ANTOINE COURT DE GEBELIN SULL’ORIGINE DEL LINGUAGGIO E DEI TAROCCH

Dic 9, 2023 | TAROCCHI

di Filippo M. Leonardi

Antoine Court de Gébelin (1728-1784) fu un personaggio eclettico, dalle numerose e spesso contrastanti sfaccettature. Di religione protestante, fu ordinato pastore nel 1754, ma questo non gli impedì di ricoprire l’incarico di Censore Reale nella Francia cattolica. Fu illuminista, ma nello stesso tempo occultista e massone, membro e dirigente della loggia Les Neuf Soeurs di cui fecero parte anche Voltaire, Diderot, D’Alembert, Danton, Desmoulins, Guillotin, La Fayette, Franklin, de Lalande e Montgolfier. Fu un fervente sostenitore della teoria del magnetismo animale di Franz Anton Mesmer, a cui ricorse per curarsi da una grave infermità alle gambe. Fu trovato morto nel 1784, ancora collegato ad una vaschetta magnetica.

Interpretando a suo modo la missione divulgativa dei confratelli illuministi, tra il 1773 e il 1784 pubblicò in nove volumi una sorta di enciclopedia storico-filosofica intitolata Le Monde primitif, analisé et comparé avec le monde moderne, consideré dans l’histoire civile, religieuse et allégorique du calendrier et almanach, in cui tentò di dimostrare, mediante la comparazione di miti, etimologie e simboli, l’origine comune delle civiltà antiche. In tale prospettiva si colloca anche l’idea che il linguaggio umano abbia un carattere naturale e universale.

Nel terzo volume, dedicato all’origine del linguaggio e della scrittura, Court de Gébelin elenca i valori fonosimbolici dei suoni semplici e composti. Ipotizzando una origine comune di tutte le lingue, Court de Gébelin riprese l’idea, già esposta da Platone nel Cratilo, nonché da Charles de Brosses, che il linguaggio avesse un carattere imitativo di tipo naturale e quindi universale: «La Parola è la pittura delle nostre idee mediante i suoni dello strumento vocale».

Con grande acume anticipò la moderna fonosemantica negando preventivamente il principio di arbitrarietà di Ferdinand de Saussure: «Se le parole non sono arbitrarie, se c’è qualche motivo per imporre a un oggetto un nome piuttosto che un altro, questo motivo fu necessariamente il rapporto che si vedeva tra questo nome e l’oggetto che si voleva nominare: in effetti, quando s’impone un nome, è per ricordare al nostro spirito l’oggetto che designa; è per dipingere alla nostra immaginazione: ma non saremmo maggiormente sicuri di produrre questo effetto quando il nome di questo oggetto ne sarà realmente la pittura, piuttosto che quando non avrà alcun rapporto con esso?»  Dunque Court de Gébelin attribuisce al carattere imitativo del linguaggio un valore selettivo, che farebbe preferire una parola ben formata, secondo l’imitazione, ad una parola formata in modo totalmente arbitrario: «È una verità fisica e incontestabile che ognuno dei suoni prodotti dallo strumento vocale ha delle qualità che gli sono proprie e che differiscono essenzialmente dalle qualità che si trovano negli altri. Non sono tutti ugualmente piacevoli, ugualmente veloci: alcuni sono lenti, altri rapidi; alcuni aspri, altri adulatori; alcuni scuri, altri sonori. Pertanto si dovrà scegliere fra questi oppure risolversi ad essere un cattivo pittore, a non essere mai capito, a formare una lingua senza armonia, senza grazia, senza energia, sempre contraria alla natura; una lingua in pratica che non può esistere».

Per quanto riguarda specificatamente la fonosemantica, Court de Gébelin riprese la teoria della formazione meccanica delle lingue di Charles de Brosses, ma in un’ottica non materialista: «Benché il Linguaggio sia l’applicazione dei suoni agli oggetti che hanno qualche rapporto con essi, non di meno è di origine divina. Non sono gli uomini che hanno formato questi suoni e questi rapporti; è Dio che fece dell’Uomo un Essere parlante». In questa prospettiva, Court de Gébelin doveva necessariamente rivolgere la sua attenzione alla lingua ebraica, all’epoca considerata come la lingua originaria dell’umanità, sebbene in maniera velata e sottintesa. In tal senso Court de Gébelin rappresenta l’anello di congiunzione, ovvero l’elemento di transizione, tra l’approccio materialista-meccanicista di Charles de Brosses, e l’approccio occultista-spiritualista di Antoine Fabre d’Olivet. Sebbene la moderna linguistica eviti di esplorare certe strade collaterali, in realtà c’è una linea continua che unisce i tre autori, così come riconosciuto dagli stessi: Fabre d’Olivet, nella dissertazione introduttiva de La langue hébraïque restituée, invocherà la testimonianza di Court de Gébelin in qualità di «uomo saggio e laborioso» così come questi, nel Mond primitif, aveva riconosciuto l’autorità di Charles de Brosses, chiamandolo «sapiente magistrato».

