espressioni: l’intervento di D-o a favore del popolo ebraico quando era “piatto”, passivo. Le quattro coppe di vino rappresentano la quarta espressione[16]: diventare una nazione, il ruolo attivo e l’impegno degli ebrei.

C’è un altro modo per distinguere tra le tre matzot e le quattro coppe di vino. Tre rappresenta il potenziale; quattro rappresenta lo sviluppo di quel potenziale.

Nella liberazione degli ebrei dall’Egitto, D-o rappresenta il tre: investire il Suo potenziale nel popolo ebraico con le tre espressioni di redenzione. Il quattro rappresenta il popolo ebraico, che completa il processo.

Il potenziale (tre) può anche essere rappresentato dal padre, il datore del potenziale, con lo sviluppatore (quattro) rappresentato dalla madre.

Ora possiamo capire perché ci sono tre padri e quattro madri. Il padre (l’investitore del potenziale) fornisce il seme e la madre (la sviluppatrice) lo prende e lo perfeziona. Il padre è il benefattore biologico e la madre la beneficiaria biologica. Il padre è quindi rappresentato da tre. I tre patriarchi sono il GIMEL, il donatore, la terza lettera dell’alef-bet. La madre, la ricevente e beneficiaria, è rappresentata dalla DALET, le quattro Matriarche. Una volta realizzato il potenziale (cioè, il bambino è nato), ci si può rallegrare. Il simbolo della gioia è il vino, rappresentato dal quattro e corrispondente alle quattro madri.

Quindi la madre non solo riceve il seme, ma lo sviluppa. In termini pratici, bisogna prima riconoscere il nocciolo di un’idea per poterla esporre. Al seder di Pesach[17] riconosciamo il fatto che D-o ci ha fatto uscire dall’Egitto. Lo ringraziamo bevendo quattro coppe di vino, ponendo quattro domande e parlando dei quattro figli. Con il quattro, apprezziamo tutto ciò che è accaduto per portarci a questo giorno, compresa la nostra partecipazione nel portarlo a un nuovo livello. Ma per rappresentare solo la partecipazione di D-o nel farci uscire dall’Egitto, mangiamo solo tre matzot. Perché nel momento in cui D-o ci fece uscire, il futuro del popolo ebraico era solo potenziale. Eravamo in uno stato di matzah; vasi inattivi in uno stato di povertà spirituale. Attraverso i nostri sforzi, abbiamo portato da tre a quattro, dal potenziale alla realtà.

Il significato di DALET è anche dalet, una “porta”. Inoltre, significa dal, una persona povera. Infine, la parola DALET rappresenta dilitani, che significa “sollevarmi”. Come funzionano insieme queste tre definizioni? La convergenza si verifica quando ogni individuo si rende conto di essere povero. Questa povertà non denota necessariamente uno stato di bisogno finanziario; significa che tutto ciò che una persona “possiede” in realtà appartiene a D-o. D-o è stato così gentile da darci la vita. D-o è stato così gentile da darci il sostentamento. Senza D-o, non abbiamo nulla. Riconoscere questo è la porta che conduce alla camera di D-o. E una volta entrati in quella camera, D-o ci solleverà, dilitani, per benedirci con la vita, la salute, il sostentamento e il successo. Nel Salmo 30 del Libro dei Salmi, il re Davide ci dice: “Lodo D-o perché mi solleva (dilitani)”. Se capovolgiamo questa frase, potremmo dire dilitani: “Perché D-o mi solleva, lo lodo”. In questa espressione, D-o mi solleva dandomi le capacità per essere produttivo. Questo mi permette di lodarlo da un livello più alto.”

Ecco, quindi, che DALET rappresenta la porta e lo stato di altruismo e umiltà necessario per attraversarla. Indica come attraversare i cancelli per conoscere il proprio mistero dell’essere e tornare al potere dell’Aleph – l’Unica fonte di tutta la creazione e dell’essere. La DALET ha la forma di un uomo chino, a significare l’umiltà e la ricettività. Rappresenta il BITTUL, l’annullamento di sé o dell’ego, necessario per realizzare la propria connessione intrinseca con il Creatore. Inoltre, è la struttura, la forma e la diligenza necessaria per ricevere.

Nello Zohar, DALET si legge come “che non ha nulla (d’leit) di suo”. Questo esprime la proprietà della più bassa delle Emanazioni divine, la sephira di Malchut, il regno, che non ha altra luce se non quella che riceve dalle Sephirot superiori. Nel servizio dell’uomo a D-o, la DALET caratterizza la shiflut, la “bassezza”, la consapevolezza di non possedere nulla di proprio. Insieme alla consapevolezza del proprio potere di libera scelta, si deve essere coscienti che Egli dà il potere di raggiungere il successo e non pensare, D-o non voglia, che i propri risultati siano “il mio potere e la forza della mia mano”. Qualsiasi risultato in questo mondo, in particolare l’esecuzione di una mitzvah, il compimento della volontà di D-o, dipende dall’aiuto divino. Ciò è particolarmente vero nella lotta con la propria inclinazione al male, sia che essa si manifesti come passione esterna, resistenza ostinata ad accettare il giogo del Cielo, o pigrizia, apatia e simili. Come insegnano i nostri Saggi: “Se non fosse stato per l’aiuto di D-o egli [l’uomo] non sarebbe stato in grado di superarla [l’inclinazione al male]”.