Nell’analisi degli elementi fonetici, Court de Gébelin distingue le vocali dalle consonanti, indicandole rispettivamente come sons e intonations. Nel tentativo di definire uno schema fonetico universale, regolare e armonioso, Court de Gébelin distingue sette gradi per le vocali in scala discendente, come le note musicali comprese in una ottava, e sette articolazioni per consonanti, nelle due modalità forte e debole. In totale tre serie di sette, che portano a 21 il numero dei suoni semplici di questo inventario fonetico, basato sull’analogia musicale: «Poiché lo strumento vocale, considerato nei suoi suoni [vocali] è uno strumento a fiato, necessariamente deve produrre una ottava come qualsiasi strumento a fiato, ad esempio come un flauto. Considerato invece nelle sue intonazioni [consonanti] è uno strumento a percussione, per cui non è sorprendente che sia assoggettato alla stessa armonia».

Come nota Genette: «per Gébelin, l’apertura della bocca è in relazione inversa con la lunghezza del “canale” o “tubo” vocale, e quindi, secondo il principio del flauto di Pan, in relazione diretta con l’altezza del suono: la vocale più aperta sarà anche la più acuta, e inversamente la più chiusa sarà anche la più grave. Da cui questa gamma discendente che corrisponde all’incirca alla scala di de Brosses, ma sostituendo il criterio dell’altezza a quello dell’intensità: a-è-é-i-o-u-ou, analoga alla gamma musicale si-la-sol-fa-mi-re-do».

Questo schema ricalca quello delle sette vocali dell’alfabeto greco, che fin dall’antichità furono messe in relazione con i sette pianeti, ovvero con i sette cieli, e quindi con le sette note musicali in base alla concezione pitagorica dell’armonia delle sfere. La corrispondenza simbolica si trova accennata, ad esempio, negli Hieroglyphica di Orapollo. La frase γράμματα ἔπτα ἐν δυσί δακτύλοις è tradizionalmente interpretata come riferita alle sette vocali, ma anche alle sette note musicali. Così infatti osserva Thomas Gale, nel commento a Demetrio: «Septem Elementa duobus digitis contenta musam significant. Elementa sunt haec sunt vocales».

Dobbiamo inoltre osservare che nello schema di corrispondenze simboliche proposto per le vocali, Court de Gébelin ricalca approssimativamente la sequenza delle sette vocali dell’alfabeto greco, ma in realtà i significati sono desunti per lo più da quelli delle lettere ebraiche. Nell’attribuzione dei valori simbolici alle vocali, Court de Gébelin tenta di stabilire uno schema di corrispondenza con i sensi fisici dell’uomo e i rispettivi organi: I è la mano, dunque il tatto; O è l’occhio, dunque la vista; U corrisponde all’olfatto; OU corrisponde all’udito. Ma lo schema non è completo: manca il gusto e le tre prime vocali non hanno corrispondenze con i sensi, ma piuttosto con delle funzioni di tipo generale, come il comando, la respirazione, la forza vitale, oppure con le condizioni di avere, essere, esistere. Comunque si intravede una tendenza ad attribuire alle singole lettere il valore di segno universale, nell’ambito di un sistema simbolico, armonico e omnicomprensivo dei diversi gradi di realtà. Questa tendenza sarà ripresa e sviluppata ulteriormente da Fabre d’Olivet, con particolare attenzione alla lingua ebraica.

Per quanto riguarda l’attribuzione dei valori fonosimbolici alle consonanti, Court de Gébelin segue la linea di De Brosses, ma introduce in aggiunta la corrispondenza con la forma grafica delle lettere alfabetiche, che sarebbero derivate da primitivi ideogrammi o geroglifici aventi valore universale: «Poiché ogni scrittura è pittura, cioè geroglifica, ne consegue necessariamente che la scrittura alfabetica è essa stessa un assemblaggio di caratteri geroglifici. Non sarà difficile convincersene quando si esamineranno le figure che offriva l’alfabeto alla sua nascita, e i rapporti dei loro oggetti con l’organo che produce il suono denotato da ognuna di queste figure e con il valore delle parole che esse formano».

Detto questo, Court Gébelin non si limita ad esplorare l’ambito esclusivamente linguistico. Per gli occultisti, Court de Gébelin deve la sua notorietà all’ottavo volume, in cui sono contenuti due saggi sul gioco dei Tarocchi: il primo intitolato Du Jeu des Tarots, dello stesso Court de Gébelin, in cui si afferma che le figure dei Tarocchi sono di origine egiziana e hanno un valore esoterico; il secondo intitolato Recherches sur les Tarots et sur la Divination par les Cartes des Tarots, attribuito a M. Le C. de M.***, ovvero Messire Louis-Raphaël-Lucrèce de Fayolle Comte de Mellet, in cui afferma che i 22 arcani maggiori dei Tarocchi costituiscono il cosiddetto “Libro di Thot”, cioè un antico libro cosmologico, di origine ermetica, scritto in forma di illustrazioni allegoriche. Entrambi i saggi contengono errori madornali come l’origine egiziana dei Tarocchi, oppure l’attribuzione dell’uso divinatorio delle carte agli zingari, all’epoca ritenuti erroneamente egiziani. L’elemento che però ci interessa è la corrispondenza delle 22 figure degli Arcani Maggiori con le 22 lettere dell’alfabeto ebraico, sebbene in ordine completamente invertito, poiché gli arcani sono elencati a partire dal Mondo fino al Bagatto. Dal punto di vista logico e simbolico è piuttosto da ritenere corretta la corrispondenza in ordine numerico crescente, così come riportata da Oswald Wirth. Tuttavia Court de Gébelin ha il merito, pur con tutte le sue inesattezze, di aver aperto la via all’interpretazione delle figure dei Tarocchi anche in riferimento al simbolismo delle lettere.