La lettera DALET è il sentiero o la porta di AlephBet e Gimel. DALET è una porta che deve essere aperta – la porta tra i livelli superiori e inferiori. È una porta girevole a quattro ante. Le quattro ali della porta simulano le quattro stagioni e l’asse su cui ruotano simula una forza centrale che si irradia su tutte le cose allo stesso modo. È possibile, quindi, entrare attraverso ciascuna delle ali della porta, o attraverso una delle quattro stagioni, ma solo in modo uguale alla natura di quella stagione.

Ecco perché la sephirah nascosta di connessione tra il Sekhel[18] e le Middot, la porta tra questi due livelli, si chiama Daat (Conoscenza).

In assenza della mistica unione, quindi, la NUKVA/MALCHUT rimane in uno stato di povertà, privata della HE e necessita dell’attività di Israele per attivare il moto ascensionale che consenta a Malchut di elevarsi per raggiungere la Santa Yichud.

 

[1] Judah Loew ben Bezalel, il noto Rabbino del XVI sec. associato alla leggenda del Golem come abbiamo detto innanzi.

[2] Basi LeGani 5710, cap. 8 (edizione inglese).

[3] È una delle nozioni fondamentali che l’Alter Rebbe inserisce nel Tanya, la cosiddetta Torah dei Chassidici, opera fondamentale per la comprensione della Kabbalah in chiave moderna.

[4] Tanya, cap. 32.