Per quanto geniale ed intuitivo, Court de Gébelin non ci risparmia errori e contraddizioni, rispecchiando il suo carattere ambivalente, a tratti rigoroso e scientifico, ma pur sempre dominato da una notevole spinta intuitiva che talvolta lo induce a fare il passo più lungo della gamba. Ad esempio, nella smania definire un sistema di corrispondenze semplice ed armonioso, attribuisce alle vocali e alle consonanti la capacità di esprimere degli oggetti, rispettivamente, sensoriali e concettuali: «Le idee non possono essere espresse mediante i suoni, cioè le vocali, poiché queste servono a rappresentare le sensazioni; perciò era necessario che lo strumento vocale avesse un’altra proprietà, cioè la facoltà di produrre le intonazioni o consonanti». Questa affermazione non solo contrasta con gli esempi addotti da Platone nel Cratilo, in cui le vocali dell’alfabeto greco esprimono chiaramente delle idee astratte, ma contraddicono lo stesso Court de Gébelin quando attribuisce, ad esempio alla vocale A, il significato astratto di “proprietà”. D’altra parte lo stesso Charles de Brosses aveva notato che in alcuni casi le interiezioni potevano essere formate anche da consonanti, come ad esempio fi, va, pouah, per esprimere il disgusto. Probabilmente questo errore di sottovalutazione deriva dal fatto che le vocali sono estremamente variabili nell’evoluzione delle lingue naturali, mentre le consonanti sembrano conservarsi meglio o variare con più regolarità. Questa osservazione indusse quindi Court de Gébelin a formulare in forma categorica il sesto principio dell’arte etimologica: «Le vocali non contano nulla nella comparazione delle parole». Ma questo è tipico di Court de Gébelin, capace di descrivere minuziosamente il «meccanismo» di funzionamento dello «strumento vocale», in modo rigorosamente scientifico, per poi divagare subito dopo sugli «spiriti animali» che sotto forma di fluidi elettrici gonfiano i nervi o fanno fermentare il sangue. Gérard Genette osservò in proposito: «il lavoro di de Gébelin, in cui la parte del delirio ermeneutico è abbastanza evidente, è caratterizzata da una stretta alleanza tra lo spirito sistematico più rigido e l’incoerenza più disinvolta».

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:

– Platone, Cratilo, 426d-427d.

– Thomas Gale, Rhetores selecti, Oxford, 1676, Notae in Demetrium Phalereum. Nota 71, p. 235.

– Charles de Brosses, Traité de la formation méchanique des langues et des principes physiques de l’étymologie, Saillant, Vincent & Desaint, Paris, 1765.

– Antoine Court de Gébelin, Monde primitif, analysé et comparé avec le monde moderne, Vol. III, Origine du language et de l’écriture, Paris, 1775.

– Antoine Court de Gébelin, Histoire Naturelle de la Parole ou Précis Origine du Language et de la Grammaire Universelle. Extrait du Monde Primitif, Paris, 1776.

– Antoine Court de Gébelin, Monde primitif, analysé et comparé avec le monde moderne, Vol. VIII, Tomo 1, Considéré dans divers objets concernant l’histoire, le blason, les monnoies, les jeux, les voyages des Phéniciens autour du monde, les langues américaines, etc., ou Dissertations mêlées, Paris, 1781, pp. 365-394.

– Christoph Friederich Hellwag, Dissertatio de formatione loquelae, Literis Fuesianis, Tubinga, 1781 > Henninger, Heilbronn, 1886, p. 41.

– Antoine Fabre d’Olivet, La langue hébraïque restituée, Paris, 1815 > L’Age de l’Homme, Paris, 1985.

– Oswald Wirth – Roger Caillois, Le tarot des imagiers du Moyen Age, Tchou, Paris, 1966 > Oswald Wirth, I Tarocchi, Edizioni Mediterranee, Roma, 1973.

– Gérard Genette, Mimologique: Voyage en Cratylie, Editions du Seuil, Paris, 1976.

– Roman Jakobson – Linda R. Waugh, The Sound Shape of the Language, Indiana University Press, Bloomington – London, 1979 > Mouton de Gruyter, Berlin – New York, 2002, p. 130.

– Giordano Berti, Storia dei Tarocchi, Mondadori, Milano, 2007, pp.  100-101.

– Filippo M. Leonardi, La Fonosemantica secondo Antoine Court de Gébelin, academia.edu, 2016.

Silvano Danesi

Silvano Danesi

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