[5] Come scrive Rav Nissan Dovid Dubov a proposito di questo pilastro della fede ebraica e non solo: “La parola Teshuvah viene solitamente tradotta come pentimento. Infatti, c’è una nota preghiera recitata durante gli Yamim Noraim i Dieci giorni del pentimento che vanno da Rosh haShanah a Yom Kippur secondo cui TeshuvahTefillah e Tzedakah, tradotte come “pentimento”, “preghiera” e “carità”, possono scongiurare un decreto celeste avverso. Questa traduzione non è del tutto accurata. La Teshuvah è meglio tradotta come “ritorno” e significa un ritorno allo stato originale. Classicamente, la Teshuvah è composta da tre ingredienti: il rammarico per il male commesso, la decisione di cambiare e l’espressione verbale dei propri peccati. Tecnicamente, ogni volta che si commette un peccato, si è obbligati a fare Teshuvah. Dal punto di vista kabbalistico, la Teshuvah assume una dinamica più cosmica. La parola Teshuvah in ebraico può essere letta “tashuv HE”, letteralmente “ritorno della lettera HE”. L’ultima lettera HE del Tetragrammaton si riferisce a MalchutMalchut è sinonimo di Shekhinah, che è il modo in cui D-o si manifesta come sovrano all’interno della creazione. La parola ebraica per Gerusalemme, la capitale santa, è Yerushalayim. Questa parola è in realtà un composto di due parole: Yirah Shalem, che significa “perfetto stato di soggezione”. Ciò accadeva quando la nazione ebraica era totalmente consapevole che la Shekhinah riposava a Gerusalemme. Questo era lo stato quando esisteva il Tempio. Tuttavia, quando il popolo ebraico peccò a causa dell’insensibilità nei confronti di D-o, il peccato provocò l’allontanamento della Shekhinah e la conseguente distruzione di Gerusalemme. Il nome di D-o fu “fratturato” e il popolo finale andò in esilio. La Teshuvah è il processo per cui il nome di D-o è di nuovo completo e la Shekhinah riposa di nuovo a Gerusalemme nel Tempio ricostruito. Ogni individuo deve fare Teshuvah. Il Talmud afferma anzi che si dovrebbe passare tutti i giorni a fare Teshuvah. Lo Zohar si spinge oltre e afferma che il Mashiach verrà affinché gli Tzaddikim facciano Teshuvah. Questa affermazione solleva la domanda: Perché uno Tzaddik (santo), che ha dominato la sua inclinazione al male, dovrebbe fare Teshuvah? C’è una differenza tra uno Tzaddik e un Baal Teshuvah (Signore del Ritorno, un peccatore redento). Uno Tzaddik non ha mai sbagliato; compie costantemente la volontà di D-o. Il Baal Teshuvah si è allontanato. Si sente amareggiato per la sua distanza da D-o e desidera la vicinanza. Il suo sforzo verso l’alto è molto più forte di quello dello Tzaddik. Sebbene la sua discesa nel peccato fosse esternamente dovuta alla sua inclinazione al male, in realtà l’intento interiore era una discesa con lo scopo di salire. Quando una persona compie la Teshuvah per vero amore di D-o, i suoi peccati si trasformano in meriti. La discesa del peccato diventa il trampolino che catapulta il Baal Teshuvah dalle tenebre alle vette della spiritualità. Allo Tzaddik manca la forza dell’anelito del Baal Teshuvah. Quando verrà il Mashiach, anche lo Tzaddik si accorgerà che, pur non avendo mai peccato intenzionalmente, il suo servizio è stato un po’ carente di fervore e anche lui avrà il desiderio del Baal Teshuvah. La rivelazione del Mashiach dipende dalle nostre azioni nel periodo dell’esilio. Maimonide stabilisce che la Teshuvah è un prerequisito per la redenzione. Nelle sue parole, “la Torah ha promesso che alla fine del loro esilio faranno Teshuvah e saranno immediatamente redenti”. Nella nostra generazione questo significa che nel mondo caotico in cui viviamo, con tutte le sue distrazioni, dobbiamo risensibilizzare noi stessi e il mondo intorno a noi alla Shekhinah. Questo è ciò che il Rebbe Lubavitcher chiamava “Vivere con il Mashiach“. Anche se viviamo nel mondo moderno, con tutti i suoi comfort e le sue comodità, dovremmo sentirci affranti dal fatto che la Divinità non si manifesta apertamente. Tutte le nostre attività mondane dovrebbero essere permeate dal desiderio di conoscere D-o in tutti i suoi modi. In effetti, a un certo livello, la trasformazione dell’attività mondana e la sua permeazione con lo scopo divino è il più alto livello di TeshuvahÈ l’indicazione più chiara del fatto che la Divinità non è stata relegata a momenti ovvi di coinvolgimento religioso, ma piuttosto la connessione con il Divino si estende a tutti i livelli e a tutte le aree della vita, anche le più banali. È necessario ribadire che la Teshuvah oggi deve essere accompagnata da un’enorme gioia. La più grande arma dell’inclinazione malvagia è la depressione, perché una volta che lo stato di impotenza e di mancanza di speranza attanaglia l’anima di una persona, è molto difficile trovare l’enorme energia necessaria per l’introspezione e il miglioramento di sé. Anche se si è chiaramente trasgredito in modo grave, un grado prolungato o eccessivo di tristezza non è salutare per l’anima della maggior parte delle persone della nostra generazione. La Teshuvah deve essere fatta con grande Simchah (gioia), con entusiasmo e con sentimento. Il dono più grande che D-o può fare a una persona è l’opportunità di elevarsi dal pantano del peccato alla connessione incontaminata ed eterna.

[6] Genesi 4:7.

[7] Pintele Yid, spesso tradotto come “scintilla ebraica”, è un’espressione yiddish che descrive l’idea che ogni persona ebrea ha un nucleo essenziale di ebraismo dentro di sé, anche se è assimilata o non è consapevole della propria ebraicità. Gli ebrei convertiti possono anche essere descritti come aventi un pintele Yid che li ha portati all’ebraismo. Il termine è più comunemente usato dagli ashkenaziti e dagli ebrei ortodossi. Pintele è una parola yiddish per “piccola punta” e Yid è un termine per indicare una persona ebrea; quindi, pintele Yid può essere tradotto letteralmente come “la piccola punta di un ebreo”. L’equivalente in lingua ebraica del termine è “Nitzotz HaYehudi“.

[8] Shabbat 104a.

[9] ibidem

[10] Shekalim 5:6.

[11] Mezuzah, “stipite” della porta, (plurale mezuzot), è un oggetto rituale ebraico, consistente in una pergamena (claf) su cui sono stilati i passi della Torah corrispondenti alle prime due parti dello Shema, preghiera fondamentale della religione ebraica (Deuteronomio 6,4-9[1] e Deuteronomio 11,13-21[2]); solitamente la Mezuzah viene racchiusa in un apposito contenitore e affissa sullo stipite della porta, a destra rispetto a chi entra, e a circa due terzi dell’altezza della porta stessa, e comunque a portata della mano. Non va posta sulle porte di solo transito né sulle porte di stanze in cui non si risieda (cucina, bagno, ripostiglio, cantina; talvolta si mette anche all’entrata della cucina e, se abitati o vi sia l’uso di passarvi lunghi momenti, anche alle entrate di giardini e terrazzi). Il claf, come si è detto, è in pergamena e va scritto con penne non metalliche, in caratteri ebraici ornati. Va controllato periodicamente, e corretto o sostituito se scolorito o danneggiato.

[12] Vayikra Rabbah 19:2.

[13] Zohar Chadash, inizio di Yitro. Anche Tzror HaMor, Bo 12:40.

[14] Matan Torah viene festeggiata ogni anno con la festa di Shavuot. La festa di Shavuot, nota anche come “Pentecoste”, è celebrata soprattutto in quanto anniversario della Rivelazione dei Dieci Comandamenti sul Monte Sinai, evento fondamentale per l’Ebraismo. Nella liturgia, Shavuot è infatti chiamata Zeman Matan Toratenu, cioè: “il tempo del Dono della nostra Torah”. Coerentemente con questa definizione, l’osservanza della festività prevede la lettura dei Dieci Comandamenti in Sinagoga e, presso molte comunità, lo studio della Torah durante l’intera notte.

Questa concezione della festa, tuttavia, sembra derivare unicamente dalla tradizione rabbinica. Nella Bibbia, infatti, Shavuot non viene mai messa in relazione al Dono della Torah, né ad altri eventi specifici della storia ebraica. Al contrario delle altre due solennità di pellegrinaggio (Pesach e Sukkot), di cui il testo biblico spiega chiaramente l’origine storica, Shavuot è presentata invece esclusivamente come “festa della mietitura”: Celebrerai la festa di Shavuot, delle primizie della mietitura del grano (Esodo 34:22; vedi anche Esodo 23:16).

[15] Berachot 35a

[16] Torna la simbologia delle quattro fasi, tre più una, la già citata Behina Dalet.

[17] Il Seder di Pesach (Pasqua) è una festa rituale all’inizio della festività ebraica della Pasqua ebraica e si svolge in tutto il mondo alla vigilia del 15° giorno di Nisan del calendario ebraico (cioè, all’inizio del 15° giorno; un giorno ebraico inizia al tramonto). Il giorno cade a fine marzo o ad aprile del calendario gregoriano. La Pasqua ebraica dura sette giorni in Israele e, secondo la maggior parte delle usanze, otto giorni nella diaspora ebraica. Quando si osservano sette giorni di Pasqua, si tiene un seder la prima notte; quando si osservano otto giorni, i seder si tengono spesso nelle prime due notti, il 15 e il 16 di Nisan. Il Seder è un rituale che prevede la narrazione della storia della liberazione degli israeliti dalla schiavitù dell’antico Egitto, tratta dal Libro dell’Esodo (Shemot) della Torah. Il Seder stesso si basa sul versetto biblico che ordina agli ebrei di raccontare la storia dell’Esodo dall’Egitto: “In quel giorno lo racconterai a tuo figlio, dicendo: “È a causa di ciò che il Signore ha fatto per me quando sono uscito dall’Egitto””. (Durante il seder, gli ebrei leggono il testo della Haggadah, un’antica opera tannaitica (epoca dei saggi rabbini della Mishnah, 10-220 c.e. circa). La Haggadah contiene la narrazione dell’esodo israelita dall’Egitto, benedizioni e rituali speciali, commenti talmudici e canti pasquali.

Le usanze del Seder comprendono il racconto della storia dell’Esodo, la discussione della storia, il consumo di quattro bicchieri di vino, il consumo di matzah (pane azzimo), la partecipazione a cibi simbolici e la celebrazione della libertà dalla schiavitù. Il Seder è uno dei riti ebraici più comunemente celebrati.

[18] Le dieci Sephirot sono generalmente divise in due categorie: Intelletto (sechel) ed Emozioni (middot). La categoria dell’Intelletto include i tre poteri intellettuali di ChokhmahBinah e Daat, dette anche ChaBaD. I poteri emotivi sono rappresentati dai sette canali di Chessed, Gevurah, Tiferet, Netzach, Hod, Yesod Malchut. Sono anche chiamate le Tre Madri e le Sette Doppie. Le prime tre sono viste come “madri” perché sono la fonte e la radice delle altre sette, proprio come una madre è la fonte della sua prole. Le sette Emozioni sono chiamate doppie perché si manifestano in modo duplice. Le ChaGaT sono le emozioni che esistono all’interno di una persona, senza tenere conto di chi le riceve. Le Sephirot NeHiY sono i poteri che concentrano le emozioni del ChaGaT in modo che possano essere ricevute dagli altri. Per questo motivo, ChaGaT e NeHiY viaggiano in tandem e sono chiamati doppie, poiché ognuna dipende dall’altra. In sintesi, se Chessed denota una dazione illimitata e Gevurah rappresenta parallelamente un’illimitata restrizione, mentre Tiphereth è una miscela armoniosa dei due. Netzach e Hod adattano l’influenza per la trasmissione e Yesod trasmette con profondo attaccamento. Le sei Sephirot di ChaGaT e NeHiY sono spesso raggruppate insieme.

 

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Silvano Danesi

Silvano Danesi

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